L'Opinionista Giornale Online - Notizie del giorno in tempo reale
Aggiornato a:
 

TRA SCIENZA E FUTURO

L'illustre Prof Bignami, uno dei più grandi scienziati Italiani, svela i contenuti del suo nuovo libro.

Fisico, divulgatore scientifico, professore, presidente dell’ Istituto nazionale di Astrofisica, scrittore; sono solo alcuni degli innumerevoli volti dell’illustre Prof. Giovanni Bignami, una delle menti italiane  eccellenti e apprezzate molto  anche all’estero. Con lui abbiamo dato uno sguardo su alcune delle tematiche più discusse  di recente, a partire dalla missione su Marte, vero evento epocale del decennio, fino ad alcune considerazioni sullo stato di salute dell’università e della ricerca in Italia. Profondo, posato, mai banale, il Prof. Bignami ci svela alcuni  argomenti presenti nel suo ultimo libro “Cosa resta da scoprire” e fornisce interessanti punti di vista su temi spesso dibattuti dall’opinione pubblica, partendo proprio dalla missione su Marte:

Recentemente la NASA ha lanciato una nuova missione con destinazione Marte, il Mars Science Laboratory, con il rover Curiosity che cercherà tracce di vita. Quanto è importante la conoscenza del Pianeta Rosso per una missione umana? E quanto è prossima tale missione?
R - È molto importante. Spirit, Opportunity, ma anche Mars Express dell’ESA con il radar Marsis di realizzazione italiana, come anche il radar ShaRad a bordo della sonda NASA Mars Recoinassance Orbiter, ci forniscono dati necessari a conoscere meglio il Pianeta Rosso. Ma la ricerca della vita non è la premessa della nostra conquista del pianeta rosso, perché le forme di vita possono essere assai diverse e non necessariamente compatibili con la nostra. Esistono batteri che vivono in ambienti per noi letali eppure sono forme di vita. Serve piuttosto a capire come la vita si possa essere diffusa nell’universo, in che forme, perché sulla Terra e quante terre possono esserci? Nel libro “I marziani siamo noi” ho cercato di spiegare come la vita sulla Terra possa/debba avere avuto origine aliena e quindi ipotizziamo che possa esistere anche in altre parti del sistema solare, della nostra galassia, seppur in forme diverse dalle nostre. È più importante per la conquista di Marte, sapere se c’è acqua, la fonte e la componente fondamentale, insieme all’ossigeno, dell’esistenza umana. A questo scopo l’Italia ha realizzato i radar Marsis e ShaRad.
Confermare la presenza di acqua su Marte permetterebbe di pianificare missioni che ne possano sfruttare i benefici. Però c’è un dato su tutto: lo spazio esterno è un luogo ostile. Realizzare una missione umana su Marte è una sfida scientifica e tecnologica che mette i brividi. È una sfida che va portata avanti dalla comunità scientifica internazionale, ma è anche una sfida che si può vincere. Ci vorranno ancora una ventina di anni, se ci si pone questo obiettivo come primario. Bisognerà inventare il propulsore del futuro (idee ce ne sono e tra le più avanzate, una italiana) capace di ridurre ad un anno, tra andare e tornare, un viaggio che ad oggi è di tre/quattro anni. Questi uomini saranno vittima delle radiazioni cosmiche, dovranno essere protetti, dovremo capire come il loro fisico reagirà e soprattutto essere consapevoli che un semplice mal di denti, nell’infinito del cosmo, può diventare un ostacolo insormontabile. E poi bisogna sopravvivere sul pianeta rosso. Un pianeta con atmosfera rarefatta, che non fornisce protezione dalle radiazioni, con temperature che oscillano tra meno 200 e più duecento, che si sia di notte o di giorno. Conoscere Marte significa capire come si è sviluppato il sistema solare e comprendere come anche il nostro pianeta si è evoluto. Significa anche conoscere “l’ostilità” del luogo che accoglierà la prima missione umana. Come ho avuto modo di  dire in più occasioni è però certo che il bambino destinato a conquistare il pianeta rosso sia già nato.


Tra le tante cose che restano ancora da scoprire, qual è quella che la incuriosisce di più?
R - Mi affascina molto il funzionamento del nostro cervello. Mozart, come raccontano i suoi biografi e sottolineava Milos Forman nel suo fortunatissimo film “Amadeus”, non correggeva i suoi spartiti perché le note fluivano dalla sua testa allo spartito come se il suo cervello avesse già immaginata e immagazzinata l’intera sinfonia o opera. Immaginiamo se potessimo collegare il nostro cervello a un qualsiasi hardware come una penna di memoria usb e potessimo trasferire i dati in nostro possesso direttamente su di essa per poi poterli sfruttare e diffondere tramite un pc, senza prima doverli trascodificare. Ecco penso che una scoperta di questo genere avrebbe delle notevoli ripercussioni nella nostra vita quotidiana, sollecitando inoltre la nostra capacità di conoscere e immaginare.

