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DINO DE LAURENTIIS: IL TITANO DELLA SETTIMA ARTE

Firmerà mezzo secolo di storia del cinema

LEGGENDA E PERSONAGGIO - Mi chiedo come sia possibile sintetizzare la leggenda del più importante fra i produttori indipendenti, quel nome che rimbalza da centinaia di libri e migliaia di ritagli di stampa, e soprattutto cercare di focalizzare il ruolo d’abile coordinatore pieno di sogno, senza ridurlo a semplice responsabile economico-organizzativo di pellicole che fanno solo numero.
Spesso definito spregiudicato organizzatore ed equilibrista del business, in realtà Dino De Laurentiis è stato qualcosa di più: un creativo con tutte le carte in regola, spinto da energica fonte d’estro e passione, che ha saputo amare tutte le fasi di un processo produttivo ed intervenire attivamente nella parte creativa.
Potremmo immaginarlo dietro una scrivania nello scorrere carte e consultare copioni, vestito d’iperattività quotidiana, magari perentorio nell’impartire istruzioni ai suoi collaboratori, ma senza dubbio seppe raggiungere mediazioni felici tra spettacolo e qualità.
Basterebbe osservare una sua fotografia per notare all’istante il sopracciglio dalla forma accentuata, paragonabile quasi ad un tracciato in “continua crescita” di un grafico immaginario, un attributo di successo stampato nel DNA.
La curiosa combinazione di produrre “Waterloo” di Sergej Bondar?uk, mentre affrontava una Waterloo personale, è la riprova che l’opera di un produttore spesso appartiene anche sotto il profilo dell’ispirazione ed è sempre legata alla sua personalità, ai suoi umori, al suo destino.
RUVIDA ENERGIA E SORRISO ELETTRICO - “Gravelly” (letteralmente aspra/rauca), fu un termine coniato per descrivere la sua voce, in frasi staccate ed esclamative. La personalità rispecchiava anche il suo modo di parlare: secco, sintetico, all’apparenza un po’ brusco, ma accompagnato da sorriso aperto e disarmante.
Per Dino, la definizione del “final cut”(ovvero il taglio finale del negativo, che determina l’assetto definitivo della copia campione), stabiliva la distinzione tra cinema “di professionisti e di dilettanti”, tra un cinema inventato “inquadratura per inquadratura” ed uno confezionato sulla falsariga della sceneggiatura.
Poi il coraggio di pensare “in grande”, la determinazione di un uomo che rischiava soldi e anima nel potere educativo della settima arte, portavoce dell’internazionalità del cinema, con la decisione di allargare la sua sfera operativa al più agguerrito mercato cinematografico, quello americano, nel quale riuscì con l’alternarsi di successi critici e commerciali non indifferenti.
CHI ERA DINO DE LAURENTIIS? - Nato sotto il segno del leone l’8 agosto del 1919, nella vivace Torre Annunziata, era ragazzo tanto sveglio quanto incerto sull’avvenire. De Laurentiis pensava di diventare attore, s’iscrisse al primo corso del Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1937, appena un'apparizione davanti alla macchina da presa, bastò per apprendere che nel cinema chi vuol mettersi in luce deve scegliere la “zona d’ombra”, oltrepassando il cerchio luminoso dei proiettori ed evolversi in sintonia con le fortune delle produzioni, afferrando al volo le occasioni che si presentavano.
L’attitudine imprenditoriale si manifestò già nel 1941 fondando la “Real Cine” e producendo il primo titolo di un certo successo, “L'amore canta”, subito dopo passò a lavorare alla Lux Film, per poi passare alle collaborazioni con Carlo Ponti e alla realizzazione della “Dinocittà”, costruita sulla via pontina di Castelromano, uno stabilimento tecnologicamente avanzato e giudicato il più moderno al mondo.
Nel 1972 si era trasferito a Hollywood, iniziando a produrre pellicole di un certo spessore come “Serpico" di Sidney Lumet, senza trascurare prodotti commerciali quale “Hannibal” di Ridley Scott. Oltre seicento titoli prodotti, trentatrè candidature, cinquantanove premi internazionali e nel 25 marzo 2001 la consacrazione definitiva, con l'Oscar alla carriera. Il Titano del cinema si è spento all’età di 91 anni nella Città Degli Angeli (Los Angeles, CA).
Tra i suoi più celebri films italiani sono da menzionare: Totò a colori (1952) per la regia di Steno. Napoli milionaria (1950) di Eduardo De Filippo; Dov'è la libertà? (1954) di Roberto Rossellini; La strada (1954) e Le notti di Cabiria (1957) di Federico Fellini. Miseria e nobiltà (1954) di Mario Mattoli; La grande guerra (1959) di Mario Monicelli.
Tra i suoi successi a “stelle e strisce”: Il giustiziere della notte (1974) di Michael Winner, I tre giorni del Condor (1975) di Sidney Pollack e L'Anno del dragone (1985) di Michael Cimino.
(di Giorgio Vulcano - del 2010-12-02) articolo visto 2544 volte
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