L'Opinionista Giornale Online - Notizie del giorno in tempo reale
Aggiornato a:
 

L’ITALIA SI PREPARA AL REFERENDUM: ECCO I 4 QUESITI

12 e 13 Giugno alle urne. Quorum raggiungibile. Incognita nucleare dopo approvazione decreto omnibus

Privatizzazione dell’acqua, profitti dal sistema idrico, energia nucleare e legittimo impedimento
Un altro appuntamento importante attende gli Italiani dopo le elezioni Amministrative e relativi ballottaggi, ed è il referendum popolare del 12 e 13 Giungo 2011. È certamente innegabile che i quesiti referendari sui quali saremo chiamati a votare toccano delle corde piuttosto delicate, e questa volta il quorum sembra essere un risultato raggiungibile, a differenza del trend degli anni passati (ad esempio quello sulla fecondazione artificialmente assistita, che sfiorò il 30% degli aventi diritto). A proporre il referendum è stata l’Italia Dei Valori (IDV), guidata da Antonio Di Pietro, costituendo il comitato promotore che per settimane ha raccolto migliaia di firme nelle piazze di tutta la Penisola, trovando un appoggio largo e trasversale.
Ma cerchiamo di comprendere in maniera più approfondita le materie referendarie cui siamo chiamati a votare: referendum popolare n. 1–Modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. Abrogazione.
Il primo quesito sulla privatizzazione dell’acqua riguarda le modalità di affidamento e gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica. La norma in vigore prevede la possibilità che la gestione delle Ato e dei servizi idrici passi in mano a società di capitale privato o misto, a partire dal 2012. La maggiore preoccupazione derivante dai promotori del referendum riguarda il pericolo di affidare esclusivamente ad una logica di mercato, un servizio tanto importante come quello idrico, e il conseguente rischio di una speculazione economica su un bene indispensabile come l’acqua.
Referendum popolare n. 2–Determinazione della tariffa del servizio idrico integrato in base all’adeguata remunerazione del capitale investito. Abrogazione parziale di norma.
La normativa permette al gestore del servizio idrico di ottenere profitti garantiti sulla tariffa, caricando sulla bolletta dei cittadini un 7% a remunerazione del capitale investito, senza alcun collegamento a logiche di reinvestimento per il miglioramento qualitativo del servizio stesso. In sostanza, le aziende private hanno la possibilità di realizzare un profitto senza nessun vincolo di reinvestimento per migliorare il servizio idrico erogato. Il referendum propone l’abrogazione parziale di questa norma che, secondo i promotori, farebbe di fatto arricchire chi gestisce il servizio, ai danni dei consumatori che vedrebbero aumentare in maniera esponenziale (e totalmente fuori controllo) le loro bollette dell’acqua.
Referendum popolare n. 3–Nuove centrali per la produzione di energia nucleare. Abrogazione parziale di norme.
Probabilmente si tratta del quesito referendario più delicato e anche più sentito. L’Italia già in passato, sempre a mezzo di referendum, aveva deciso di rinunciare alla produzione di energia nucleare sull’intero territorio nazionale. Il Governo aveva però rispolverato l’ipotesi di tornare a valutare la possibilità di investire sull’energia nucleare, giustificando la decisione con i costi troppo alti che attualmente il nostro Paese è costretto a pagare per acquistare energia dall’estero, visto che il nostro fabbisogno energetico supera enormemente le capacità di produzione autonoma.
Ma secondo i promotori del referendum, questa scelta non risolverebbe il problema, in quanto oltre ai numerosi dubbi sollevati sulla questione “sicurezza” delle centrali nucleari, ci sono altri problemi riguardanti i costi di manutenzione delle infrastrutture e dello smaltimento delle scorie radioattive, senza dimenticare che la nostra Penisola è interessata da interi territori a rischio sismico medio-alto, dunque di non facile attuazione, anche per la ricerca e l’individuazione di siti adeguati per ospitare queste nuove centrali.
Un altro problema da non sottovalutare riguarda l’accordo con le Regioni. La legge, infatti, impone al Governo di individuare tali siti in accordo con gli enti territoriali, che già in molti casi hanno espresso diverse perplessità. Ad esempio la Sardegna ha già votato la propria contrarietà mediante un referendum regionale, con oltre il 98%, un vero e proprio plebiscito. E altre realtà provinciali e regionali sono pronte a dare battaglia al Governo per opporsi a queste norme che hanno davvero molta difficoltà a trovare sostenitori. Inoltre la paura per il nucleare riaccesa dal disastro di Fukushima, a seguito del sisma che ha messo in ginocchio il Giappone, ha spinto il Governo stesso a sospendere momentaneamente per un anno il provvedimento, che verrebbe poi ripreso nel 2012.
Anche l’Italia, essendo un Paese geologicamente esposto al rischio sismico di elevata entità, potrebbe trovarsi di fronte alla paura che in caso di terremoti, l’incubo di Fukushima rivivrebbe entro i nostri confini. Non va dimenticato, inoltre, che attualmente soltanto il 60% dell’importo della bolletta dell’energia che riceviamo nelle nostre case è dovuto all’effettivo consumo degli utenti, mentre il restante 40% deriva dalle tasse, e paradossalmente dagli incentivi alle energie rinnovabili, e addirittura alla chiusura delle vecchie centrali nucleari ormai in pensione. Dunque in realtà una percentuale dell’importo che paghiamo costantemente è destinato alle energie rinnovabili, come l’energia solare e il fotovoltaico, e quì nascono le perplessità del comitato promotore del referendum, che si chiede quale sia allora la necessità di finanziare la costruzione di nuove centrali nucleari quando già tali finanziamenti sono orientati alle energie rinnovabili. Oltre questo, il paradosso di una quota che viene addebitata per la dismissione delle vecchie centrali, quindi in realtà già paghiamo per chiudere definitivamente i vecchi impianti.
