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RICHARD GERE SI RACCONTA TRA CARRIERA E PRIVATO AL FESTIVAL DI ROMA

A cura di Aureliano Verità - Fonte: www.newscinema.it

In occasione della consegna del Marc’Aurelio D’oro alla carriera, Richard Gere ha incontrato la stampa questa mattina all’Auditorium, in una conversazione aperta tra i giornalisti e l’amico Claudio Masenza. Questa sera riceverà il premio alle 19.30, in occasione della presentazione della versione restaurata del film Days Of Heaven di Terrence Malick, in cui l’attore americano è protagonista.

Che cosa rappresenta questo premio per lei e come è cambiata Hollywood ed il cinema da Days Of Heaven ad oggi e come è cambiato Richard Gere?
R - Per la prima parte della domanda, innanzitutto, amo l’Italia, amo Roma, e credo che il primo premio internazionale ricevuto come attore è stato il David di Donatello proprio per questo film, Days Of Heaven. L’Italia è stato il primo paese a riconoscere il mio lavoro svolto come meritorio. A volte quando ti danno questi premi te li consegnano quando sei in punto di morte o quando hai finito la carriera. Amo l’Italia, amo gli italiani per me quindi questo premio vale molto. Per la seconda parte, io ho fatto film nell’era d’oro del cinema, ma anche difficile, facevamo i film che volevamo fare ed i film che volevamo vedere. Le cose sono cambiate anche dal punto di vista finanziario, oramai vediamo blockbuster in franchise, è difficile fare film indipendenti, autoriali. È difficile seguire regole di questo tipo, non incoraggiano certo la creatività.

Quali sono stati i cambiamenti che la filosofia zen ha creato in lei e quanto c’è voluto per cambiare, qual è stato l’impatto sulla tua vita, qual è stato il cammino?
R - Credo che tutti provino un certo disagio nei confronti dell’universo in cui viviamo, questa è una cosa che provavo già da giovane e per capire meglio ho fatto degli studi e delle ricerche ed il buddismo mi ha colpito. Noi generalmente vediamo la realtà e gli altri con un certo scetticismo, abbiamo intorno a noi tanti stimoli e quello che percepiamo finisce per fuorviarci quindi con certe pratiche si riesce a stabilire un rapporto con la realtà più profondo, diverso da quello che la scienza ci vuole insegnare, ne nasce un maggiore senso di comunità, di vivere. Sono convinto di essere sulla strada giusta per andare oltre le menzogne che ci insegnano sull’universo.

Qual è la sua impressione nel vedersi in questo film, Days Of Heaven, che cosa l’aspetta adesso? Noi lo vediamo ancora in tv con Pretty Woman ma la sua fase è un’altra ora, cosa si aspetta?
R - Scusato è passato così tanto tempo che neanche me lo ricordo. Quando abbiamo iniziato a girare quel film avevo appena 26 anni, 36 anni fa! Io e mia moglie aspettiamo con ansia, gira voce che sia una copia perfetta. Fare l’attore è un ottimo lavoro ma non ho aspettative eccessive su questo mestiere, quello che mi aspetto veramente tanto è dalla vita, faccio del mio meglio ma sono abbastanza umile nei confronti di quello che faccio, non credo sia un gran chè quello che faccio, quindi sono modesto. Una società di produzione l’avevo avviata ma è stata uno spreco di forze, faccio altro. Per quanto riguarda il futuro, non l’ho mai programmato, non faccio piani, ci sono momenti in cui ho dedicato le mie forze a progetti in particolare ma mai troppo a lungo termine. In genere scelgo film che creino punti interrogativi, che facciano interrogare le persone su loro stesse e su quello che vedono, sono questi i film che mi piacciono. Più che una carriera vedo la mia vita come un viaggio.

Ora come ora sarebbe propenso a leggere una sceneggiatura sul Free Tibet?
R - Ho letto già tante sceneggiature sul Tibet che mi sono state proposte e generalmente non sono eccezionali, proprio perché sono affezionato a questo tema, sono molto critico. In genere faccio documentari, prestando proprio la mia voce ad essi, penso ci sia una realtà ancora maggiore nei documentari. Il partito comunista cinese in questo periodo ha adottato linee ancora più dure contro i tibetani ma sono disposto a fare qualsiasi cosa per aiutarli.

