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VIAGGIO FRA LE ATMOSFERE DI “THUNUPA”, SECONDO LAVORO DISCOGRAFICO DI PIERO DELLE MONACHE

grande successo di critica e pubblico per il sassofonista abruzzese


Thunupa, secondo lavoro discografico del sassofonista abruzzese Piero Delle Monache, è un viaggio affascinante in cui immergersi totalmente, fino a farsene rapire ascolto dopo ascolto: la sua disarmante bellezza, fuori da ogni schema commerciale, lo rende uno dei migliori cd degli ultimi anni.
Molto diverso dal precedente Welcome, Thunupa ne rappresenta la naturale evoluzione: i suoi due volti convivono integrandosi alla perfezione, quello in quartetto (a fianco di Piero tre straordinari musicisti, Claudio Filippini, Tito Mangialajo Rantzer e Alessandro Marzi) e l’altro in sax solo. Sono nove le composizioni che ne fanno parte (una delle quali, “Ascolta se piove” è eseguita in due versioni): è evidente la voglia di sperimentazione, dettata anche da una libertà artistica che ha lasciato spazio alla creatività e all’originalità di un progetto curatissimo in ogni suo dettaglio, dall’aspetto musicale a quello grafico.
La “Thunupa Music”, come lo stesso sassofonista l’ha definita, è un incontro di immagini, suoni, loop, percussioni e voci. Qui si va oltre il jazz, si sconfina in atmosfere impossibili da etichettare, spiazzanti, ma altrettanto avvolgenti.
Questa la nostra intervista con Piero Delle Monache.

Thunupa è un titolo che desta subito curiosità: cosa significa?
R - È il nome di un’antica leggenda andina: è un dio che arriva sulla terra a portare ordine fra gli uomini dopo anni di caos, una figura che in qualche modo è vicina a quella di Promoteo e di tanti altri dei delle antiche mitologie. Tanti anni fa avevo letto un libro di Graham Hancock, “Impronte degli dei”, nel quale si trattava di queste somiglianze fra mitologie di popolazioni che in realtà non si sono mai incontrate. Mi aveva colpito la figura di Thunupa a cui avevo dedicato un brano, quello che poi ha dato il titolo all’intero disco. Questo mio nuovo lavoro arriva dopo anni di sperimentazioni, cambi di città, traslochi. Per me un punto di arrivo è sempre un nuovo punto di partenza: sto vivendo un momento importante della mia carriera, giunge dopo anni di ricerca così come Thunupa arriva dopo anni di caos sulla terra a portare la pace, dunque mi sembrava un titolo rappresentativo.

Il disco ha delle atmosfere molto particolari: come lo definirebbe Piero Delle Monache?
R - Questa è “Thunupa Music”. Io ho una formazione prevalentemente jazzistica con una minima anche classica: ho iniziato ascoltando e studiando solo jazz. Mi piace sentire pop, rock, r&b, hip hop (mio fratello è un ottimo musicista di questo genere). Tutto questo è finito dentro l’album che è nato in modo molto spontaneo: non avevo la voglia di creare un qualcosa di originale e particolare, ma semplicemente ho cominciato a registrare ed è venuto fuori così. Rappresenta per il momento il punto di approdo della mia ricerca musicale, poi vedremo dove mi porterà il prossimo disco.

Ascolta se piove è, a mio giudizio, il brano migliore dell’intero lavoro: come nasce?
R - L’ho scritta nel 2004 e fu eseguita per la prima volta insieme ad un mio amico chitarrista, Mauro Campobasso. L’avevo composta proprio per fare un concerto con lui: volevo qualcosa che potesse funzionare proprio in quell’occasione. Tra l’altro la registrazione di quel live finì su una compilation con nomi importanti quali Stefano Bollani e Irio De Paula. Il titolo è la traduzione del nome di una stradina normanna: mi sembrava molto poetico ed adatto al brano. È uno di quelli che suono più spesso, anche con formazioni diverse: ad esempio quando mi capita di essere ospite di altri gruppi e mi chiedono di portare qualcosa di mio, “Ascolta se piove” funziona sempre e si adatta bene ad ogni situazione.
È stato registrato due volte. L’idea di fare un disco metà in solo e metà in quartetto è stata del produttore artistico dell’etichetta Parco della Musica, Roberto Catucci al quale devo moltissimo. Oltre ad aver creduto in me e ad aver portato questo progetto in questa label così importante, ha dato dei contributi veramente essenziali all’uscita. Io avevo pensato separate le due vesti, registrando molto materiale in solo e facendo una session in quartetto.
In entrambe le occasioni avevo inciso Ascolta se piove. Roberto mi ha suggerito di trovare una scaletta che, in qualche modo, potesse essere una sintesi delle due cose ed utilizzare un brano nelle due versioni mi sembrava un modo giusto per legare bene i suoni delle due anime del disco.


