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“FABULA DOCET”. LA PUBBLICITÁ STRIZZA L’OCCHIO AL MONDO DELLE FAVOLE

Mamma cosa mangio? Mondo delle fiabe e pubblicità spesso possono condizionare i pensieri sulla natura dei beni

Lo status della favola concepita per i più piccoli, la realtà ritenuta dai più molto semplice e patrimonio della letteratura infantile è al contrario largamente adoperata dalla pubblicità in un caleidoscopio di modelli, miti e leggende che fanno leva sulle emozioni di tutti. Il termine deriva dal latino f?b?la, dal verbo f?ri, che significa parlare, a sottolineare il racconto orale di qualsiasi narrazione fantastica, favola, apologo.
La fiaba è un genere letterario universale, caratterizzato da una struttura narrativa costante, è un terreno assai fertile perché si presta a numerosi percorsi didattici e percorsi immaginativi. La fiaba apre, con incanto infantile a quel territorio fantastico di ognuno. Preziose perle di saggezza quindi, che offrono un terreno d’incontro privo di barriere temporali, etniche, d’età; l’immaginario nutre la capacità di immaginare e mobilita le risorse della fantasia infantile, contribuendo a favorire la loro crescita armonica in tutti gli aspetti: (emotivo, affettivo, cognitivo, linguistico, sociale). Il Percorso dell’immaginario è tessuto a molte maglie.
FINESTRA MAGICA SUL MONDO - L’elevata diffusione delle favole come tema pubblicitario non è solo una caratteristica dell’Italia figlia di Carosello. La pubblicità è un flusso narrativo che ha sostituito le fiabe nell’immaginario infantile. Le pubblicità hanno del resto molti elementi della fiaba: situazioni magiche, oggetti animati, metamorfosi, mondi al contrario e, in conclusione, il prodotto come lieto fine. Le indagini psicologiche hanno tuttavia dimostrato che i più piccoli vedono la pubblicità senza riconoscerne chiaramente la natura, come una sorta di “finestra magica” sul mondo. La pubblicità piace molto ai bambini percependola come un vero e proprio spettacolo: la velocità delle immagini, l’allegria delle canzoncine (jingle), il clima rassicurante contribuiscono a far si che la pubblicità attiri il pubblico dei più piccoli. Essa è a tutti gli effetti una fonte di rappresentazione sociale, non solo vettore commerciale, in quanto promotrice nei giovani spettatori di una visione senza dubbio affascinante: una favola inserita in un ambiente sicuro, di conseguenza familiare.
La pubblicità presenta quindi analogie con il mondo delle favole, in cui qualsiasi situazione pericolosa o negativa si risolve con il classico happy end. In questo modo si dà vita all’effetto rassicurante che scioglie, nelle pagine di una fiaba come nelle sequenze di uno spot, ogni ansia narrativa. Un ulteriore punto di contatto tra le due dimensioni irreali è la ripetizione, estensione fondamentale che assurge ad una sorta di rituale. La trasposizione della fiaba nella pubblicità si concretizza tramite l’utilizzo della metamorfosi, ovvero la promessa fatta dal prodotto di assicurare una trasformazione: si va dai biscotti che permettono di vincere la partita di calcio ai cereali che consentono ad un bambino molto basso di statura di fare canestro.
Attraverso la fusione tra il mondo delle favole e quello della pubblicità si ottiene un prodotto con “valenza magica”, il cui consumo permette l’ingresso in una dimensione differente da quella reale, una dimensione inconscia ed incantata dove i desideri sono sogni realizzabili.
Nonostante il mondo delle favole e quello pubblicitario abbiano molteplici punti in comune, esiste una linea di confine che non permette un’assoluta immedesimazione tra le due. Le fiabe hanno il compito di distinguere il territorio del “male” in una forma che consente ai bambini di conoscere senza alcun tipo di trauma, dato che il racconto e la decodifica dei suoi messaggi è sempre in mano agli adulti. La pubblicità invece ha finalità strettamente commerciali e non culturali, per di più non è soggetta al controllo dei genitori.
In ogni caso, è come se la pubblicità avesse preso il posto della favola nel moderno contesto infantile. Se prima era la favola a suggerire le rappresentazioni sociali e a fornire un determinato tipo di educazione ai piccoli lettori, adesso è la stessa pubblicità che confeziona il modo in cui i bambini concepiscono la realtà. Ciò che viene presentato consiste in una visione edulcorata della vita, dietro la quale si velano valori strettamente consumistici ed edonisti.
