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A KABUL STRAGE DI PARÀ DELLA FOLGORE

i talebani con un attentato suicida tornano a colpire il contingente italiano

L'Italia torna a piangere i suoi caduti nelle missioni internazionali di pace. Stavolta sono i parà della Folgore di stanza a Kabul, la capitale afghana, a offrire un pesante tributo di sangue ma per il resto si presentano tristemente ai nostri occhi le stesse immagini di sempre: i fumi delle auto in fiamme, il cratere provocato dall'esplosivo e brandelli di corpi sull'asfalto. I Talebani si sono rifatti vivi a Kabul il 17 settembre alle 12:10 ora locale e l'hanno fatto a modo loro. Con una Toyota Corolla bianca (utilizzata spessissimo dai terroristi perchè è l'auto più diffusa in Afghanistan e passa facilmente senza destare sospetti) imbottita di oltre 150 kg di esplosivo. A guidarla un kamikaze (si chiamava Hayutullah, l'hanno detto i Talebani nella rivendicazione dell'attentato) ebbro di odio e fanatismo, che ha deciso di porre fine alla propria vita andando a scontrarsi contro un convoglio di militari italiani diretti all'aeroporto. I folgorini viaggiavano all'interno dei blindati Lince ma l'esplosione è stata più forte dell'acciaio e due mezzi sono andati completamente distrutti uccidendo 6 militari e ferendone altri 4 che però fortunatamente non sono in pericolo di vita, oltre a 15 vittime tra la popolazione civile.
LA PRESENZA ITALIANA IN AFGHANISTAN - Quello del 17 settembre a Kabul è stato l'attacco più grave subito dall'Italia dalla strage nella base di Nassiriya, in Iraq nel 2003 quando un kamikaze provocò la morte di 19 militari italiani e 9 civili iracheni. Un alto tributo di sangue, dunque, che testimonia l'impegno nella lotta al terrorismo di tutti i Governi, a prescindere dal colore politico, da quel terribile 11 settembre ad oggi. Il nostro Paese è infatti uno di quelli maggiormente esposti nel contrasto al terrore, avendo nelle missioni di pace in tutto il mondo oltre 9000 uomini, dei quali 3200 sotto le insegne della Nato in Afghanistan (avendo anche 21 morti) così suddivisi: 2700 soldati nella provincia di Herat, a Ovest, in una zona un tempo relativamente tranquilla mentre oggi sempre più turbolenta e 500 fra soldati e carabinieri a Kabul, nella capitale, dove appunto il 17 settembre sono stati colpiti gli uomini della Folgore. Ma l'impegno italiano non si limita al lavoro sul terreno per assicurare la sicurezza agli afghani e la lotta contro i Talebani, poiché opera anche con una task force per rifondare ex novo il sistema giudiziario di quella martoriata Nazione.
L'INVASIONE SOVIETICA E LA NASCITA DEI MUJAHEDDIN - Il Paese moderno dove in una delle sue tante regioni storiche Alessandro Magno decise di sposare Rossane (in persiano “piccola stella splendente”) è un mosaico di lingue ed etnie (Pashtun 38%, Tagiki 25%, Hazara 19%, Uzbeki 6%, Aimak 4%, Turkmeni 3%, Beluci 2%, altri 3%) accomunate dalla religione musulmana. Il calvario dell'Afghanistan ha inizio con l'invasione sovietica nel 1979 anche se la situazione era già effervescente sin dal 1973 quando Mohammed Daoud Khan depose il re Zahir Shah, al potere dal 1933 e artefice di molte misure per modernizzare il regno. L'occupazione sovietica, fece scendere il Paese nell'incubo della guerra civile: in dieci anni il conflitto tra occupanti, con i loro alleati locali e i mujaheddin, organizzati dai leader religiosi e armati dagli Usa, Pakistan, Iran e Arabia Saudita, fece un milione e mezzo di morti, facendo sprofondare l'Afghanistan nell'età della pietra. In seguito al ritiro dei sovietici, avvenuto nel 1989, e alla caduta del regime comunista di Kabul, nel 1992, il paese cadde in uno stato di anarchia, mentre varie fazioni di mujaheddin entrarono in lotta per il potere, in un oceano di mine antiuomo.
I TALEBANI AL POTERE - In questo caos uscì alla ribalta Mohammed Omar che si pose a capo di un gruppo di combattenti noti come Talebani (studenti). I suoi soldati venivano dalle scuole Coraniche (madaris) dell'Afghanistan e dai campi profughi che si trovavano lungo il confine con il Pakistan. Combatterono contro la corruzione dilagante che era emersa nel periodo della guerra civile e furono inizialmente accolti con piacere dagli afghani stanchi della dominazione dei signori della guerra. Nel 1996 i Talebani entrarono a Kabul, riunificando quasi completamente il paese sotto il loro dominio ma instaurando uno dei regimi più duri e arcaicizzanti che la Storia ricordi: hanno fatto scalpore le cannonate contro gli antichi Buddha di Bamiyan oppure provvadimenti che a noi occidentali appaiono senza senso come il divieto di far volare gli aquiloni o di avere uccellini (la motivazione ufficiale era “perchè cantano”). L'Afghanistan divenne in breve tempo un santuario dell'integralismo e del fondamentalismo islamico, attirando e proteggendo tutti coloro che durante gli anni '70 avevano combattuto i sovietici come mujaheddin e ora si trovavano senza prospettive. Tra loro un certo Osama Bin Laden...
