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Felipe Melo

FELIPE MELO, NAINGGOLAN E L'ESERCITO DEI "PICCHIATORI"

Che funzione svolge l’aggressività nello sport agonistico? La sottile linea rossa che separa una prestazione intensa da comportamenti pericolosi e censurabili

Chievo-Inter del 20 settembre ci consegna, al di là dello spettacolo calcistico, un’occasione per chiacchierare sul tema dell’aggressività nello sport agonistico. Minuto 38 del secondo tempo, a ricevere una palla spiovente il centrocampista dell’Inter, Felipe Melo, salta sbracciando e colpisce un avversario al volto, procurandogli una frattura allo zigomo. Non è questo un caso isolato di contatto violento nel calcio (o in altri sport dove il contatto è frequente anche se sanzionato, come la pallacanestro). Qualche giorno prima, infatti, durante una partita di Champions contro il Barcellona, il centrocampista della Roma, Radja Nainggolan contrasta energicamente Rafinha. L’esito per il catalano è il crociato rotto e la stagione probabilmente finita.

La storia dei contrasti violenti nel calcio, ma anche in tante altre specialità sportive, è sicuramente lunga e affollata. Sono episodi sempre al limite, e per questo interessanti nel significato che portano: sono azioni irregolari, che trasgrediscono le regole del gioco e per questo vengono – il più delle volte – sanzionati, ma che vengono intese come possibili azioni di gioco.

E gli interessati che ne pensano?

Le posizioni sembrano diverse.

Nainggolan si è prontamente scusato con il collega augurandosi di ritrovarlo presto in campo.

Lo storico difensore della Juventus, Montero, dichiarò: “non sopporto quando la gente piange e l’arbitro interrompe la partita ogni due minuti. I match più belli li facevamo con il Milan: noi picchiavamo duro, loro picchiavano duro e tutti stavamo zitti”.

Felipe Melo, invece, nel commentare la gomitata contro il Chievo ha affermato: “Non ho visto, quindi non ho fatto apposta.

Comunque il calcio è uno sport di contatto e se non lo accetti, vai a giocare a tennis”. (per inciso è vero che nel tennis non c’è contatto fisico, ma l’aggressività e la violenza c’è senz’altro, come racconta nel suo libro Brad Davis nel suo recente Vincere giocando sporco).

Insomma, siamo nel solco della frase storica “mica è uno sport per signorine”. Ma non è solo questo.

É interessante raccogliere le reazioni dei compagni e degli allenatori, o meglio, la mancanza di reazioni. É rarissimo, infatti, che chi compie un fallo “cattivo” venga poi sanzionato dal proprio club, a meno che non sia stato espulso dall’arbitro mettendo in difficoltà la squadra. Come a dire: “non è il gesto violento l’elemento da problematizzare, ma il fatto che l’arbitro ti abbia beccato e punito”.

I club sembrano quindi generalmente orientati a tollerare, se non a sostenere, un alto livello di aggressività da parte dei propri giocatori, e pace se questo significa che ogni tanto ci scappa anche un gesto violento. Anzi, forse serve pure per impressionare gli avversari. Il punto di vista è quello utilitaristico, ovvero “provo a fare ciò che mi rende di più”, piuttosto che quello etico “provo a fare ciò che è più giusto fare” (sarebbe molto interessante se si considerasse anche un orientamento estetico, avvero “provo a fare quello che è più bello/divertente da vedere”, ma qui apriamo uno scenario che ad oggi pare decisamente lontano …).

Ma rimanendo nel campo dell’utilitarismo, vediamo in cosa consiste l’aggressività nel gioco, dove porta e se è vero che è sempre funzionale al risultato.

Possiamo partire da una considerazione ovvia, ovvero che il calcio (prendiamo questo sport ad esempio, ma il discorso può essere generalizzato anche per altri) è un gioco che mette gli avversari in competizione tra loro, ovvero la vittoria di una squadra prevede la sconfitta dell’altra. Dentro questo quadro i comportamenti che hanno successo per una squadra sono di due tipi: quelli che permettono ai suoi giocatori di segnare dei punti e quelli che impediscono ai giocatori avversari di segnare dei punti.

L’abbiamo presa un po’ alla larga, lo so, ma adesso arriviamo al punto.