BABY-FRUITORI - La fiaba, utilizzata da sempre per trasmettere i valori, permette al bambino di elaborare fantasie volte ad affrontare il proprio mondo interiore e se ben adoperata, può essere un prezioso e valido strumento di “Educazione Alimentare”. Molte fiabe mettono in evidenza il linguaggio del cibo. Pensiamo ad Hänsel e Gretel, alla loro sfrenata ghiottoneria per cui rischiano di finire nel forno della strega o al lupo cattivo di Cappuccetto Rosso. Nella fiabe il cibo è vissuto come scoperta, manifestazione d’affetto, avventura o inganno, rivestendo in molti casi una funzione di passepartout magico: grazie a esso si realizzano desideri e si superano ostacoli. A tal proposito viene in soccorso la favola moderna di Vittorio Stagnani: “Le Avventure di Sabino nell'Orto Magico”, che ricorda l’importanza di una sana e corretta alimentazione. Perno centrale è l'avventura di Sabino dalla vita di città alla campagna, dai cibi in serie ai piatti della nonna; ragazzino obeso abituato al cosiddetto junk food (merendine, patatine, cioè cibi “spazzatura”) che i genitori affidano per qualche giorno ai nonni campagnoli e che scoprirà nell’orto un mondo magico e sconosciuto.
Per l’industria alimentare i bambini rappresentano una fetta di mercato particolarmente appetibile, grazie alla loro ricettività e alla loro capacità di orientare e influenzare le scelte di consumo delle famiglie. D’altro canto, gli spot pubblicitari a cui i bambini sono esposti quotidianamente promuovono prodotti con valori nutritivi bassissimi, (se non addirittura nulli), puntando ad attirare l’attenzione con linee di prodotto divertenti, colorate, di forme simpatiche (sagome di animali e personaggi dei fumetti), corredandole di un packaging originale oppure associandole a gadget e giochi (storico è l'esempio dell'Happy Meal di McDonald's). Molti brand scelgono di promuovere i propri prodotti utilizzando l’immagine di personaggi dei cartoni animati, oppure affidandosi ad un testimonial famoso, come un campione sportivo o una teen star.
GLI EFFETTI - Gli spot, aiutati dalla spinta dei media agiscono senza intermediari sui bambini, mostrando la peculiarità di definirsi come subcultura preadolescenziale, creando e consolidando legami sociali e di appartenenza fra coetanei che si influenzano a vicenda, confrontando il singolo spot con gli stili di vita proposti dalla società. Le conseguenze di un simile meccanismo si realizzano sia a breve termine, (tramite la richiesta d’acquisto) che a lungo termine, (tramite la socializzazione al consumo che contrassegnerà il bambino da adulto). Gli effetti che la pubblicità esercita direttamente e volontariamente sui minori assumono solitamente connotazioni negative dato che lo spot costituisce elemento di seduzione e di interesse.
Si parla in questo caso di effetti diretti, tra i quali figurano l’abilità di ricordare lo spot, l’identificazione con i personaggi, l’utilizzo di termini citati. Esistono altri effetti nel lungo termine, come la delusione quando nella realtà quotidiana il bambino non ritrova quelle situazioni accattivanti riprodotte dagli spot, o il senso di frustrazione derivante dal rifiuto dei genitori di soddisfare le loro richieste. Tra gli effetti negativi emerge il fenomeno che gli americani chiamano “pestering”, durante il quale il bambino pesta letteralmente i piedi per ottenere ciò che vuole e che i genitori trovano sempre maggiori difficoltà a gestire. Infine si può parlare di effetti di pericolo, provocati dalla presentazione di modelli di comportamento dannosi per la salute, come quelli presentati negli spot di prodotti dolciari. Appare necessario bilanciare le esigenze del mondo pubblicitario con quelle primarie dell’infanzia. In Italia, in mancanza di una legge specifica, si fa riferimento ad alcune normative comunitarie che definiscono parametri minimi e disposizioni a tutela dei minori, come il divieto di inserire la pubblicità nei programmi di cartoni animati. Vi sono poi due codici di autoregolamentazione: il Codice di autodisciplina pubblicitaria e il Codice di autoregolamentazione tv e minori. Quest’ultimo è rivolto a tutelare i diritti e l’integrità psichica e morale dei minori, con particolare attenzione e riferimento alla fascia di età più debole (0 –14 anni). In paesi come Norvegia, Svezia, Austria, esistono restrizioni molto forti, in certi casi con la proibizione di indirizzare messaggi pubblicitari a minori di 12 anni. Ciò dovrebbe essere unito ad una maggiore consapevolezza dei genitori, spesso scavalcati dal marketing o manipolati attraverso meccanismi iniqui.
L'influenza che i mass media esercitano sui soggetti in età evolutiva è fuori discussione. La televisione, ma soprattutto la pubblicità, pressano in modo massiccio sui processi formativi ed educativi delle nuove generazioni. Il rischio é (peraltro molto concreto) quello che crescano del tutto eterodiretti (avendo scarsa autonomia di decisione e di comportamento) e non espandano spazi intimi di riflessione e ragionamento.
Albert Einstein diceva: “Se volete che vostro figlio sia intelligente, raccontategli delle fiabe; se volete che sia molto intelligente, raccontategliene di più”.
(di Rosalba Radica - del 2011-09-02) articolo visto 9223 volte
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