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DIANA VREELAND MEMOS: THE VOGUE YEARS

Rizzoli NY celebra Diana Vreeland, la leggendaria fashion editor di Vogue America

“Gli occhi sono fatti per viaggiare”, diceva Diana Vreeland. Donna anticonformista, eccessiva e indiscutibilmente geniale, firma irriverente che ha rivoluzionato un secolo di moda e di giornalismo.
Ora per celebrarla un libro: “Diana Vreeland Memos: the Vogue years” edito da Rizzoli New York che racconta la vita professionale della Vreeland nei suoi anni come onnipotente direttrice della rivista Vogue America – tra il 1963 e il 1971 – quando portò la pubblicazione a dei livelli inimmaginabili per l’epoca.
E lo fa con testimonianze e lettere proprie della protagonista. Una vera dimostrazione del suo talento creativo. Diana Vreeland aveva capito la moda come poche altre persone: sapeva comunicarla bene perché la conosceva nella sua essenza più profonda.
Parigina di nascita, newyorkese di adozione è stata una di quelle eclettiche, discusse, controverse figure del fashion system. I suoi servizi hanno attraversato un secolo, il ‘900, lasciando una scia di leggenda nella memoria dei posteri.
Genio creativo e anticonformista. Vreeland ha trasformato Vogue da una rivista di società patinata in una pubblicazione statunitense di moda audace, fresca e assolutamente contemporanea e Vreeland Memo mostra al lettore come è diventata una delle donne più influenti nella storia della moda, così come la sua irriverenza, il suo umorismo, le sue idee visionarie, i suoi capricci, i suoi codici e la maggior parte di tutti i suoi talenti unici.
Una donna che si propose di emergere in un mondo dominato dagli uomini, imponendo la figura della ragazza ambiziosa e stravagante e anticipando le tendenze, incurante degli scandali (come quando sdoganò il bikini e i blue jeans). Non erano più le famiglie borghesi cui lei voleva rivolgersi. La gioventù era la sua ispirazione e la nuova donna era la sua lettrice più irriverente. Per la prima volta la moda veniva dalla strada, ma Diana Vreeland amava stare sempre un passo in avanti rispetto al pubblico. Prima della partenza dei redattori per i servizi di moda era solita affermare: “Esagerate e se non trovate quello che vi ho chiesto allora inventatelo”.
Ma sono soprattutto gli estratti che compongono il quadro di una donna irriguardosa e dall'energia vulcanica, che adorava la mondanità e i fermenti culturali della Parigi della Belle Epoque, che trovò nel fervore libertario, giovanilistico e anticonformista degli anni Sessanta le più fertili condizioni di ispirazione.
Quarantadue anni dopo le dimissioni come editor-in-chief della rivista Vogue e 24 anni dopo la sua morte, l'eredità di Vreeland continua a vivere attraverso l'emozione viva del suo lavoro. Memos offre una straordinaria raccolta con più di 250 pezzi di corrispondenza privata personalmente selezionati dal nipote della giornalista scomparsa, Alexander Vreeland.
Le sue lettere vibranti a fotografi, tra cui Richard Avedon, Cecil Beaton, Horst P. Horst, Norman Parkinson, spiegano la genesi di alcune delle storie più celebri di Vogue. Fotografie dalla rivista illustrano i memo, mostrando la preveggenza e l'immaginazione sconfinata di Diana.
Mentre i suoi appunti e le lettere da e per i designers - Cristobal Balenciaga, Coco Chanel, Oscar de la Renta, Valentino Garavani, Guccio Gucci, Yves Saint Laurent e Diane von Furstenberg - restituiscono una formazione intima nella moda e spiegano perfettamente perché il suo Vogue era innovativo e divertente. Diana cercava un dialogo con le persone della moda e suggeriva agli stilisti le correzioni da apportare alle collezioni. La lista di personaggi che aiutò ad emergere va da Twiggy a Cher, da Lauren Bacall a Lauren Hutton, da Angelica Huston a Marisa Berenson (che Diana fece fotografare per Vogue da Irving Penn, vestita solo di una collana di metallo). Aiutò a crescere Emilio Pucci e Manolo Blahnik, Missoni e Valentino.
Inoltre, ogni capitolo di Memos è introdotto da un commento di redattori di Vogue che hanno lavorato con lei, consegnando uno sguardo davvero entro al suo stile unico di gestione. La Vreeland non credeva nelle riunioni, eleggendo invece di comunicare con il suo staff attraverso una quotidiana corrispondenza ad personam. All'inizio di ogni giornata, dettava promemoria per telefono dal suo appartamento di Park Avenue. Quando arrivava in ufficio a Vogue non era mai prima di mezzogiorno, a volte aggiungendo le sue iniziali con un pennarello colorato prima che le missive fossero state spedite da uno dei suoi assistenti.
Una vita vissuta fino in fondo la sua, senza fermarsi mai e senza rinunciare a niente. Lussi, eccessi e divertimenti inclusi, perché “non bisogna mai aver paura di essere volgari, solo di essere noiosi” sosteneva. Dalle sontuose dimore londinesi alla Parigi degli anni trenta, dal jet-set newyorchese alle ribalte più esclusive del mondo, si susseguono stuzzicanti aneddoti condivisi con la sua eclettica cerchia di amici, fatta di artisti e principi, star del cinema e icone pop: da Coco Chanel a Jack Nicholson, da Andy Warhol a Joséphine Baker.
«Non conta tanto il vestito che indossi, quanto la vita che conduci mentre lo indossi». Così pensava Diana e questo insegnamento se lo cucì addosso, riuscendo a morire giovane all'età di 86 anni, lavorando fino alla fine.
Dopo l'avventura di Vogue, infatti, si impegnò come consulente tecnico dell'Istituto del costume del Metropolitan Museum of Art, che osò trasformare in una sorta di night club, con sommo scandalo dei benpensanti e straordinario successo di pubblico e celebrità. Diana Vreeland è la storia di una donna che è stata capace di catturare lo spirito del tempo e fotografare i grandi mutamenti del Novecento sulle pagine di Vogue e poi nelle sale del Metropolitan Museum of Art. Perché la moda e l'arte si fanno così, con l'immaginazione e il coraggio di vedere il futuro.
Credits: © Diana Vreeland Memos: The Vogue Years Edited by Alexander Vreeland, Rizzoli New York, 2013
(di Rosalba Radica - del 2013-12-30) articolo visto 4836 volte
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