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IL TERRORE SBARCA A MUMBAI

L'ombra di Al-Qaida sulla strage nella capitale finanziaria indiana

Il 26 Novembre 2008 il terrorismo internazionale di matrice islamica è tornato a farsi vivo e lo ha fatto a suo modo: con un sabba di sangue e morte. L'ultima città martire della strategia del terrore è stata Mumbai (Bombay fino al 1995). Questa megalopoli, con una popolazione stimata di 13,66 milioni di abitanti, è la seconda città più popolosa del mondo dopo Shanghai, ma non solo per le sue dimensioni è stata scelta come “arena” per il ritorno in grande stile della violenza dell'integralismo. Mumbai, infatti, è la capitale commerciale e dell'intrattenimento dell'India, generando il 5% del PIL del paese, il 25% della produzione industriale, il 40% del commercio marittimo, e il 70% delle transazioni di capitali dell'economia indiana. Si tratta, quindi, di una realtà che è al contempo il cuore della nuova India proiettata fortemente verso il futuro e il simbolo della pacifica convivenza tra religioni e culture diverse, essendo presenti, accanto alla maggioranza induista (68%), una forte minoranza musulmana (17%) insieme a buddhisti e cristiani (entrambi i gruppi al 4%) , ma anche parsi, giainisti, sikh ed ebrei. Insomma, un vero “melting pot” di credenze e costumi che convivono pacificamente secondo uno spirito di tolleranza che altrove in India è tutt'altro che scontato, come le violenze contro i cristiani nello stato dell'Orissa stanno a ricordarci.
LE DIFFERENZE CON GLI ATTENTATI DI MUMBAI DEL 2006 - La rete globale del terrore, dunque, ha mirato al cuore dell'India e lo ha fatto, come sempre, in modo diabolicamente preciso e cruento. Sono stati 15 i terroristi impiegati nell'azione (durata ben 60 ore con l'utilizzo di bombe a mano e armi da fuoco) che, per la preparazione meticolosa e l'estrema freddezza con cui si sono mossi, hanno dimostrato di essere stati addestrati per mesi da militari esperti in guerriglia urbana. Già l'11 Luglio 2006 Mumbai fu colpita duramente da un'impressionante catena di attentati dinamitardi che fecero 190 morti. Allora ad essere colpiti furono i treni di linea della Western Railway, carichi di pendolari nell'ora di punta, che ogni giorno trasportano 4 milioni e 500 mila persone dentro e fuori la capitale economica della nazione.
Ma negli attantati del 26 Novembre, nonostante le stessa tragica scia di sangue (195 morti tra cui 26 stranieri), i terroristi hanno compiuto un “salto di qualità” non da poco. Infatti, nel 2006 furono degli ordigni azionati da timer a compiere la strage quindi con una modalità sicuramente meno sofisticata dal punto di vista organizzativo ma soprattutto la vera svolta rispetto ad allora è il fatto che il 26 Novembre i veri obiettivi della strage sono stati gli stranieri (testimoni hanno riferito che i terroristi cercavano persone con passaporto britannico o statunitense) e gli alberghi più importanti della città. Si è cercato, insomma, di percorrere la strada già battuta nel passato con i sanguinosi attacchi a Taba e a Bali e di colpire l'economia indiana nei suoi gangli più vitali: il commercio internazionale e il turismo.
L'AREA INCANDESCENTE DEL KASHMIR - Una e-mail inviata alle agenzie di stampa indiane subito dopo l'inizio della mattanza ha rivendicato la responsabilità dell'azione ad opera dei Mujahideen del Deccan, un gruppo poco conosciuto prima dell'attentato. Tuttavia i Servizi Segreti indiani sono concordi nel seguire la pista che porta a Lashkar-e-Taiba, un'organizzazione terroristica di stampo fondamentalista islamico operante nel Kashmir, e ad Al-Qaida stessa. Questi sospetti, parallelamente al fatto che i terroristi, secondo le ricostruzioni dell'unico sopravvissuto, provengono dal Pakistan, hanno fatto crescere a dismisura la tensione endemica esistente tra Nuova Delhi e Islamabad. L'India ha accusato il vicino di non fare abbastanza per combattere la piaga del terrorismo e del fondamentalismo sul suo territorio e tra i due giganti dell'ex Impero delle Indie tornano ad aleggiare vecchi fantasmi.
