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IL RISVEGLIO DELL'ORSO RUSSO

Il nuovo ruolo della Russia targata Putin sullo scenario internazionale

Sono trascorsi solo 17 anni da quello storico 26 dicembre 1991 ma sembra invece sia passato un secolo. Dal giorno in cui fu ammainata per sempre dalle torri del Cremlino la bandiera rossa dell'Unione Sovietica, il mondo è radicalmente cambiato. Secondo la maggioranza degli analisti dell'epoca, l'implosione del Leviatano eurasiatico avrebbe portato una nuova età dell'oro con pace e prosperità per tutti. Tuttavia la realtà, con la guida degli USA, unica superpotenza superstite, è stata ben diversa e il mondo, che si immaginava sarebbe diventato il nuovo Eldorado, si è poi dimostrato molto più instabile e violento di quello dei due blocchi contrapposti. Negli anni più recenti, inoltre, la crescita a macchia d'olio del fondamentalismo islamico, la catastrofe delle “Due Torri”, la guerra in Iraq, le Olimpiadi nel Paese che fu dominio incontrastato di Mao e decine di altri avvenimenti epocali hanno letteralmente stravolto la geopolitica mondiale. Ma nulla è paragonabile a quanto è successo negli ultimi 20 anni nell'ex Impero Sovietico.
LA RUSSIA DI ELTSIN - In seguito al crollo dell'Urss, si riaffacciava sulla scena internazionale, dopo 74 anni dalla Rivoluzione d'Ottobre, la Federazione Russa, lo stato che raccoglieva l'eredità politica (il seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza dell'Onu) e militare (lo spaventoso arsenale sovietico con le sue 10.000 testate nucleari) di quello che era il pachidermico Stato dei Soviet. Il cammino della Russia verso l'indipendenza fu strettamente legato a Boris Eltsin, suo presidente dal '91. Eltsin, il primo uomo politico dell'Urss eletto a suffragio universale, dovette affrontare, già dai primi giorni, una gravissima situazione economica e sociale, che generò un forte malcontento popolare, e la resistenza alle riforme democratiche da parte della vecchia guardia comunista, unita a forze emergenti di estrema destra.
E' difficile per l'opulente Occidente capire a fondo la portata distruttiva della crisi che investì la Russia nei primi anni d'indipendenza. La gran massa della popolazione cadde nel giro di pochissimo tempo nella povertà più spaventosa, dopo che per decenni il sistema comunista aveva assicurato tutto a tutti, dalla culla alla tomba. Le riforme economiche (liberalizzazione dei prezzi, apertura all'economia di mercato, privatizzazione delle imprese statali, aumento della produzione) che pure erano indispensabili, furono giudicate troppo tempestive con conseguenza drammatiche per buona parte del popolo russo, impoverito dai prezzi in continuo aumento e da salari invariati.
I RUSSI IN GINOCCHIO - La situazione interna russa, per tutti gli anni '90, restò drammatica: il rublo ridotto a carta straccia, un'enorme sperequazione sociale tra i pochissimi nuovi ricchi (arricchitisi in fretta grazie ad agganci politici, mafia e discutibili privatizzazioni delle imprese di stato) e l'assoluta maggioranza della popolazione, le forze armate, un tempo vanto dell'Urss, in piena decadenza (fecero scalpore le immagini dei temibili sottomarini nucleari ancorati a Murmansk che cadevano letteralmente a fondo per la ruggine e per i furti di materiale da parte dei marinai che, senza paga da mesi, in questo modo sbarcavano il lunario). Nel giro di pochi anni furono abbandonati 17.000 villaggi nelle zone più remote del Paese: in epoca sovietica era, infatti, lo stato ad assicurare tutto mentre la Russia di Eltsin lasciò queste comunità al loro destino, il ché significava non poter fare nulla per impedire che gli abitanti fuggissero dal freddo e dalla fame. Non meno catastrofica, nella Russia di quel periodo, fu la situazione delle relazioni internazionali: dall'esterno Mosca appariva isolata, prostrata dalla crisi interna e senza la minima credibilità (le ripetute sconfitte militari in Cecenia ad opera dei secessionisti di Basayev non favorirono certamente la ricrescita del peso politico russo). Segno inequivocabile della riduzione dell'importanza geopolitica russa fu la fine dell'egemonia sulle altre repubbliche ex sovietiche che poco alla volta si avvicinarono e si legarono sempre più strettamente all'Occidente, come i Paesi Baltici che entrarono addirittura nella Nato nel 2004.