Rollin’ Years (Mr. Michael Blindlove) e RW2 sono altre due composizioni che colpiscono.
R - Rollin’ Years ha un’atmosfera molto bluesy e degli accordi avanzati: la melodia è semplice e l’armonia piuttosto complicata come capita spesso nella mia musica. Il titolo sta ad indicare proprio quegli anni rotolanti, dei traslochi e di confronto da quando nel 2001 andai a vivere a Bologna fino al mio ritorno a Pescara nel 2011. Sono stati quelli della formazione durante i quali ho suonato con tanti musicisti più grandi e formati di me. Ne parlo con questo personaggio di fantasia, Michael Blindlove, nato come uno scherzo fra amici: mi è piaciuto dare questo sottotitolo al pezzo, quasi volessi dire a lui “Ce la siamo cavata, Mr Blindlove!”. Per noi Michael rappresenta un sassofonista texano degli anni ’30 e ’40 che ha lasciato un paio di vinili, di cui io sono misteriosamente venuto in possesso, e poi si è messo a fare il benzinaio.
RW2 è il secondo movimento di una suite dedicata al genocidio che c’è stato in Ruanda. Anni fa ho avuto l’occasione di partecipare ad una serata di raccolta fondi per il Ruanda nella quale sarebbe stato presentato un documentario di un bravissimo regista, Maurizio Dell’Orso, con cui tra l’altro sono ancora in contatto. Mi dissero che la mia performance sarebbe stata accompagnata da questa proiezione e quindi avevo immaginato quattro momenti: RW2 era quello dell’esodo. Il brano ha il senso di viaggio, fuga e partenza. È stato interpretato splendidamente sul disco da Claudio Filippini che ha fatto un assolo al Fender Rhodes meraviglioso.


La title track è molto particolare e non è certo casuale, come detto, che abbia dato il titolo al disco.
R - Thunupa nasce proprio dal fatto di aver letto il libro “Impronte degli Dei”. È un brano molto semplice, vecchio perché nasce più di dieci anni fa in un periodo in cui ero innamoratissimo della musica di John Coltrane (ne sono tuttora, ma all’epoca era una specie di ossessione come per tutti i giovani sassofonisti). Era poi rimasto nel cassetto: quando ho iniziato la registrazione in solo e a stratificare il disco, c’era lo spazio per un assolo. Non volevo che fosse di sax, allora, nel percorso fra casa e studio di registrazione, mi è venuta l’idea di far leggere alcuni estratti tratti da quelle pagine in cui si parla di Thunupa da amici sparsi per l’Italia. Li ho coinvolti e poi loro mi hanno raccontato cosa stessero facendo in quel momento: ad esempio c’era una mia amica che lavorava come babysitter da alcuni bambini che strillavano “Thunupa”. Ho chiamato anche Giulio Berghella e Paolo Tocco proprio dello studio di registrazione. Mi sembrava un bel modo di condividere la mia musica con alcuni dei miei amici più cari.

Nel disco e nei live in quartetto sei affiancato da tre straordinari musicisti: quanto è fondamentale l’alchimia che si è creata con loro?
R - Il quartetto è nato un anno fa, sono felicissimo che si sia creata immediatamente un’intesa nel gruppo. Io e Claudio Filippini siamo amici da ragazzini perché abbiamo frequentato la stessa scuola di musica ed anche lo stesso liceo, era il compagno di ricreazione, ci scambiavamo i dischi: è stato il primo pianista con cui ho suonato ed io il primo sassofonista con cui lui ha suonato. Ho frequentato molto Alessandro Marzi nel periodo in cui vivevo a Roma, è uno dei miei batteristi preferiti in assoluto, coniuga benissimo il jazz con la musica brasiliana per la quale ha una grande passione e competenza. Gli parlai in quel periodo di Tito Mangialajo Rantzer perché avevo fatto dei concerti con lui e Alessandro mi disse che aveva dei dischi in cui proprio Tito suonava e che gli sarebbe piaciuto conoscerlo.
È venuta così l’idea di fare qualcosa insieme ed è nato il quartetto: c’è stata subito molta disponibilità da parte di loro tre nell’interpretazione della mia musica. Questo si vede dal vivo perché creiamo idee sul momento: ad esempio in occasione del concerto di Jazz sotto la Torre a Palena la scaletta è stata stravolta, c’era ovviamente una traccia, ma in modo magico siamo passati da un brano all’altro senza interruzioni, questo perché una nota ha magari dato lo spunto per il pezzo successivo oppure perché da una mia decisione nasceva il tutto. C’è molta fiducia in ogni singolo elemento del quartetto e allo stesso tempo nel gruppo in quanto tale: ognuno sa qual è il proprio limite o la qualità, ma allo stesso tempo crede nella “Thunupa Music” e si crea un bellissimo equilibrio. Prima dicevo come in questo disco confluiscano i tanti ascolti che ho fatto e ciò si riflette anche nel quartetto. Claudio Filippini è un pianista che oggi sta lavorando tanto nel pop, Alessandro Marzi, che ha fatto un tour pop con Alex Britti, conosce benissimo la musica brasiliana (è stato ultimamente un mese a suonare proprio in Brasile), Tito Mangialajo è una specie di enciclopedia della musica perché ha tante esperienza nel freejazz, grande esperto anche lui della musica brasiliana (la moglie è una cantante del genere) e del jazz. La scelta dei musicisti dunque, al di là della stima e dell’amicizia, non è casuale: è un incontro di mondi e Thunupa mette ordine in tutti questi mondi!.