Uno spunto interessante, molto attuale, è quello relativo l’energia geotermica da sfruttare come principale fonte di energia pulita. La domanda, per quanto banale, è: come mai, secondo lei, si parla ancora così poco di questo tipo di energia? È il solito, (senz’altro valido) discorso di interessi economici, petrolieri in primis, che ostacolano queste energie pulite per salvaguardare i loro interessi?
R - Per scrivere questo libro ho dovuto studiare e molto. Quando sono venuto a contatto con il meccanismo della produzione energetica grazie alla geotermia, rimanendone affascinato dalla semplicità e dall’impatto quasi nullo sul nostro ambiente, ho approfondito ulteriormente per cercare di capire dove fosse l’inghippo. Ma non l’ho trovato. Ho piuttosto trovato resistenza. Non so dire esattamente per quali motivi, o meglio potrei dirlo ma preferisco tacere. Certo è che il mercato dell’energia non si muove sulla base della convenienza del genere umano e della preservazione del suo habitat naturale. Come è possibile che l’uomo possa andare sulla Luna, esplori le profondità del nostro sistema solare, abbia superato con la sonda Voyager i confini del nostro sistema solare, ed ad oggi non esista un’alternativa valida al carburante fossile? Alla fine degli anni ’90 Los Angeles introduceva i primi autobus a pile all’idrogeno. Un motore oggi abbandonato a favore del motore elettrico, a suo volta abbandonato a metà degli anni ’80, per poi essere riproposto come alternativa nel 21° secolo. Cosa è che ha spaventato? Il fatto è che il mondo si regge su equilibri economici e l’uovo di Colombo è vissuto come un elemento eversivo dello status quo.

Recenti studi cercano di conciliare le scoperte della cosmologia con quelle della fisica quantistica, aprendo all’ipotesi di un “multiverso” , ovvero uno o più universi paralleli potenzialmente simili o addirittura uguali al nostro; lei è scettico su questa teoria o ne è un sostenitore?
R - Ho già abbastanza da fare a capire questo universo in cui viviamo…

La cosiddetta “crowd science”, letteralmente –scienza della folla- permette, tramite l’utilizzo di internet, di mettere in contatto illustri scienziati e persone comuni, le quali mettono a disposizione le proprie conoscenze ed esperienze per la risoluzione di quesiti scientifici, insomma una sorta di Wikipedia per scienziati. Lei cosa ne pensa al riguardo?
R - Mi considero un divulgatore e un comunicatore e come tale mi adopero perché la scienza abbia la massima diffusione possibile. Ho avuto modo di essere interpellato come scienziato sulla rete e sui social network più diffusi, ma ho anche avuto la possibilità di scrivere alcuni libri, di condurre programmi televisivi, di scrivere su giornali nazionali e internazionali. Come INAF facciamo un grande lavoro, usando molto la rete, per affermare un principio: la cultura scientifica è cultura tout court non un ambito di nicchia che possono capire solo gli specialisti. Bene vengano tutti i modi per superare, in Italia soprattutto, questo falso pregiudizio.

Quale è la sua opinione sullo stato della cultura in Italia e più nello specifico di quella scientifica?
R - Rifacendomi a quanto detto prima, noi subiamo, nella cultura italiana, del pregiudizio sulla cultura scientifica, che prima Croce e poi Gentile, hanno imposto, attribuendo alle sole arti umanistiche il ruolo di Cultura con la c maiuscola. Un paradosso se si considera che l’Italia è il paese dei maggiori scienziati multidisciplinari. Da Leon Battista Alberti a Leonardo da Vinci a Galileo Galilei, ma senza dimenticare il Bernini e il Brunelleschi, e molti altri ancora. Il nostro rinascimento è pieno di genialità che hanno considerato la cultura come conoscenza, che riguardasse le arti dello scrivere o della chimica, dell’astronomia, della biologia. È un pregiudizio tenace, difficile da abbattere. Spesso la politica, i mass media ricordano quanto sia importante investire in ricerca e innovazione per il futuro per del nostro paese, ma rimane spesso lettera morta e al dunque non prestano molta attenzione alla ricerca stessa. I grandi giornali lo considerano un elemento di nicchia che non interessa, non capendo che così abdicano al loro ruolo di informatori. I politici al dunque scelgono politiche economiche poco coraggiose perché per investire ci vuole coraggio. I grandi paesi che lo hanno fatto, vedi gli USA, la Cina, l’India, la Germania, il Brasile, sono ora il motore trainante del mondo. Confido che il neo ministro Profumo possa finalmente far fare un salto di qualità alla strategia nel settore di questo paese.

Non pensa che una università di massa abbia finito per abbassare il livello di preparazione dei nostri studenti?
R - Lungi da me. Non è l’università di massa a fare bassa qualità, anzi al contrario. È che la qualità dell’università deve migliorare e soprattutto il nostro mercato del lavoro deve essere sinergico e ricettivo rispetto alle università. In astronomia e astrofisica abbiamo eccellenze mondiali, giovani interpreti che escono dalle nostre università con una formazione che ci invidiano e che li porta a andare a lavorare all’estero. Il tema si riallaccia a quanto dicevo prima sulla cultura. Abbiamo effettivamente bisogno di tanti avvocati o laureati in scienza della comunicazione? Non è l’università di massa il problema, è la pianificazione, l’informazione ai giovani studenti che si devono diplomare perché sappiano scegliere correttamente.

Si parla spesso di investire sulla ricerca per avere un ritorno in termini reddituali/economici negli anni futuri; qual è il nesso tangibile tra cultura/ricerca e generazione di ricchezza?
R - La premessa deve essere che la ricerca applicativa, come appunto intesa generatrice diretta di ricchezza, non esiste. Al contempo la ricerca genera sempre ricchezza, direttamente o indirettamente. Lo dimostra la storia, non troverete un solo scienziato che affermi il contrario. Ma la ricerca prevede tempi lunghi, si investe oggi non per avere noi domani, ma perché lo abbiano i nostri figli. Se si comprende questo, si fa solo del bene all’umanità.
(di Claudio Tuteri - del 2012-02-04) articolo visto 5332 volte
sponsor