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ELEZIONI USA 2008: L'AMERICA AL BIVIO

Il 4 Novembre gli Usa alle urne per scegliere l'uomo che siederà nell'Ufficio Ovale

Solo tra pochi giorni la più grande potenza del pianeta chiamerà i propri cittadini alle urne per decidere se sarà il democratico Barack Obama o il repubblicano John McCain a trasferirsi alla Casa Bianca come 44° Presidente degli Stati Uniti d'America. Il 4 Novembre, election day per le presidenziali, sarà una data cruciale. Innanzitutto perché si chiude (finalmente direbbe qualcuno...) l'era di George W. Bush: un Presidente che esce di scena con il minimo storico di consensi e nel bel mezzo di una crisi economica e finanziaria come mai s'era vista dal '29 ma che sicuramente resterà nella Storia, nel bene e nel male, come l'uomo che ha guidato gli Usa durante il giorno più lungo e drammatico che il suo Paese ricordi, talmente importante da aver segnato un solco profondo tra un prima e un dopo 11 settembre.
Il 4 Novembre, inoltre, è una data straordinariamente colma di significato non solo perché gli americani andranno ad eleggere l'uomo che più di tutti andrà a incidere sul loro (e nostro) futuro ma anche per la natura dei due contendenti. Si affrontano infatti, due visioni antitetiche della vita made in Usa. Il primo afroamericano ad arrivare alla nomination e per giunta musulmano contro il reduce dal Vietnam da sempre considerato il “bastian contrario” del partito repubblicano che per questo l'ha amato poco in passato.
LO SCONTRO SULL'ECONOMIA - La campagna elettorale dei due candidati è stata incentrata, in larga parte, sul terreno economico. Non poteva essere diversamente, vista la grave crisi che tuttora sta sconquassando i mercati e l'economia del gigante a stelle e strisce, con gravissime ripercussioni su milioni di cittadini americani che hanno perso il lavoro e la casa per l'impennata dei mutui. Per far fronte a questa drammatica situazione sociale, i due candidati hanno fatto ricorso a ricette antitetiche. Infatti McCain propone di tagliare le tasse per far ripartire i consumi e gli investimenti, rimettendo così in moto l'economia: è un vecchio cavallo di battaglia dei repubblicani, già utilizzato a piene mani anche da Bush ma è un discorso al quale gli americani prestano sempre orecchio, convinti come sono della necessità dello “Stato minimo”. Per Obama invece, bisogna tagliare sì le tasse ma non indiscriminatamente bensì facendo pagare di più i ricchi, ossia coloro con un reddito superiore ai 250mila dollari. Quella della redistribuzione sociale è l'idea che caratterizza, in questa campagna elettorale, l'approccio dei Democratici in economia e contrariamente alla tradizione questa volta, complice la crisi in atto, è una ricetta che trova un riscontro favorevole tra gli americani, specialmente tra i ceti meno abbienti.
LE DIVERSE POSIZIONI SULL'IRAQ - L'altro importante campo di battaglia sul quale si sono scontrati i due candidati non poteva non essere la politica estera, in particolare la guerra in Iraq. Su questo argomento la distanza tra Obama e McCain è ancora maggiore. Infatti il primo si è sempre schierato apertamente contro l'invasione americana del 2003, votando anche contro in Senato, e proponendo in campagna elettorale ai propri elettori di lasciare l'Iraq gradualmente entro 16 mesi dal suo insediamento alla Casa Bianca. Molto diversa la posizione di McCain che nel 2003 votò a favore dell'opzione militare ma che ora si trova nella difficile posizione di stare stretto tra i falchi repubblicani che non vogliono affatto il ritiro delle truppe e la stragrande maggioranza dell'opinione pubblica che giudica ormai insostenibili le perdite della guerra, la più sanguinosa dai tempi del Vietnam, costata finora la vita a 4.189 americani (dati aggiornati al 30 ottobre 2008 dal sito www.icasuelties.org). Il candidato dei repubblicani propone perciò che lo sganciamento dal pantano iracheno sia deciso di comune accordo con i militari e le autorità dell'Iraq ma avvenga solo quando ci saranno le condizioni, non prima di 3-4 anni quindi, per non distruggere il lavoro svolto nella lotta ai terroristi.