LA SITUAZIONE ATTUALE - Tutto il resto è Storia recente: l'11 Settembre, l'operazione Enduring Freedom con l'invasione americana e la cacciata rapidissama dei Talebani che si rifugiano nelle zone tribali semi-indipendenti all'interno dei confini del Pakistan. Ma gli Studenti Coranici dopo qualche mese di sbandamento passano al contrattacco e dal 2002 danno filo da torcere alle forze americane e Nato raggruppate nell'International Security Assistance Force (ISAF). Sin dall'inizio il Presidente Hamid Karzai, installato dall'Amministrazione Bush ma poi confermato da due successive elezioni popolari (seppur con il sospetto grave di massicci brogli), è considerato il “Sindaco di Kabul”: alla sola capitale, infatti, si estende de facto l'autorità del suo Governo. Nelle 34 province, invece, spadroneggiano i locali signori della guerra che nel proprio territorio si comportano da monarchi assoluti reggendo il loro territorio grazie agli accordi con i capi clan ed ai propri eserciti personali. Intere aree del Paese, infine, sono nelle mani dei Talebani che oggi, forti dell'appoggio finanziario delle organizzazioni fondamentaliste islamiche e agli aiuti dell'ISI, il potentissimo servizio segreto pachistano, sembrano capaci di riconquistare il terreno perso negli anni scorsi. L'attentato contro i parà della Folgore del 17 settembre è un forte segnale politico agli afghani e al Governo Karzai: ormai il Sindaco di Kabul non riesce più a controllare nemmeno la città, se un kamikaze riesce a far passare 150 kg di espolosivo e compiere una strage a due passi dalla Green Zone, l'area che è, o meglio era, la più sicura del paese.
IN ITALIA DOPO LA STRAGE SI FANNO POLEMICHE - Il sistema politico e partitico italiano non è propriamente tra i più maturi d'Europa, ma questo lo sapevamo già. Puntuali infatti, sono arrivate le polemiche, insieme alle prime notizie della strage dei sei ragazzi della Folgore. Immediatamente dopo i minuti di silenzio e le manifestazioni di solidarietà di rito dei partiti alle famiglie, il teatrino della politica ha dato il meglio si sè. Bossi dichiarava che fosse stato per lui a Natale avrebbe riportato tutti i soldati a casa, mentre l'Italia dei Valori rincarava la dose dicendo che ormai in Afghanistan si è in guerra e occorre richiamare le truppe in Patria, vista l'impossibilità di giungere sul campo ad un risultato. Tutta la sinistra, come in altre tristi occasioni, invocava il rimpatrio immediato mentre addirittura il Pd (un grande partito con ambizioni di governo) invitava a “riflettere” sulla missione dei nostri soldati e a predisporre un nuovo approccio che li riporti a casa.
Quando avremo finalmente una classe dirigente capace di affrontare anche le situazioni più scomode e dure, senza il timore di affrontarle per non perdere una manciata di voti? Dovrebbero spiegarci che in Afghanistan si è sbagliato molto, come in Iraq, ma che la fuga non aiuterebbe le cose. Occorre cambiare politica cercando l'appoggio dei capi clan e dando maggior spazio alle potenze locali come Iran e Pakistan e quelle emergenti come Cina e India. Il Governo di Karzai (democraticamente eletto, non dimentichiamocelo), senza il contingente militare occidentale, cadrebbe nel giro di breve tempo e ritornerebbero al governo a Kabul coloro che hanno vietato gli aquiloni e usavano gli stadi per le impiccagioni pubbliche. Un'organizzazione terroristica, quando può contare sull'aiuto e la protezione di uno Stato sovrano, come fu per Al Qaeda in Afghanistan dal 1996 al 2001, inevitabilmente arriva a colpirci sin nelle nostre città. Perchè ciò che li spinge non è (solo!) la volontà di riconquistare Gerusalemme e scacciare gli infedeli da tutto il mondo islamico ma è un odio cieco, assoluto. I nostri soldati in missione in Afghanistan hanno il compito di stabilizzare la regione. E' un compito difficile che richiede 10-15 anni di sangue, sudore e lacrime ma abbandonare ora il campo non farebbe che rafforzare il terrorismo e ritornare il popolo afghano alla mercè dell'oscurantismo talebano.

(di Marco Di Giacomo - del 2009-09-21) articolo visto 3391 volte
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