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LE ELEZIONI POLITICHE 2013 HANNO SEGNATO LA FINE DEL BIPOLARISMO?

Analisi ed osservazioni sui risultati delle elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013

Le elezioni politiche del 24 e 25 febbraio 2013 (le prime svoltesi in inverno nella storia repubblicana) hanno consegnato al Paese un Parlamento “tripolarizzato”, complice la legge elettorale esistente dal 2005 (la legge n. 270, il famigerato Porcellum), e di fatto ingovernabile per qualsiasi coalizione.
Il Porcellum, infatti, assegna un consistente premio di maggioranza alla Camera, il 55% pari a 340 seggi, al partito o alla coalizione che ottiene anche solo un voto in più degli avversari (stavolta a giovarsene è stato il centrosinistra nonostante abbia raggranellato solo 125.000 voti in più della coalizione guidata da Berlusconi) ma non altrettanto semplice, per Bersani, è la situazione al Senato. Questo perché, in quest’ultimo, la legge elettorale esistente non assegna un premio di maggioranza nazionale ma premi di maggioranza regionali, sempre nella misura di almeno il 55% dei seggi spettanti ad ogni regione: sistema che può generare il grande problema politico di una maggioranza diversa tra i due rami del Parlamento o, come in questo caso, una situazione di stallo in quanto nessuno raggiunge la maggioranza assoluta a Palazzo Madama ma che fu voluto dall’allora presidente Ciampi per salvaguardare il dettato costituzionale che esplicita come il Senato della Repubblica sia “eletto a base regionale, salvi i seggi assegnati alla circoscrizione Estero”.
Con le elezioni, dunque, si è giunti ad una situazione politica molto complicata. Molte sono le novità emerse, tali addirittura da far sembrare naturale l’accostamento alle Politiche del 1994 che provocarono una rivoluzione copernicana per la politica italiana. Innanzitutto ben il 65% degli eletti sono alla prima esperienza in Parlamento e l’età media è crollata dai 54 anni della XVI Legislatura ai 48 anni della XVII Legislatura che inizierà ufficialmente il 15 marzo: effetto dell’ingresso dei 163 parlamentari del MoVimento 5 Stelle e in misura minore del rinnovamento dei candidati nelle liste del Partito Democratico. Altro dato positivo è sicuramente la maggiore presenza femminile in Parlamento, balzata al 31% in virtù del ben 41% di donne elette tra le file del PD mentre il M5S segue a ruota con il 38%.
Tuttavia la vera frattura con gli ultimi 20 anni, segnati dall’avvento di Berlusconi e dal cambiamento prodotto nella cosiddetta Seconda Repubblica, è da ricercarsi nel risultato stesso delle elezioni. Beppe Grillo, con il suo MoVimento 5 Stelle, è riuscito nell’impresa di minare fortemente, se non di scardinare, il sistema bipolare. Dalle urne, infatti, non è uscito un vincitore ma tre minoranze, senza contare gli altri partiti o coalizioni, staccati di molti punti: il centrosinistra, primo con il 29,5% (rispetto al 2008 perde il 7,95%), il centrodestra con il 29,18% (lascia per la strada il 17,62% dei consensi ma si rende protagonista di una grande rimonta negli ultimi due mesi, causa prima dei guai di Bersani) e l’incredibile risultato del MoVimento 5 Stelle, arrivato terzo con il 25,55% ma primo come partito se vengono disaggregate le due grandi coalizioni tradizionali.
Analizzando la situazione da un’altra prospettiva si ha una consapevolezza ancora maggiore del crollo dei due poli che negli ultimi vent’anni si sono rimpallati potere, insulti e responsabilità. Alle politiche del 2008, Berlusconi e Veltroni presero complessivamente l’84,4% dei voti (per giunta con soli 4 partiti e un partitino dell’1% come l’MpA). A cinque anni di distanza, e con un numero di liste maggiore a farne parte, le due coalizioni insieme hanno raccolto il 58,7%, ossia il 25,7% in meno… guarda caso quasi lo stesso risultato ottenuto da Grillo!
Bastano questi pochi numeri percentuali per capire come non si possa più parlare di bipolarismo. I poli sono diventati tre, anzi 4 se si conta anche il raggruppamento di Monti, ma con un risultato molto modesto e con una grossa incertezza sulla capacità di restare unito già nel prossimo futuro.
Tuttavia un assetto politico è strutturato innanzitutto sulla legge elettorale e il Porcellum favorisce in misura netta le coalizioni, in quanto con le aggregazioni di liste è più facile raggiungere il premio di maggioranza alla Camera e i primi di maggioranza regionali al Senato. E’ la legge elettorale a comandare i giochi. Infatti il PD con solo il 4% in più, a Montecitorio si ritrova con ben 188 deputati in più di Grillo. Dunque, fintanto che i segretari di partito non si metteranno d’accordo per modificare il Porcellum (a parole da tutti vituperato ma finora nessuno l’ha toccata per un ovvio interesse da parte dei leaders che, de facto, sono coloro che decidono le liste bloccate dei candidati), il tradizionale assetto bipolare della politica italiana può ancora tornare a fare la voce grossa. Diversamente, con un radicale cambiamento della legge elettorale, ad esempio in senso proporzionale puro (ossia non “corrotto” da premi di maggioranza e soglie di sbarramento), il bipolarismo potrebbe finire in soffitta. Altro colpo per la tradizione di soli due poli contrapposti che si contendono il potere deriverebbe della fidelizzazione degli elettori al MoVimento 5 Stelle e la sua trasformazione in un partito di senso compiuto, conservando cioè stabilmente una rilevante quota del proprio elettorato.
Ma l’attuale sospensione del bicameralismo è dovuta in larghissima parte alla sfiducia di un quarto degli italiani nelle coalizioni che si sono divise il potere da 20 anni a questa parte: la crescita di Grillo va intesa come un calcio a partiti troppo litigiosi, inefficienti, poco inclini all’accordo e insensibili alle sofferenze provocate dalla crisi. Se questo rapporto di fiducia non dovesse ricostruirsi in tempi rapidi la sorte, non solo del bipolarismo ma anche dei protagonisti dei due poli, potrebbe essere segnata, almeno nel medio periodo.
(di Marco Di Giacomo - del 2013-03-22) articolo visto 4839 volte
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