Quali sono le cose più importanti per lei? Dove dedica le sue energie, la famiglia i suoi progetti? Quali sono le priorità?
R - Il rapporto con la mia famiglia ovviamente è al primo posto, sullo stesso piano è il rapporto con i miei maestri, sono appena tornato dal Kathmandu nel Nepal ed uno dei miei maestri era morto quindi ci siamo riuniti, il 49esimo giorno dopo la morte è molto importante nella tradizione tibetana. Si tratta di una figura che ha avuto una enorme influenza su di noi. La mia vita è incentrata sulla mia famiglia, sui tibetani ma ovviamente mi diverte anche fare il cinema e grazie ad esso viaggiare, conoscere realtà diverse e per esempio essere qui a parlare con voi. Se si dovesse interrompere questa carriera non sarebbe un problema, gliel’assicuro.

Le è mai pesato essere un sex symbol?
R - Mah, io non me ne sono mai reso conto e questo è un aspetto che viene sollevato solamente durante le conferenze stampa. Vede io faccio il mestiere dell’attore e questo mi piace, vorrei che altri si rendessero conto che questo per me è un lavoro, che dedico tutto me stesso ad esso ma non hanno significato queste etichette per me.

Come riesce a mantenersi ottimista in un momento storico critico come questo?
R - Posso dire quanto sto per dire quello che sto per dire perché non ho 22 anni ma 62. La realtà, ciò che siamo è l’amore, l’empatia, la generosità, non è la durezza è una cosa che credo, che provo nel mio intimo. Ciò che provoca così tanti conflitti, rabbia e paura non è l’essenza di cui siamo composti, se riusciamo ad eliminare questo, riusciamo a tirar fuori l’entità alla base di cui siamo fatti ed è ben altro. Mi rendo conto che siamo come in un incubo, dobbiamo svegliarci, mi rendo conto che sia difficile ma sono certo che ci riusciremo.

Per lei in questo momento qual’è il disagio maggiore a livello mondiale? Oggi trova nelle giovani leve qualche attore che le possa assomigliare, che sente vicino?
R - Non ho visto purtroppo Too Big To Fail, presentato a questo Festival, ma è stato fatto un altro film, Inside Job, io ho votato agli Oscar per quel documentario perché dava una visione molto chiara di come siamo arrivati a questa situazione, l’ironia è che quelli responsabili di questa crisi hanno addirittura fatto carriera, hanno ottenuto incarichi governativi. Ecco quel film mi ha molto turbato, in genere queste manifestazioni, contro il sistema sono sempre state pacifiche e fanno capire alle istituzioni che c’è bisogno di parlare con la gente. So che in Italia non è stato un movimento ancora grande, ma so che da internet è nato e che si sta sviluppando, la gente dovrà per forza ascoltare anche qui. Siamo tutti riscattabili ma dobbiamo assumere le nostre responsabilità, purtroppo queste perso. Quanto ad un mio possibile successore, Ryan Gosling penso sia un attore straordinario, mia moglie lo adora!

Quale dei suoi personaggi l’hanno marcato di più e l’hanno accompagnato fino ad oggi?
R - Lasciano tutti un segno, io una volta ho parlato con uno dei miei maestri del fatto che qualche volta devo interpretare personaggi distruttivi che possono lasciare un segno negativo nella mia vita e lui mi ha detto, devo essere onesto con te, un residuo minimo resta sempre e questo è vero, ovviamente il personaggio nasce da me e quindi anche le parti negative partono da me ma c’è anche un modo sano per affrontarle, è possibile in una vita breve di 80, 100 anni, come attore di imparare da questi ruoli.

Secondo lei la tecnologia nel cinema è d’aiuto oppure no, e che rapporto lei ha con essa?
R - Quando ho Cotton Club, diretto da Francis Ford Coppola, all’inizio degli anni ‘80, Coppola stesso stava dicendo che all’epoca avrebbe potuto fare un film usando un computer, pensavamo fosse pazzo ma in realtà oggi vediamo film fatti a computer ma la magia della recitazione non si può ricreare, bisogna sempre avere una base attoriale. Le scenografie erano uniche all’epoca, ora sembrano primitive. La tecnologia è divertente ma è relativa, cambia rapidamente, ma non mi fa paura.