PUTIN SALE IN CATTEDRA - Il presidente Boris Eltsin il 31 dicembre 1999 lasciò il potere al suo delfino Vladimir Putin e con questo atto, oltre al XX secolo, si chiuse anche un'epoca. Con il timone saldo nelle mani di Putin (forse troppo saldo, visto il clima di censura e intimidazioni che si respirava e si respira contro i rarissimi esempi di stampa libera russa) la situazione è cambiata radicalmente. La Russia nel giro di pochi anni, grazie sopratutto alle enormi entrate assicurate dall'impennata del prezzo del petrolio e del gas, è riuscita a risalire la china, uscendo dal fosso in cui era piombata durante la malferma presidenza di Eltsin.
Oggi infatti, ferme restando le forti sperequazioni sociali (anzi i nuovi oligarchi sono sempre più oscenamente ricchi), si sta assistendo alla crescita di un ceto medio sempre più benestante e sempre più all'affannosa ricerca di beni di consumo occidentali. Naturalmente questo processo è già completato nelle grandi città e appena abbozzato o affatto iniziato nelle campagne ma ciò è fisiologico in un paese grande quanto un continente e attraversato da 11 fusi orari. Tuttavia, anche se caratterizzata da un benessere economico a macchia di leopardo, è innegabile che la situazione della popolazione, specie della parte europea, sia di gran lunga migliore di quella di soli 10 anni fa.
IL RITORNO DELL'ORGOGLIO RUSSO - Durante tutta la sua presidenza, Putin ha avuto un solo obiettivo: restituire il rango di grande potenza al suo paese e recuperare l'egemonia della vasta area, già facente parte dell'Urss, in Asia centrale ed Europa. E' attraverso quest'ottica che può essere interpretato tutto il suo percorso politico. Naturalmente per raggiungere questo fine, Putin ha dovuto innanzitutto guardare all'interno regolando i conti con le varie etnie in cerca dell'autodeterminazione: sono stati regolati i conti, definitivamente, con gli indipendentisti in Cecenia dove i generali russi hanno schiacciato con incredibile durezza i moti secessionisti (l'ennesima guerra dimenticata dall'Occidente per ragioni politiche ma non per questo meno drammatica e cruenta). Sistemato l'immenso “fronte interno” Putin si è potuto “dedicare” alle altre repubbliche ex sovietiche, cercando di ricondurle sotto l'ombrello russo. Compito non facile, perché nel corso degli anni molti sono stati i paesi “vendutisi” al soldo degli americani, secondo l'ottica russa. Oltre ai tre paesi del Baltico, anche l'Ucraina (in seguito alla “Rivoluzione Arancione”), gli Stati dell'Asia centrale e più recentemente la Georgia, posta proprio al centro del Caucaso, una posizione strategicamente importantissima tra etnie sempre in fermento e preziosi oleodotti.
La “longa manus” russa è tornata ad essere pesante e “convincente” grazie all'uso politico delle forniture di energia, come l'Ucraina ha capito a sue spese, e soprattutto alla rinnovata forza ed efficienza di un apparato militare formidabile, come in agosto la “ribelle” Georgia ha avuto modo di constatare sul proprio territorio. Insomma, la Russia è tornata da protagonista sullo scenario internazionale e mostra i muscoli contro i propri vicini ma il vero obiettivo sono gli Usa e il loro progetto di Scudo Spaziale che i russi vedono come un attacco alla loro sicurezza e che non sarà mai accettato senza contromosse. Gli Americani sono avvertiti: l'unilateralismo uscito dalla fine della Guerra Fredda è morto e sepolto.
(di Marco Di Giacomo - del 2008-11-12) articolo visto 5084 volte
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