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MILK E IL RITORNO AL CLASSICISMO

Obiettivo Oscar mancato, The Millionaire ‘pigliatutto’

LA NOTTE IN CUI "MILK" NON VINSE L'OSCAR - Storia di Gus Van Sant, regista che dopo averci incantato con gli sperimentalismi dei piani sequenza, torna ad una dimensione più classica con l'intenzione nemmeno troppo nascosta di vincere l'Oscar. E non ci riesce.
UN FILM PER L'OSCAR (MANCATO) - Ho sempre pensato che non fosse semplice fare un film biografico. Troppi rischi, troppe trappole. Facile poi cadere nell'agiografia spicciola, nell'iconizzazione. Trasformare il tutto in un kit di simboli e messaggi ad uso e consumo di spettatori inclini alla commozione. Limite mio quello di essere diffidente nei confronti di film che danno già risposte preconfezionate (inevitabili nel biografismo), inducendo induttivamente lo spettatore a trarne già un'annunciata morale.
MILK, ciò premesso, è un bel film. Tratta la storia di Harvey Milk, primo consigliere gay in una San Francisco ancora impreparata ad essere rappresentata da un politico omosessuale, cosa che determinerà poi il tragico epilogo, e lo fa con la consapevolezza di essere un film scritto, diretto e interpretato con l'intenzione di fare man bassa alla notte degli Oscar, cosa poi che non è successa, colpevole il pluridecorato e altrettanto sopravvalutato THE MILLIONAIRE di Danny Boyle, buonissima pellicola, ci mancherebbe, ma di qua a dire che meritava tutto quello che si è portato a casa ce ne corre, ne converrete.
DALLO SPERIMENTALISMO AL CONVENZIONALE - Abbandonate le produzioni low budget, Gus Van Sant ha deciso, dietro le motivazioni che hanno sorretto la sua volontà di portare sullo schermo una storia di coraggio e orgoglio gay, che MILK nulla avrebbe dovuto concedere allo sperimentalismo dei piani sequenza e dell'introspezione di capolavori come ELEPHANT o PARANOID PARK, puntando invece su una regia partecipe ma convenzionale, e su una magistrale interpretazione (quella di Penn) che da sola vale tutto il film (non a caso premiata con la statuetta, anche se il nostro gigioneggia un po').
Gus Van Sant è un regista che nella sua carriera ci ha abituato a tutto e al contrario di tutto: personalmente credo che la sua cifra stilistica sia da ricercarsi nel suo essere capace di porsi come osservatore imparziale di eventi, piuttosto che come sostenitore di cause. In ELEPHANT è osservatore imparziale: la storia di Eric e Alex che, alla fine di un giorno normale dove tutto è ripreso da diverse soggettive, entrano nella scuola e compiono il massacro, non ha nessun giudizio implicito.
E' puro reportage, condotto da diversi punti di vista, tanto da indurre lo spettatore ad una anestesia emotiva che lo induce prima a ‘claustrofobizzarsi’ nell'attesa dell'apocalisse finale, poi a viverlo quasi con rassegnazione, come una cosa inevitabile ma anche liberatoria, nell'assoluta impassibilità, quasi fosse quella l'unica conclusione possibile, e tutti i giorni fatti di niente, quotidianità e routine, dovessero andare a terminare in quel modo.
In MILK Van Sant invece si schiera: decide che non può lasciare lo spettatore libero di risposte e lo ingabbia in un grande film di cause civili. Prende una storia OBAMIAMA ai massimi livelli (un gay consigliere comunale nella San Francisco degli anni settanta, un presidente nero negli Stati Uniti del ventunesimo secolo) e libera il pubblico in sala dall'onere di dover pensare. Basta domande, basta interrogativi. Vi siete interrogati con ELEPHANT, lo stesso avete fatto con PARANOID PARK, adesso non è più tempo di lasciare questioni aperte: MILK emblema delle differenza che lottano per affermarsi, e che pagano con la vita il loro porsi contro il sistema.
NULLA DI NUOVO SOTTO IL SOLE - Il limite di un film come MILK è la mancanza di originalità: la storia è edificante, ma non è nulla che non si sia già visto. Forse Van Sant avrebbe avuto modo di farci indignare maggiormente utilizzando la sua magistrale capacità di fare cinema sperimentale e ad alto tasso emozionale senza ricorrere al sensazionalismo estetico da Blockbuster.
MILK è un film dove non succede nulla che lo spettatore non si aspetti, e non soltanto perchè ne conosce la storia. Anche di ELEPHANT si conosceva la storia(ispirata alla strage di Columbine), ma il caleidoscopio registico con cui Van Sant travolgeva e destrutturava gli eventi e i personaggi rendeva ogni fotogramma imprevisto e indispensabile, cosa che il MILK, giocoforza, purtroppo non succede.
Rimane comunque la soddisfazione per una storia importante e relativamente poco conosciuta che arriva al grande pubblico, osteggiata per anni, stando a quanto dice il regista, perchè a Hollywood ancora non è facile fare film che trattino il tema dell'omosessualità, e c'è voluto Ang Lee con i suoi cowboys e la volontà di Sean Penn ad accettare il ruolo per sdoganare il progetto da un destino di copione chiuso in un cassetto. Con il dubbio che dietro una produzione così leccata e condotta senza guizzi, la storia indigni lo spettatore per il tempo della proiezione liberandolo da ogni affanno nel momento stesso che compaiono i titoli di coda.
(di Alessandro Berselli - del 2009-03-22) articolo visto 1778 volte
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