E allora quanto realmente risparmieremmo con la costruzione di nuove centrali nucleari? E quale sarebbe il rapporto costi-benefici che ne deriverebbero? L’ipotetico risparmio derivato non verrebbe impiegato per la manutenzione, i sistemi di sicurezza e lo smaltimento delle scorie radioattive? Purtroppo le scorie sono l’aspetto critico maggiore nell’utilizzo del nucleare. Non possono essere distrutte e l’unica soluzione, per il momento, sembra essere lo stoccaggio per migliaia di anni in depositi geologici o ingegneristici. La ricerca di un deposito sicuro è tra i principali obiettivi dell’Unione Europea e degli Usa. Sono necessari anni di studi e grandi investimenti per l’individuazione delle soluzioni di stoccaggio per centinaia di migliaia di anni.
Nel 1987, a poco più di un anno dalla tragedia di Chernobyl, gli elettori decretarono con una maggioranza dell’80% il no assoluto alle centrali nucleari in Italia. La vicinanza tra disastri nucleari e referendum, con relativa influenza sulle decisioni, si ripete quindi anche quest’anno. Senza dimenticare che ciò che è accaduto nel Paese del Sol Levante ha sollevato una profonda pausa di riflessione sulla sicurezza dell’energia nucleare, spingendo l’AIEA (Agenzia internazionale di sicurezza nucleare) e l’Unione Europea, a studiare delle linee guida irrinunciabili cui far riferimento per progettare la costruzione di nuove centrali. Il comitato promotore, inoltre, accusa la maggioranza di cercare di minare il successo del referendum, sospendendo momentaneamente il provvedimento sul nucleare contenuto nel decreto legge Omnibus, con l’intento di scoraggiare l’affluenza alle urne e dunque di non raggiungere il quorum previsto affinché il risultato abbia validità. L'ultima parola spetta comunque alla Corte di Cassazione che, il 9 Giugno, dovrà stabilire se l'abrogazione delle norme sulla realizzazione di nuove centrali sia sufficiente a soddisfare lo stesso obiettivo ricercato dai promotori del referendum.
Referendum popolare n. 4–Abrogazione di norme della legge 7 aprile 2010, n. 51, in materia di legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei Ministri e dei Ministri a comparire in udienza penale, quale risultante a seguito della sentenza n. 23 del 2011 della Corte Costituzionale.
Si tratta del quesito più “politico” tra quelli proposti il 12 e 13 giugno. Il legittimo impedimento permette al Presidente del Consiglio e ai Ministri di non recarsi in un’udienza penale se sopraggiungono impegni di carattere istituzionale. La Corte Costituzionale a gennaio ha ridimensionato l’applicabilità della norma, ma un’eventuale vittoria dei SI la cancellerebbe del tutto. È una norma che di fatto stabilisce la possibilità di non sottoporsi a giudizio di fronte alla magistratura da parte del Presidente del Consiglio e dei Ministri, in quanto incompatibili con i compiti istituzionali assegnati loro dall’elettorato. Ma l’applicazione di tale norma violerebbe ben 3 leggi Costituzionali: il principio di uguaglianza di fronte alla legge (art. 3), il principio dell’obbligatorietà dell’azione penale (art.112) e il processo di revisione delle leggi costituzionali (art. 138).
Secondo il comitato promotore, chiunque ricopra una carica pubblica dovrebbe a maggior ragione sottoporsi a giudizio della magistratura se indagato in processi penali, in quanto rappresenta lo Stato e i cittadini, invece di cercare delle scappatoie per evitare di finire in tribunale per non assumersi le proprie responsabilità di fronte alla legge. Inoltre viene sottolineato che si tratta di un’anomalia giuridica che non ha pari in Europa, non esistono normative simili che fungano da scudo in nessun altro Paese europeo. Lo stesso Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, commentando una notizia proveniente dal Regno Unito riguardante un avviso di garanzia per un membro del Parlamento britannico, ha dichiarato: “In Inghilterra un membro del Parlamento se indagato rassegna le proprie dimissioni, in Italia invece c’è un modo diverso di farsi giudicare”.
Inizialmente si era pensato di accorpare il referendum alla data dei ballottaggi delle elezioni Amministrative, ma il timore di raggiungere il quorum con facilità ha modificato le strategie del Governo, facendolo optare per la separazione dei due appuntamenti alle urne, che è costata allo Stato circa 400 milioni di euro, non proprio spiccioli, che si sarebbero potuti impiegare in modo più utile, evitando un’ulteriore spesa onerosa, soprattutto nel pieno della crisi economica internazionale. Trattandosi di referendum abrogativi, i quesiti chiedono all’elettore se è favorevole o contrario alla cancellazione di una legge. Votando SI si chiede l’abrogazione delle norme.
Votando NO si chiede che le norme restino in vigore. Il Referendum è il più importante strumento di democrazia diretta, in cui il Popolo ha il potere di decidere direttamente su una o più leggi in vigore, e quindi di esprimere in maniera diretta il proprio orientamento a riguardo, riappropriandosi della Sovranità precedentemente delegata al Parlamento che ha approvato le leggi a riguardo. I quattro quesiti referendari del 12 e 13 Giugno sicuramente apriranno nuovi scenari politici ed economici di grande importanza, e rappresenteranno il timone del nostro Paese, indirizzandolo in un senso o nell’altro nei prossimi anni, segnando il futuro dell’Italia, qualunque sia il risultato. Certamente un’occasione da non sprecare per far sentire la propria voce. In ogni caso.
(di Juri Cardone - del 2011-05-31) articolo visto 5924 volte
sponsor