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IL DRAGONE CINESE É STANCO

Cosa succede se la Cina rallenta la sua (fino ad ora) inarrestabile corsa

Il dragone cinese, da qualche tempo a questa parte, ha iniziato a rallentare la sua ascesa a superpotenza globale, assumendo una sembianza da “semplice” drago. In termini economici, questa mutamento fisico/estetico da dragone a drago si traduce in una flessione del PIL e conseguentemente in una riduzione della crescita collettiva.
In realtà, parlare di crescita “collettiva”, in un paese che conta un miliardo di abitanti ed in cui il reddito medio si aggira ancora sui $7.500 è alquanto improprio. Questo dato, più di tutti gli altri, dà voce a chi sostiene che l’economia cinese sia stata gonfiata da una bolla più o meno grande, potenzialmente in grado di creare effetti, per l’appunto, più o meno devastanti.
PERCHÉ DOBBIAMO PREOCCUPARCI DELLA DECRESCITA DELL’ECONOMIA CINESE? - Semplicemente per due motivi: il primo, a carattere generico, è che ormai le economie e le strutture finanziarie dei vari stati sono strettamente collegate tra loro, non ci sono più economie semplicemente –locali-; uno degli effetti della globalizzazione è stato proprio questo, il che rappresenta un pregio in termini di circolazione di moneta e allargamento dei mercati per le aziende, ma ha delle controindicazioni forti se si pensa alla possibilità di “contagio” da parte di un’economia in grave crisi a tutta l’impalcatura finanziaria mondiale.
Il secondo motivo, più specifico, risiede nel fatto ormai ben risaputo che la Cina detiene una buona parte del debito pubblico Americano, un partner cruciale per gli stati Europei. Questo ha delle implicazioni notevoli nelle scelte di politica economica di Washington ( e di riflesso di Bruxelles), in quanto è stato stimato che ben mille e cento miliardi di dollari in titoli di stato americano sono nelle mani di Pechino.
Facile intuire, con queste somme, che l’America rischia di essere presa per il collo dai suoi rivali orientali; nonostante ciò, è pur vero che se l’occidente riversa in un credit-crunch da cui stenta ad uscire, uno dei pochissimi stati in grado di fornire liquidità all’intero sistema è proprio la Cina.
Da qui gli incontri che si sono avuti nel mese scorso tra Wen Jiabao ed i principali leader europei, dove l’intento neanche troppo nascosto di questi ultimi era ricevere denaro fresco per finanziare progetti ed infrastrutture per sostenere la crescita dell’eurozona, poiché la BCE era già troppo impegnata ad elargire denaro per rimediare ai buchi di bilancio di molti paesi europei (Grecia in primis).
PERCHÉ PREOCCUPARSI DELLA CINA? - I motivi sono molteplici; possiamo citare un debito pubblico altissimo, segno che senza gli investimenti pubblici l’economia non sarebbe in grado di camminare sulle proprie gambe, oppure la bolla edilizia, una delle controindicazioni “classiche” che si hanno in seguito a periodi caratterizzati da boom-economici.
In altre parole l’inflazione a due cifre ha iniziato a far gonfiare anche e soprattutto i prezzi delle case, lievitati oltre modo negli ultimi anni, fino ad avvitarsi in un pericoloso vortice di crescita ingiustificata; ed in questo vortice si è annidata la speculazione, entrata per gonfiare i profitti delle società edili, uno dei settori che hanno fatto da traino all’intera economia cinese.
Se questi aspetti, per quanto rilevanti, possono sembrare tutto sommato affrontabili senza manovre, per usare un termine in voga di questi tempi, “lacrime e sangue”, una delle cause di maggior preoccupazione risiede nella crescita totalmente squilibrata che si è avuta dentro la muraglia. Come accennato in precedenza, una crescita a doppia cifra del PIL, in un paese grande come la Cina, è sinonimo di grande, grandissima ricchezza generata; eppure, come sostenuto da qualche economista avveduto, questa crescita è stata troppo rapida per poter essere considerata sostenibile nel lungo periodo; inoltre non è andata di pari passo con le infrastrutture politiche ed economiche del paese, con la conseguenza che è stata a vantaggio di pochi.
In altri termini, negli ultimi anni il numero di persone –ricchissime- in Cina è aumentato a dismisura, ma in uno stato composto da un miliardo di abitanti, la percentuale di questi “fortunati” neo-paperoni è rappresentativo di una sparuta minoranza in termini percentuali, se rapportati alla popolazione totale. Sono imprenditori o capi di azienda che hanno tratto un vantaggio enorme a seguito dell’apertura al commercio estero, ritrovandosi in una posizione se non di monopolio, quantomeno di oligopolio.
Il problema si è avuto in seguito al rallentamento dei consumi nella sfera occidentale del mondo, le aziende cinesi hanno subito una riduzione delle vendite e non si sono potute rivolgere al mercato interno per compensare questa riduzione. Ovvio, visto che il cinese medio vive con uno stipendio risibile e di conseguenza la domanda interna è decisamente debole, per usare un eufemismo.
Abbiamo quindi da preoccuparci? Sicuramente si, poiché il ruolo di fornitore di liquidità attribuito al governo di Pechino potrebbe venire meno o comunque subire una brusca riduzione. L’Europa sarebbe costretta, in assenza di investimenti cinesi, ad aumentare la liquidità in cassa ai vari stati con il timore di una spirale inflazionistica incontrollabile e gli Stati Uniti potrebbero essere costretti a finanziarsi tramite l’acquisto di buona parte dei loro stessi titoli di stato, dismessi da Pechino per fare cassa.
Parlando di cifre che sfiorano le centinaia di miliardi di dollari, il rischio è presto spiegato.
(di Claudio Tuteri - del 2012-05-24) articolo visto 4824 volte
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