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MORTI BIANCHE, ODISSEA SENZA FINE

Il fenomeno sembra non arrestarsi e a pagare sono sempre i lavoratori…

MORIRE CAUSA LAVORO - Uscire di casa per andare a lavoro e non tornare mai più. Gettarsi inconsciamente ed istintivamente in soccorso di un collega in pericolo e perdere la vita. Uccidersi davanti al posto di lavoro per essere stato licenziato. Perdere la vita a diciotto anni schiacciato da un cancello il primo giorno di lavoro. Non sono assurdità … purtroppo sono realtà, tristi realtà verificatesi in Italia nel giro degli ultimi anni. Le chiamano “morti bianche”, come per porre l’accento sull’incolpevolezza delle povere vittime che hanno commesso l’unico errore di adempire i loro doveri … è clamoroso e paradossale che il nostro primo mezzo di sussistenza possa tramutarsi nel nostro “carnefice”!
IL LAVORO NOBILITA L’UOMO? -Sin da giovani gli uomini percepiscono il lavoro come un bisogno primario che soddisfa non solo esigenze fisiologiche ma anche esigenze psicologiche. Esso serve non soltanto a fornire i mezzi pratici e alimentari di sussistenza di un uomo, esso realizza e soddisfa la sua caratteristica autostima, che non è assolutamente meno importante. Ed è questo il motivo che rende il lavoro nobile. Esso ci qualifica soprattutto, davanti agli occhi del mondo ci dà un titolo, un compito da svolgere, una ragion d’essere che è la grande aspettativa della vita di ogni essere umano. Detto questo, risulta praticamente impensabile, e per conseguenza inaccettabile, che un uomo perda la vita per “incidenti sul lavoro”. Gli incidenti per definizione non possono essere previsti ed evitati, ma nel nostro caso questa regola perde di valore a confronto con tutte le implicazioni morali, politiche e sociali che il tema comporta.
CRONACHE AGGHIACCIANTI - Alcuni parlano di omicidi sul lavoro. La veridicità di tale affermazione dipende dalla responsabilità attribuita all’autorità su questi episodi … La logica, lo spirito sociale ci impediscono di pensare diversamente: lo Stato deve garantire a tutti condizioni di lavoro sicure a tutela di quello che è il primo dei diritti inviolabili dell’uomo, il diritto alla vita. Ad un anno dalla tragedia della Tyssenkrupp di Torino ci si chiede ancora se si sarebbe potuto evitarla. Quali sono le soluzioni, i provvedimenti concreti ai quali affidare la vita dei nostri lavoratori? Le statistiche sono raccapriccianti, le morti sono frequenti, ogni giorno la stampa riporta di lavoratori morti accidentalmente durante lo svolgimento delle loro mansioni e non ancora si è giunti alla soluzione. Il passare del tempo peggiora la situazione ed alimenta la preoccupazione e il disappunto. Immedesimarsi nelle famiglie degli scomparsi è più di tutto doloroso ma significativo nel vero senso del termine … in altre parole ci aiuta a capire, a ricordare e a rendere il giusto peso a queste vicende prima che dalla prima pagina scivoleranno alle ultime righe dei quotidiani nazionali.
PERCHE’? -La sicurezza non deve essere un’utopia ma una garanzia! Leggerezze nella scelta di macchinari, strutture o nell’applicazione di regolamenti e divieti, non possono essere tollerate. Proteggere i propri dipendenti significa proteggere se stessi in ogni senso, dalla politica, dalla responsabilità morale, dalla coscienza. Ma la scia di sangue tracciata da questa serie di tragedie che ci stanno colpendo non è così facile da spiegare. Una causa, un colpevole è ciò di cui si ha bisogno in circostanze come questa ma come non sentirsi tutti un po’ coinvolti? Le cose potrebbero cambiare, cosa occorre fare affinché ciò avvenga? Il solo rifletterci rappresenta un giusto tributo alla dignità della nostra specie o perlomeno una preghiera e un gesto di solidarietà nei confronti di chi non ha più un padre, un marito, un figlio …

(di Alessia De Luca - del 2008-12-29) articolo visto 5233 volte
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