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DINO RISI: REGISTA, SCENEGGIATORE MA SOPRATTUTTO "MAESTRO DI VITA"

Con la sua morte scompare una delle ultime coscienze critiche del cinema italiano del dopoguerra.br> Con la morte di Dino Risi, avvenuta il 7 giugno 2008, sparisce un pezzo di storia del cinema italiano. Risi non è stato solo un regista o uno sceneggiatore: egli ha anche funto, attraverso i suoi film, da coscienza critica dell'Italia.
Per Risi il cinema era "maestro di vita" e quindi doveva mettere a nudo i vizi e le virtù della società.
Così accade nel suo capolavoro riconosciuto "Il sorpasso" (1962) dove due strepitosi attori come Vittorio Gassman e Jean-Luis Trintignant, danno vita a due personaggi che rappresentano egregiamente l'Italia borghese, ipocrita e bigotta di quel periodo: Bruno Cortona e Roberto Mariani. Il primo (interpretato da Gassman) è un quarantenne amante della bella vita, delle belle auto e delle donne, mentre il secondo (Trintignant) è uno studente di legge, timido e insicuro, ma anche attratto dallo stile di vita alto-borghese, lui che invece appartiene alla media borghesia lavoratrice.
Proprio sul contrasto tra i due personaggi, Risi traccia uno splendido ritratto dell'Italia e dei suoi canoni, rovesciando totalmente gli stereotipi della commedia italiana soprattutto per quel che riguarda due canoni fondamentali: la caratura dei personaggi e l'happy end.
Nella commedia all'italiana, fino ad allora, i personaggi dei film erano macchiette e figure caricaturali e non possedevano una personalità precisa. Al contrario, Cortona e Mariani, sono, come abbiamo già detto, personaggi "vivi" con i loro dubbi, i loro tratti psicologiche le loro paure.
Per quel che riguarda il secondo punto, l'happy end, è chiaro che se da un punto di vista stilistico esso possa rappresentare una rivoluzione del genere,non così può apparire a chi segua attentamente lo svolgimento del film: il finale de "Il sorpasso" non è altro che la conclusione logica e naturale di un film vissuto costantemente sul filo della velocità e del rischio.
"Il sorpasso" è dunque il film che serve meglio di ogni altro a spiegare la personalità di Risi, milanese doc, che dopo aver conseguito la laurea in medicina, contro il parere dei genitori, decise di intraprendere la carriera cinematografica, a discapito di una carriera nel mondo della psichiatria.
Inizia come assistente di Mario Soldati nel 1940, con il film "Piccolo mondo antico". Il suo primo lavoro è un cortometraggio, "Barboni"(1948), che parla della disoccupazione a Milano, mentre è del 1951 il primo lungometraggio, "Vacanze col gangster" .
Da lì in poi è un susseguirsi di successi: "Pane, amore e…"(1955, sequel di altri due film, che raccontano tutti le comiche gesta e le avventura amorose del maresciallo Carotenuto, alias Vittorio De Sica), "I mostri"(1963), "Operazione San Gennaro"(1966), solo per citarne alcuni. Lavora con tutti i più grandi attori del cinema dell'epoca: Alberto Sordi, Vittorio De Sica, Vittorio Gassman, Nino Manfredi, Totò,Ugo Tognazzi, ma anche attrici come Sofia Loren, Silvana Mangano e Franca Valeri.
Risi ha rappresentato per cinquant'anni l'evoluzione dell'Italia, con quel suo piglio critico, ma allo stesso tempo ironico e divertente. C'è da dire che proprio perché il cinema di Risi era basato su un certo stile, su certi attori e personaggi, la sua "morte cinematografica" è da datare molto prima della sua morte biologica. Con la scomparsa via, via degli attori che avevano reso celebri le sue pellicole (Tognazzi, Gassman, Sordi soprattutto), e l'avvento della "commedia caciarona" di registi come i fratelli Vanzini, Risi si intristisce sempre più.
Così si spiega il tentativo, miseramente fallito, di rinverdire i fasti di un suo vecchio film ("Poveri ma belli", 1956), con un remake ("Giovani e belli", 1996), che nulla aveva della carica espressiva che aveva accompagnato fino ad allora i suoi lungometraggi.
Nulla a che vedere con il vero Risi, quello di capolavori come "Il mattatore", che consacrò definitivamente Gassman, al punto che il titolo, veniva spesso usato per definire l'attore, come un soprannome.
Sono tanti, troppi i film che ci ha lasciato in eredità, ma Risi, come detto non è stato solo un grande regista, ma anche un fine psicologo, un latin lover (gli furono attribuiti flirt con Anita Ekberg e Alida Valli, tra le altre) un uomo senza peli sulla lingua, e, nell'ultima parte della sua vita, un vecchio, con un solo desiderio: quello di morire.
Risi era una persona fiera, sempre con la battuta pronta, conscio dei suoi meriti, ma soprattutto dei meriti di chi aveva lavorato con lui, o dei maestri a cui si era ispirato.
Ci sono due frasi che spiegano bene Dino Risi.
La prima fu pronunciata quando uno dopo l'altro morirono Ingmar Bergman e Michelangelo Antonioni: " Meno male", disse Dino, "che non sono morto oggi, altrimenti andavo con due righe i cronaca."
La seconda è un giudizio su Moretti, acclamato da molti critici, ma che a Risi non garbava molto, perché "si piace troppo. Quando vedo i suoi film mi viene da dire: spostati e lasciami vedere il film".
Il Maestro, perché Risi nel suo genere è stato un Maestro con la "m maiuscola", era tagliente, malinconico e critico. Mal si integrava con un'epoca che non sentiva più sua.
Nell'ultimo periodo della sua vita arrivò persino a desiderare l'eutanasia.
Questa però è una parte malinconica che non ci piace ricordare.
Noi vogliamo solo dirgli: "Addio Maestro, ci mancherai".

(di Davide Luciani - del 2008-07-07) articolo visto 3373 volte
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