Che rapporto ha con la politica e oggi ha ancora un grande sogno da realizzare?
R - Il mio sogno riguarda mio figlio, io e mia moglie stiamo vivendo un momento particolare, abbiamo un figlio di undici anni, un bambino che ha tutta la vita davanti, ora quello che conta è lui ed i miei maestri ovviamente. Ciò che i tibetani hanno imparto nel corso di 1400 anni è una cosa dalla quale devo sempre trarre insegnamento, per me è importantissimo. Tornando a quello che dicevamo prima, il cinema è meraviglioso ma è niente in confronto a queste due cose.

C’è stato qualche ruolo che lei ha rifiutato ed adesso si pente?
R - Sì, non posso dire di avere rimpianti ma posso dire di aver compiuto errori e non è che posso dire siano stati tanti i ruoli che ho rifiutato. Non sai mai quello che dovresti fare, ti tormenti ma in realtà non sappiamo mai cosa ci riservi la vita. Si possono fare delle scelte però noi non vediamo quello che veramente abbiamo intorno, siamo troppo vicini per avere una prospettiva ampia.

Come ha approcciato il buddismo, un approccio intellettuale o qualcosa di più?
R - Il mio obiettivo non è il buddismo ma la libertà, la possibilità di esprimere compassione, il buddismo è solo un cammino, avevo da poco superato i 20 anni quando mi sono avvicinato a questo cammino. Il nostro fine deve essere la libertà e sono tante le strade per poterla raggiungere, secondo me questa era la strada giusta e sono stato fortunato di incontrare i miei maestri, persone che hanno saputo insegnare la strada.

Quando e perché ha deciso di fare l’attore?
R - In realtà non ho ancora deciso, forse quando sarò diventato grande prenderò questa decisione. Immagino che lo volessi certo ma ci sono stati dei momenti in cui sapevo che avrei intrapreso una strada che poi avrei continuato a seguire. Mi piaceva molto il teatro, il palcoscenico, ero molto timido ed il teatro mi ha permesso di superare questa limitazione. Ero ancora all’università quando in massachussets feci un provino e venni scelto e mi ricordo di aver provato questo calore incredibile che saliva e mi sono detto, adesso è iniziato qualcosa, mi son sentito pieno di energia, sono corso fuori, ho corso quasi dieci miglia per scaricare quest’energia. Ci sono stati momenti nella mia carriera in cui ho provato certezze come quella ora sono cambiate le prerogative nella mia vita ma ancora mi ricordo quel momento.

Mi chiedo se lei sarebbe interessato a lavorare in tv, per esempio quella via cavo, abbiamo visto che è un campo in grande fermento, l’ha mai considerato?
R - I film dell’HBO per esempio sono straordinari, costano quanto la maggior parte dei film indipendenti, il talento, la qualità delle sceneggiature, degli attori è straordinaria, alcune delle ultime cose che ho visto sono proprio sulla HBO quindi sarei onorato di parteciparvi.

Come mai non ha mai pensato di fare regia?
R - A me interessa anche andare sulla luna, come mi interessa fare il regista certo. Io e Claudio ne parliamo molto, lui insiste sul fatto che io debba fare qualcosa del genere ma questo porterebbe via un sacco di tempo alla mia famiglia ed alla mia religione ed ora come ora ho altre priorità.

Piacerebbe fare un film sul Dalai Lama?
R - Devo dire che diverse persone si sono rivolte a me, persone di grande talento, molto capaci, che mi hanno parlato di fare un film sul Buddha, ma nessuno sul Dalai Lama. Scorsese l’ha fatto, certamente, è una delle vite più affascinanti di un nostro contemporaneo e penso che potremmo tutti essere grati nel vivere nello stesso periodo di questa persona. Ho visto diversi film che hanno voluto rappresentare il buddhismo ma non ho visto ancora sceneggiature convincenti.
(di Aureliano Verità - del 2011-11-03) articolo visto 2868 volte
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