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RU 486: LIBERTA’ O SCHIAVITU’?

la nuova pillola abortiva fortemente criticata dal mondo cattolico rischia di diventare un mix micidiale per il corpo e per l’anima

Schierandosi contro l’Aifa, l’agenzia italiana del farmaco che sta aprendo le porte alla pillola abortiva Ru 486 nel nostro Paese, l’Avvenire ribattezza l’aborto come “aborto fai da te”; l’apparente facilità d’impiego del farmaco, rischia di far dimenticare che l’aborto rimane una decisione grave, non priva di rischi.
La Ru 486 spesso è confusa con la cosiddetta “pillola del giorno dopo”, un anticoncezionale che non é l’artefice di un’interruzione di gravidanza ma impedisce l’eventuale annidamento nell’utero da parte dell’ovulo che potrebbe essere stato fecondato. Quindi per la Ru 486 possiamo parlare di una distruzione di embrioni ed ovviamente della conseguente “soppressione” della vita.
Se la vita è vista come un dono secondo un filone cattolico, l’aborto non può essere visto se non come omicidio. I Vescovi incalzano contro la pillola: “L’aborto é un delitto che assume una particolare gravità perché viene soppresso un essere umano che si affaccia alla vita, il più innocente tra tutti che non può essere considerato un aggressore. Questo essere umano è debole, inerme, totalmente affidato alle cure di colei che lo porta in grembo. Eppure spesso è proprio lei, la madre, a chiederne la soppressione o a procurarla”.
L’etica stessa della sacralità, vieta di togliere la vita e non ammette neppure che la donna avanzi una tale richiesta nei confronti del nascituro che porta dentro di sé, perché non è padrona del proprio corpo o del proprio spirito. L’aborto è paragonato ad un omicidio dalla Chiesa cattolica, tuttavia la Congregazione per la Dottrina della Fede afferma che è lecito eseguire l’asportazione del feto in seguito ad un grave danneggiamento dell’utero o nell’eventualità che esso rappresenti un serio pericolo per la vita della donna. L’intervento chirurgico sarebbe dunque ammesso quale rimedio prettamente farmacologico.
Anche i movimenti pro-life contestano l’uso del mifepristone (ormone steroide che blocca l’azione progestinica sui recettori, inibendo lo sviluppo embrionale e causando il distacco e l’eliminazione della mucosa interna) ritenendolo un modo superficiale per abbandonare la donna nei momenti più importanti e delicati della propria esistenza. Una scelta così difficile si ridurrebbe ad ingerire un mix mortale: la cosiddetta Ru 486 va, infatti, associata alla prostaglandina per facilitare l’“espulsione” dei tessuti embrionali.
Secondo il movimento femminista, la pillola, utilizzata in modo responsabile, ossia in vere e proprie situazioni d’emergenza, costituirebbe un ulteriore passo in avanti in materia di parità dei diritti femminili poiché in quest’ottica, la gravidanza è ancora vista come un “ostacolo” alla possibilità della donna di competere con l’uomo; applicata irresponsabilmente l’uccisione della vita nascente si trasformerebbe, addirittura, in un fatto di routine.
Da cosa si può essere spinte “per rifiutare” la vita che si porta dentro? Il problema principale è che si pensa poco al dopo, la donna è lasciata letteralmente in balia delle onde ritrovandosi sola ad affrontare qualcosa che è più grande di lei. Ci si preoccupa molto del rischio che la fase abortiva avvenga al di fuori dell’ospedale ma ci si dovrebbe preoccupare dei rischi insiti nell’aborto stesso perché è dimostrato che le conseguenze sulla psiche e sul corpo della donna possono produrre effetti devastanti.
La nostra protagonista indiscussa, bella e letale, invece di incontrare barriere, trova appoggio soprattutto da parte dei governi, l’unico ostacolo, forse, rimane il divieto di utilizzarla oltre la settima settimana. La Ru 486 è stata caricata di significati simbolici che le attribuiscono addirittura un ruolo salvifico del tutto sproporzionato. Essa dovrebbe liberare le donne dalla sofferenza, fisica e psichica, eliminando insieme crampi e sensi di colpa; ciò accade solo in teoria perché in pratica eliminerebbe il feto ma non i rimorsi o i sensi di colpa.
Con la copertura ideologica dei cosiddetti diritti riproduttivi delle donne, sono state attuate nel mondo pratiche violente sui corpi femminili e soprattutto sui feti, raramente denunciate e portate a conoscenza dall’opinione pubblica.
Cosa si nasconde dietro il mito di un aborto facile? La realtà conferma che l’aborto chimico é rischioso, traumatico e riversa ogni responsabilità su chi lo subisce, sollevando medici e strutture sanitarie da parecchie e complicate problematiche. Le donne che ne hanno fatto esperienza segnalano ogni giorno eventi avversi: infezioni, crampi, emorragie, allergie e perfino complicazioni cardiache e respiratorie.
Perché preferire l’aborto chimico alla maternità?
Lo stesso Osservatore Romano ribadisce: “non si deresponsabilizzino i medici”. Molti dottori, da ogni parte del mondo (non dimentichiamo che l’interruzione di gravidanza farmacologica nasce in Francia, parecchi anni fa, ad opera dell’endocrinologo Etienne-Emile Banlieu, e da lì si è diffusa a macchia d’olio in Europa) trovano problematico il solo prescrivere il farmaco; il problema etico con la Ru 486 rimane invariato, ma grazie alla legge 194 che regola l’interruzione di gravidanza, il medico può dichiararsi obiettore di coscienza. L’aborto volontario risulta essere un aspetto non gradevole né gratificante della vita professionale degli addetti ai lavori, anche per la sua simbologia inconscia, indipendentemente da ogni convinzione sull’origine della vita.
In definitiva, in cambio di un aborto “fai da te” alle donne non è restituita che la solitudine mista alla malinconia, al dolore fisico ed al peso schiacciante di una decisione che le potrebbe gravemente segnare per tutta l’esistenza.
L’aborto, nell’apparenza sinonimo di libertà, costituisce nella sostanza un motivo di profonda schiavitù, prendendo vita da un sistema nel quale la donna, tutt’altro che portatrice di vita, rappresenta un semplice ingranaggio di un meccanismo societario assai complesso.
(di Francesca Di Lanzo - del 2009-10-18) articolo visto 1856 volte
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