“Prima di tutto, sappiamo veramente cosa è l’UE?”, ha proseguito Bagnai. “L’UE stessa non si definisce se non come transizione verso una “unione sempre più stretta”. Non si dice però quando questo processo sarà compiuto e si propone così una eterna transizione verso l’ignoto. L’assenza di un obiettivo determinato deresponsabilizza chi dovrebbe realizzarlo. Al contempo, questa UE che non si dà un obiettivo in termini istituzionali impone continuamente obiettivi molto perentori agli Stati membri, come il bando delle auto endotermiche entro il 2035, che per lo più li danneggiano”.
L’economista ha poi ricordato che è “un dato ovvio che l’adesione a un regime di cambi fissi trasporti l’aggiustamento di competitività dalla moneta al salario. Nel nostro Paese questo meccanismo ha determinato l’arresto della crescita, con un Pil che è ancora inferiore al livello del 2007. Tuttavia, pagando questo duro prezzo il Paese ha recuperato competitività e quello del cambio per ora è un problema superato. Resta però il fatto che quando una banca centrale impone un unico tasso di interesse a Paesi diversi, inevitabilmente qualcuno viene penalizzato. E questo è il caso dell’Italia, che ha risolto il problema dell’inflazione ma subisce ugualmente gli alti tassi di interesse imposti dalla BCE”.
Secondo Bagnai “l’idea che il “gigantismo” europeo sia un presidio nei mercati globali è ingenua e smentita dai fatti. Su temi dove in teoria le dimensioni conterebbero, come quelli dell’immigrazione e della crisi energetica, l’UE non è riuscita a incidere perché il suo processo decisionale è meno efficiente di quello degli Stati membri e perché anche unita l’UE è comunque più piccola dei giganti emergenti”.
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