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THE GREAT GIG IN THE SKY

Il 15 settembre se ne è andato Richard Wright, tastierista dei Pink Floyd e autore di alcune delle pagine più belle nella storia della musica rock

Schivo, spesso oscurato dal carisma di Roger Waters e David Gilmour, lo ricordiamo come la dark side di uno dei gruppi più influenti della scena psichedelica britannica.
CHI ERA RICHARD WRIGHT? - "Nelle discussioni su chi o cosa fossero i Pink Floyd, il contributo enorme di Rick è stato spesso trascurato. Era gentile, modesto e riservato, ma la sua voce profonda e il suo modo di suonare erano vitali, magiche componenti del nostro riconoscibile sound. Non ho mai suonato con nessuno come lui. L'armonia delle nostre voci e la nostra telepatia musicale sono sbocciate nel 1971 in Echoes. A mio giudizio tutti i più grandi momenti dei Pink Floyd sono quelli in cui lui è a pieno regime. Dopo tutto, senza “Us and Them” e “The Great Gig in the Sky”, entrambe composte da lui, cosa sarebbe stato “The Dark Side of the Moon”? Senza il suo tocco pacato l'album “Wish You Were Here” non avrebbe funzionato molto".
Questo ha detto David Gilmour, chitarrista dei Pink Floyd, il 15 settembre, il giorno che Richard Wright se ne è andato. Meno prolifico degli altri membri, ma capace di consegnare alla storia della musica pagine indimenticabili come “THE GREAT GIG IN THE SKY”, “US AND THEM”, “ECHOES” e “SHINE ON YOU CRAZY DIAMOND”, Richard Wright è stato tastierista abile nel rimanere misurato in uno scenario, quello progressive degli anni settanta, dove essere musicisti ha spesso significato esibizione sterile del proprio virtuosismo, come testimoniano gli impressionanti onanismi auto-compiaciuti di Rick Wakeman e Keith Emerson, strumentisti talentuosi ma schiavi di un tecnicismo che a un certo punto, inevitabilmente, ha preso il sopravvento sulla loro creatività.
UNO COME TANTI, MA DIVERSO DA TUTTI - Richard Wright, come Tony Banks dei Genesis, non ha mai sentito il bisogno di ricordare al mondo di essere il primo della classe. Non lo era e non gli interessava. Wright concepiva la funzione del suo strumento come una scenografia, come uno sfondo dove si è grado di capirne l'importanza solo nel momento in cui si rivela con la sua assenza: in fondo la forza dei Pink Floyd era tutta in questo equilibrio tra musicisti meno dotati dal punto di vista tecnico di quanto potesse esserlo Yes o Emerson Lake & Palmer (lo stesso Gilmour è stato chitarrista suggestivo ma meno versatile di un Steve Howe o di un Ritchie Blackmore), ma abili, nel contempo, a creare quelle potenti alchimie sonore che ne hanno fatto uno dei gruppi più importanti nella storia del rock, in grado di attraversare quattro decenni ponendosi sempre, all'interno degli stessi, come efficaci interpreti di una coerente evoluzione.
DAGLI ESORDI AL SUCCESSO - I Pink Floyd si formano nel 1965, quando Wright ha ventidue anni. Aderiscono da subito alla scena underground di matrice psichedelica trovando, nel chitarrista Syd Barrett, il loro naturale leader carismatico. Folle, geniale, completamente instabile per l'abuso di droghe e sostanze lisergiche, la breve stagione di Barrett alla guida dei Pink Floyd si esaurisce con due album, lo strepitoso “THE PIPER AT THE GATES OF DOWN” e il successivo “A SAUCERFUL OF SECRETS”.
Ma è con “THE DARK SIDE OF THE MOON” e “WISH YOU WERE HERE” che la figura di Wright comincia ad assumere, all'interno del gruppo, una sua fisionomia più definita: una maggiore partecipazione all'attività compositiva ed alcune soluzioni strumentali di grande efficacia (i sintetizzatori di “ANY COLOUR YOU LIKE”, “WELCOME TO THE MACHINE” e “SHINE ON YOU CRAZY DIAMOND”, il pianoforte malinconico di “US AND THEM”, l'intera scrittura di “THE GREAT GIG IN THE SKY” supportata dalla splendida voce di Clare Torry) creano, all'interno del gruppo, un significativo contraltare al duopolio Gilmour-Waters, nonchè un fondamentale tappeto sonoro per i Pink Floyd della maturità, quelli che arriveranno a fine decennio a partorire il monumentale “THE WALL”, album epocale sia dal punto di vista delle innovazioni musicali (rock, classica, contaminazioni disco) che da quello lirico, sofferto e drammatico concept sull'alienazione e la cultura massificata.
Proprio “THE WALL” rappresenta però la rottura tra Wright e Waters, con il conseguente allontanamento del tastierista che rientrerà solo nel 1987 per le registrazioni di A MOMENTARY LAPSE OF REASON, mentre la macchina Pink Floyd è oramai completamente nelle mani di David Gilmour. “THE DIVISION BELL” del 1994, che vede Wright impegnato nelle scrittura di ben cinque pezzi, è l'ultimo album in studio dei Pink Floyd.
NON HO PAURA DI MORIRE - La potenza della musica rock non è soltanto nella sua straordinaria capacità evocativa, ma anche in quell'aura di mito che da sempre circonda i personaggi che ne hanno fatto la storia. Wright non è morto come un rocker maledetto, non è stato trovato in qualche camera d'albergo in overdose da barbiturici e non si è nemmeno suicidato sparandosi un colpo alla testa. Wright è morto come muoiono in tanti, per un tumore, che a sessantacinque anni se lo è portato via in poco tempo, tanto che nessuno di noi sapeva, nessuno di noi immaginava.
Eppure Wright, quando trentacinque anni fa ha scritto “THE GREAT GIG IN THE SKY”, era come se avesse in qualche modo intuito la sua fine prematura, e non ne fosse rimasto affatto spaventato.
La canzone, strumentale, ha nella sua parte introduttiva una breve frase recitata da Gerry Driscoll: "I'm not frightened of dying, anytime will do, I don't mind/Why should I be frightened of dying? There's no reason for it, you gotta go sometime" (Non ho paura di morire, in qualsiasi momento capiterà, non ci penso/Perché dovrei aver paura di morire? Non ce n'è ragione, prima o poi te ne devi andare). E nella parte finale del cantato della Torry, quasi sussurrato :"I never said I was afraid of dying" (Non ho mai detto di essere spaventato dalla morte).
Prima di scrivere questo articolo ho spento le luci e ho messo “ATOM HEART MOTHER” sul piatto: non ho ascoltato la lunga suite che occupa la prima facciata, sono passato direttamente all'ascolto di “SUMMER '68”, probabilmente il punto più alto del Wright compositore antecedente a “THE DARK SIDE OF THE MOON”. Un pezzo apparentemente semplice eppure dalle simmetrie straordinariamente complesse: summa perfetta e completa di quello che è stato il magistero di un grande musicista che non ha mai voluto considerasi tale, ma che noi vogliamo ricordare, adesso che non c'è più, con il titolo della sua composizione più celebre. Come un grande carro nel cielo.
“THE GREAT GIG IN THE SKY”.
Per l'appunto.
(di Alessandro Berselli - del 2008-11-11) articolo visto 13451 volte
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