LA VOGLIA DI CAMBIAMENTO DEGLI AMERICANI - La parola in assoluto più usata nel corso della campagna elettorale è stata “change”. Dopo 8 anni del Presidente di guerra Bush, dopo una crisi economica che ha ridotto sul lastrico milioni di americani, dopo un periodo straordinariamente instabile per la sicurezza di ogni singolo cittadino, in America c'è grande voglia di cambiamento. E' l'unico argomento che ha unito indifferentemente repubblicani e democratici perché tutti si rendono conto che l'americano medio è stanco, spaventato e logorato da quello che molti già considerano il peggior Presidente di sempre. Su questo terreno naturalmente Obama è avvantaggiato dalla sua storia politica e sopratutto dal fatto che i Democratici si sono sempre posti come alternarnativi a Bush mentre McCain è in forte difficoltà.
E' andato in ogni angolo d'America ripetendo la parola “change” e dicendo “non confondetevi, non sono Bush” ma la sua base elettorale è la stessa che solo 4 anni fa ha riportato alla Casa Bianca l'attuale Presidente. Tuttavia oggi è lo stesso elettorato tradizionalmente repubblicano a voler dimenticare Bush tanto che persino roccaforti di destra come Ohio e North Carolina vedono nei sondaggi un leggero vantaggio di Obama che dalla sua ha anche l'appoggio di politici un tempo schierati con Bush come l'ex Segretario di Stato, Colin Powell. Insomma nella corsa generale a dimenticare l'attuale Presidente, McCain pare in affanno, non potendo del tutto rinnegare la sua “parentela” politica con l'Amministrazione in carica.
IL CICLONE SARAH PALIN - Un altro punto a sfavore di McCain si è rivelata essere la scelta di Sarah Palin come sua vice nella corsa alla presidenza. La governatrice dell'Alaska è un falco del partito repubblica e, nelle intenzioni dei guru della campagna elettorale di McCain, doveva rappresentare al tempo stesso una novità, in quanto prima donna dei Repubblicani ad essere candidata a quella carica, e un punto di continuità con la tradizione, in quanto nel partito incarna l'ala più conservatrice. Tuttavia dopo un primo tempo di entusiasmo per tale scelta, da più parti la Palin è stata accusata di avere poca esperienza per un ruolo tanto delicato e soprattutto è stata oggetto di una durissima campagna di satira che ha demolito la sua figura. A pochi giorni dalle consultazioni, la candidata vicepresidente di McCain è già una “separata in casa” nel partito repubblicano in quanto ormai è accusata sempre più apertamente di essere la responsabile dell'eventuale sconfitta. Ma Sarah Palin non vuole passare da capro espiatorio e ha dato battaglia nelle stanze dei bottoni del partito. Questa maretta interna e le altre condizioni sfavorevoli in cui versa McCain mettono a forte rischio la sua riuscita e i sondaggi (da prendere sempre con le molle come tutti i sondaggi pre-elettorali) sempre più a favore di Obama descrivono bene la situazione americana. Secondo gli analisti ormai il voto del 4 Novembre si sta trasformando sempre più in un referendum: gli elettori saranno chiamati semplicemente a pronunciarsi pro o contro Obama. Rebus sic stantibus il candidato democratico sembra avere più possibilità di trasferirsi come inquilino alla Casa Bianca. Ma la parola passa tra poco agli elettori, giudici senza appello, e la politica, si sa, riserva sempre tante sorprese...
(di Marco Di Giacomo - del 2008-11-01) articolo visto 2018 volte
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