Il disco ha ottenuto un ottimo riscontro sia di critica che di pubblico: te lo aspettavi?
R - Speravo andasse bene. Ho avuto la fortuna di registrarlo in totale libertà e di questo ringrazio Paolo Tocco e Giulio Berghella di Protosound Polyproject, oltre che Domenico Pulsinelli, ingegnere del suono fantastico: mi hanno lasciato appunto massima libertà creativa, di conseguenza andando avanti nella registrazione ci rendevamo conto che stesse venendo fuori un buon prodotto. Ho avuto così la sfrontatezza di proporlo all’etichetta italiana più importante nel jazz, Parco della Musica, e la fortuna di essere accolti nel suo catalogo. Arrivavano dei buoni feedback anche agli amici musicisti ai quali avevamo fatto ascoltare le prime idee: siamo partiti con aspettative che poi sono state ampiamente superate ora. Persone con background musicali completamente diversi amano questo disco e ciò mi fa molto piacere. Anche dal punto di vista delle immagini la gente ci ha trovato visioni diverse l’una dall’altra: in un certo senso è una musica cinematografica perché nasce appunto da immagini, ma ne narra altre, c’è una libera interpretazione, è importante la capacità narrativa per cui tutti possono trovarci storie dentro.


A proposito di immagini anche la veste grafica dell’album è molto curata.
R - Il layout di tutti i dischi di Parco della Musica è lo stesso perché escono avvolti in un cartoncino ed alcuni elementi messi in una certa posizione. È un’etichetta che, se il materiale fotografico è buono, sa metterlo in risalto. Sapendo di uscire per loro, abbiamo chiesto la copertina ad uno dei più importanti fotografi d’Italia, Stefano Schirato, abruzzese come noi. Lavora a livello internazionale (collabora col New York Times ed è spesso impegnato in ambito cinematografico). Ci interessava un fotografo che non avesse il solito occhio jazzistico. Questo scatto è frutto di un lavoro molto creativo fatto da me, Federica Fusco di Altotenore e Stefano in due mesi che si è concretizzato in una session di un’ora. Siamo partiti da cose megalomani per arrivare ad uno scatto semplice e concreto, anche la retrocopertina è quasi rock. Stefano ha avuto uno staff ottimo alle spalle: Marco Di Vincenzo ed Andrea Buccella come collaboratori in studio, Stefano Masini post produttore, quindi un equipe prestigiosa. Serve una cura essenziale in un momento come quello che viviamo oggi in cui è facile registrare un disco: basta avere un computer ed una connessione per vederlo poi su iTunes. Per non perdersi in questo mare di proposte la risposta possibile è dare la stessa attenzione sia ai suoni che alla grafica.

Thunupa dal vivo ha una resa eccezionale: è infatti un album camaleontico, che si presta bene ad essere suonato in varie maniere (sax solo, quartetto, accompagnato con coreografie di danza). Preferisci qualcuna di queste situazioni live?
R - Non ho preferenze ad essere sincero. Amo suonare in quartetto perché la musica viene fuori sempre meglio. La dimensione in solo è molto stimolante, mi piace lavorare con l’iPhone: così tutta la musica che propongo è suonata con sax e iPhone. Anche nel concerto in quartetto mi ricavo una parte in solo con sax ed iPhone. L’esperienza con Fabrizia D’Ottavio, incontro fra musica e danza, è stata favolosa e spero di riproporla molto presto: questa è stata un’intuizione di Federica Fusco che ha voluto fortemente che io lavorassi con la campionessa olimpionica. Abbiamo vissuto un’altra esperienza stimolante sempre nella rassegna che abbiamo curato a Manoppello a Villa Pardi: Gabriella Compagnone, grande sand artist, ha reso un brano del disco con disegni estemporanei sulla sabbia. Mi piace che la musica scritta si possa declinare in più maniere.
Ad ottobre Piero Delle Monache varcherà i confini nazionali per portare Thunupa a Bruxelles e Parigi, rispettivamente presso il Sounds Jazz Club e l’Istituto Italiano di Cultura, ad ulteriore dimostrazione del grande potenziale del disco.
Foto:
Piero Delle Monache in primo piano (foto di Mario Sabatini)
Cover Thunupa (realizzata da Stefano Schirato)
Piero Delle Monache in sax solo (foto di Mario Sabatini)
Piero Delle Monache sax di spalle (foto di Stefano Schirato)
Piero Delle Monache al Porto Turistico Marina di Pescara (foto di Marco Di Vincenzo)

(di Piero Vittoria - del 2012-09-07) articolo visto 2431 volte
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