Dal 1947, anno della loro indipendenza, infatti, conseguenza della spartizione secondo una logica di separazione netta tra le religioni (segnata da fiumi di sangue e da esodi biblici di milioni di persone di confessione diversa: gli induisti verso l'Ovest e i musulmani verso Est) del vecchio impero britannico, India e Pakistan hanno combattuto 3 guerre per la questione, tuttora irrisolta, del Kashmir e hanno sempre avuto i rispettivi eserciti schierati ai confini con le baionette innestate. Entrambi i paesi inoltre dispongono di armi nucleari e questo contribuisce a rendere l'area una delle più calde del pianeta: la tensione è destinata a salire in seguito agli attacchi a Mumbai, come dimostra lo spostamento di altre truppe pakistane dal confine con l'Afghanistan a quello con l'India.
IL RUOLO AMBIGUO DEL PAKISTAN - Islamabad, dunque, sembra essere invischiata fin troppo negli attentati di Mumbai. Non solo perché gli esecutori materiali sono di nazionalità Pakistana o comunque sono stati addestrati in Pakistan ma anche per altri motivi. Innanzitutto per il ruolo ambiguo che in questi anni ha assunto l'ISI, i Servizi Segreti della Repubblica Islamica guidati dal generale Ahmed Shuta Pasha. Infatti, nonostante il Paese fondato da Mohammad Ali Jinnah sia il più stretto alleato degli Usa nella lotta al terrorismo, appaiono macroscopici gli aiuti che questo riceve da pezzi dell'apparato statale. Nemmeno l'ISI è esente da questo problema al quale anzi si sommano divisioni di carattere politico.
Se il Pakistan è davvero responsabile, almeno in parte, degli attacchi, una parte da protagonista deve averla recitata l'ISI (molto potente nel Paese) che oggi sembra spaccato in tre tronconi in lotta tra loro: da un lato la parte fedele all'ex dittatore Pervez Musharraf, al potere fino al 18 Agosto 2008 e con l'appoggio delle onnipotenti Forze Armate dalle quali proviene; dall'altro lato la parte vicina alle forze democratiche ora al potere con il presidente Asif Ali Zardari e infine le frange vicine al terrorismo interno e internazionale e alle Aree Tribali, praticamente fuori il controllo dell'autorità statale.
E' proprio di questi elementi dei Servizi che i terroristi si sono potuti avvantaggiare, oltre naturalmente all'incredibile leggerezza delle forze di sicurezza e di intelligence indiane che non hanno saputo impedire a 15 terroristi di sbarcare con 2 gommoni nel porto della più importante città dell'India carichi di armi ed esplosivi. In seguito a queste responsabilità infatti si è dimesso, all'indomani degli attacchi, il ministro degli Interni del Governo guidato da Manmohan Singh.
IL MARCHIO AL-QAIDA SULLA STRAGE - Sulla matrice del fondamentalismo islamico del massacro del 26 Novembre non sembrano esserci più dubbi. Le prove sembrano schiaccianti: ci sono le telefonate dei terroristi dirette verso numeri telefonici di Karachi, roccaforte pakistana dei gruppi fondamentalisti ma soprattutto sono pesanti le confessioni del terrorista catturato che tra l'altro ha ammesso come l'azione a Mumbai sia stata ispirata all'attacco contro l'hotel Marriott di Islamabad del 20 Settembre 2008 ad opera della galassia che ruota intorno ad Al-Qaida.
Inoltre, la “cura” che gli attentatori hanno dimostrato assalendo il centro ebraico “Chabad” e uccidendo 9 persone tra cui il rabbino, un cittadino americano, dimostra come alla base degli attacchi ci sia non solo un odio viscerale contro tutto ciò che rimandi all'Occidente ma anche e soprattutto un profondo antisemitismo, tipico appunto dell'universo integralista. Al-Qaida, colpendo l'India, intende estendere il jihad al subcontinente indiano dove, non scordiamolo, vivono 140 milioni di musulmani. Se questi abbracciassero la causa jihadista il terrorismo islamico avrebbe vinto la sua battaglia facendo dell'India un immenso Afghanistan. Spetta alla democrazia indiana fare in modo che ciò non avvenga, evitando di erigere barriere tra le varie religioni che compongono il “melting pot” del Paese ma integrando tutti nel grande sogno di Gandhi chiamato India.
(di Marco Di Giacomo - del 2009-01-04) articolo visto 1805 volte
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