Di fronte a una situazione di conflitto, noi tutti ci orientiamo verso uno degli atteggiamenti possibili: un atteggiamento passivo, ovvero rinuncio alla lotta e ai miei obiettivi (rinuncio, ad esempio, al possesso palla nei contrasti) e consento all’avversario di avere la meglio; un atteggiamento aggressivo, ovvero ingaggio la lotta e combatto per i miei obiettivi (entro con forza nei contrasti). Tra queste due alternative l’atteggiamento aggressivo è probabilmente quello più funzionale per il gioco. Ma cosa comporta mantenere un atteggiamento di questo tipo durante un’intera partita? E come si fa a “modularlo” in modo da non esserne risucchiati?

Lo psicologo dello sport John Kerr definisce come Mastery un atteggiamento mentale che ha l’atleta quando desidera competere e dominare l’avversario. Tale orientamento può intensificarsi o modificarsi nel corso della partita e sembra rivestire un ruolo importante nelle prestazioni di maggior successo. Il suo opposto è denominato Simpathy e prevede che l’atleta abbia a cuore le sorti dell’avversario e assuma per questo un atteggiamento cooperativo. Salta agli occhi come un atteggiamento “Simpathy” sia disfunzionale durante lo svolgimento delle normali azioni di gioco. Un’altra coppia di orientamenti, invece, riguarda la disponibilità o meno a “giocare secondo le regole” e a tollerare le frustrazioni (Conformism), oppure a ribellarsi e a commettere delle trasgressioni (Negativism). Queste due coppie di atteggiamenti tra loro opposti, che Kerr chiama stati meta motivazionali, sono tra loro indipendenti, ovvero possono combinarsi in quattro modalità differenti. Chi gioca per dominare l’avversario (Mastery), può farlo rispettando le regole e accettando il verdetto del campo (Conformism), oppure ribellandosi, litigando e cercando di trarre vantaggio in qualsiasi modo (Negativism).

Tra chi picchia e chiede scusa e chi picchia e sfotte pure, c’è una bella differenza.

Il primo riesce a uscire dall’orientamento Mastery una volta finita la partita e ad accedere all’orientamento Simpathy, modulando perciò il comportamento dentro le regole (Conformism). Il secondo rimane sempre nella modalità Mastery, come se la battaglia non fosse mai finita, in forte contrasto con le regole di qualsiasi gioco (Negativism). Seguendo questa strada non è il contrasto deciso a fare di un calciatore un picchiatore, ma è come chi lo compie spiega questo gesto a sé e agli altri che fa la differenza.

Una combinazione di quest’ultimo tipo, Mastery e Negativism, sostiene Kerr, espone l’atleta stesso all’emozione della rabbia e questo è pericoloso per gli avversari, ma anche problematico per la propria squadra. La rabbia, infatti, può sostenere un atleta nell’impegnarsi a fondo in un compito, ma può anche rivelarsi un forte ostacolo quando le cose non girano per il verso giusto e impedisce di conservare la lucidità necessaria per recuperare nei momenti di difficoltà.

Ritengo che la potenza dello sport e la sua capacità di insegnare (François Truffaut sosteneva che la gente andasse al cinema per “imparare come si fa a vivere”. Nella nostra società è un’eresia pensare che anche lo sport possa essere una piccola occasione per “imparare come si fa a vivere”?) ci proponga quotidianamente delle occasioni per fare esperienza: ci offre esempi di sacrificio, di cooperazione, di impegno finalizzato, ma anche di rispetto delle regole e dell’autorità. Vediamo ogni giorno i limiti di un atteggiamento utilitaristico orientato al presente (combinazione Mastery-Negativism direbbe Kerr), come nel caso di campioni acclamati per anni che vengono poi trovati postivi all’antidoping.

Quanto è profonda la lacerazione tra l’immagine positiva del campione e quella infangata dell’atleta dopato? Quale lezione ne traiamo noi, o i nostri figli, per “imparare a vivere”? Siamo sicuri che la posizione che viene presa dai diversi soggetti coinvolti nei confronti di episodi di condotta violenta in campo non rappresenti a sua volta un’analoga occasione apprendimento per tutti noi, per aiutarci a misurarci con il concetto di rispetto delle regole, con il concetto – importantissimo nella vita quotidiana -di limite?

Temo però che questi ragionamenti ci abbiano portato di nuovo a osservare le cose da un punto di vista etico. E, d’altra parte, lo spettacolo deve continuare.

Foto di Felipe Melo tratta dal sito ufficiale dell'Inter
(di Andrea Fini - del 2015-09-29) articolo visto 2707 volte

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