Biologico, Confagricoltura avverte: attenzione alle direttive Europee

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Paolo Parisini: “Occorre modificare la normativa europea sull’accesso al mercato della Comunità europea”

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BOLOGNA – Durante il convegno inaugurale del Sana 2016 tenutosi a Bologna, Paolo Parisini, presidente della Federazione di prodotto biologico di Confagricoltura, ha evidenziato come anche quest’anno i dati ufficiali del ministero delle Politiche agricole confermino l’ottima performance (+18%) della produzione biologica.

Un comparto, quello del biologico, che Confagricoltura conosce molto bene, rappresentando più di un quarto degli ettari coltivati a biologico in Italia, ovvero 480 mila ettari e il 15 % del totale delle aziende, la cui superficie media è di circa 50 ettari a fronte di una media nazionale di 33, molte delle quali impegnate anche nella trasformazione dei prodotti. Un’agricoltura biologica imprenditoriale, dinamica, vocata all’export ed all’innovazione.

Parisini tuttavia avverte: “Dobbiamo prestare molta attenzione a ciò che sta accadendo a Bruxelles, dove la discussione sulle nuove regole di produzione e controllo per l’agricoltura biologica è in una fase di stallo che, per essere sbloccata, potrebbe portare a compromessi al ribasso come già avvenne per esempio con il vino biologico”. 

In particolare Parisini ha sottolineato la questione dei controlli sulle importazioni e sulle soglie di residui accidentali, sulla quale la forte presenza di Paesi importatori, quali Germania, Olanda, Danimarca spinge ad avere regole più flessibili, con la conseguente perdita di sicurezza per il consumatore e per i produttori onesti.

“Occorre modificare la normativa europea sull’accesso al mercato della Comunità – ha sostenuto Parisini – e migliorare il sistema di controlli, non solo sui prodotti importati, ma anche su quelli coltivati e trasformati nel mercato europeo, garantendo omogeneità ed uguaglianza, specie sulla declassificazione dei prodotti a non biologici, lasciata a regole nazionali o regionali”.

Confagricoltura ricorda infatti, che il sistema d’importazione prevede solo l’equivalenza con i sistemi di controllo dei Paesi extra UE, e non la conformità; in tal modo si permette ai produttori stranieri di utilizzare metodiche di produzione che in Europa non sono ammesse. Con la conseguenza di danni competitivi per le aziende bio europee ed italiane e rischi per la sicurezza alimentare.