Grinta, amore e leggerezza: tre giovani mamme si raccontano

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TOGAlessandra, Ilaria e Annalisa hanno avuto bambini con lesioni cerebrali molto gravi. Eppure sono solari e tenaci nella loro battaglia giornaliera

Mamma, la tua testa è
Come un tetto che quando
Piove non mi bagno.
Filippo, 3 anni e mezzo.

MILANO – Un figlio ti cambia la vita: in modi diversi è vero sempre e per tutte, al punto d’essere un’ovvietà. Per alcune mamme però è più vero che per le altre e di ovvio non ha proprio nulla. Come per Ilaria, Alessandra e Annalisa, tre giovani mamme di Tog, la fondazione che a Milano segue circa 200 bambini con cerebrolesioni gravi o sindromi genetiche. “Le nostre mamme sono toste, fanno sacrifici pazzeschi ma con una positività e un entusiasmo incredibili”, dicono a Tog.

É vero. Nelle giornate di Alessandra, Ilaria e Annalisa non c’è spazio per la retorica zuccherosa sulla maternità. C’è invece una grinta solare, una capacità d’accoglienza che non si chiude in se stessa ma che contagia. C’è una consapevolezza profonda, l’aver ri-scelto d’essere madri non di un figlio astratto e sognato ma di quel figlio reale ma imprevisto che si sono trovate in braccio, con i suoi limiti e le sue potenzialità.

Ilaria ha 31 anni e un curriculum zeppo di collaborazioni con il top del mondo della moda. Due anni fa aveva la vita in pugno, un grande amore sposato a Las Vegas e la gioia per una bimba in arrivo.

“Mi sentivo padrona della mia vita, pensavo che dalla vita potevo prendere tutto, bastava lavorare sodo. Invece non è vero: della vita devi prendere quello che arriva e a un certo punto devi inginocchiarti di fronte al mistero”, racconta. Il mistero, per Ilaria si chiama Emi: ha 13 mesi e la sindrome di Down. “Non sapevamo, è stato un duro colpo, ma per me anche un rito di passaggio”.

Ilaria ha attraversato la fase delle domande, della paura (“la sindrome di Down è un mostro che fa paura perché si vede, ma quando inizi a frequentare centri come Tog capisci che questa è la Rolls Royce della disabilità”) e della rabbia: “Presto però mi sono resa conto che fermarsi lì mi poneva in una posizione di debolezza. La situazione è questa, Emi è mia figlia e questa è la mia normalità: allora ti si aprono due vie, o ti rassegni o cerchi il meglio. In alcuni luoghi mi hanno guardato come una pazza perché cercavo il meglio per mia figlia, qui a Tog invece se Emi non impara a volare, poco ci manca”, ride.

Annalisa ha due bimbi, Riccardo di 5 anni e Viola di 3. Ha lasciato il lavoro e tre volte la settimana fa un’ora e un quarto di viaggio verso Milano con Viola in braccio, treno più metropolitana, per fare fisioterapia, logopedia e psicomotricità.

“É lontano, ma altrimenti per tutta la vita avrei avuto il dubbio che forse per Viola le cose avrebbero potuto essere diverse. Ed eccoci qua”, dice. Viola è una bellissima bimba riccia, che parla con gli occhi. Durante il parto qualcosa è andato storto, lei è rimata senza ossigeno e ha avuto delle lesioni cerebrali. Mentre racconta, Annalisa caccia indietro le lacrime: “Rifiutavo Viola, così potevo far finta che non fosse accaduto nulla: a ripensarci non mi riconosco. Tutti volevano aiutarmi, ma io avevo paura. Continuavo a dire ‘non ce la faccio’, ‘perché a noi?’, pensavo che non saremmo mai stati più felici”. Dopo due mesi in terapia intensiva neonatale, Viola è stata “l’unica che mi ha aiutato davvero: ho capito che lei sapeva che la sua mamma ero io, così mi sono risvegliata. Viola mi ha tirato fuori energie che non credevo di avere, sto facendo cose che non pensavo di poter fare: guardo mia figlia e vedo che lei è felice. Questo basta”.

Lorenzo ha 6 anni e balla il ballo del qua qua sulla sua carrozzina, insieme a un compagno. Lui ha una tetraparesi e comunica attraverso i simboli raccolti nel quaderno della comunicazione aumentativa. Quando era incinta, mamma Alessandra sognava d’iscriverlo alla Piccola scuola di circo.

“Abbiamo subito cercato d’attivare tutti gli aiuti possibili per Lorenzo”, racconta Alessandra, psicologa. “All’inizio eravamo insoddisfatti, non perché ci attendessimo un miracolo, ma perché percepivamo che Lorenzo non era visto nella sua unicità, con i suoi limiti e le sue risorse. Come genitori il compito è questo: a seconda del figlio che hai davanti, sviluppare le capacità che ha”.

Per Alessandra la serenità è “riconoscere ‘il meglio’, cercando anche un po’ di creare condizioni migliori, andando avanti per tappe”. Con un po’ di ‘leggerezza’: “Siamo stati aiutati dal fatto che i nonni, gli amici, la scuola… tutti straordinari. Se lo sguardo della società su Lorenzo fosse stato diverso, se non avessero visto il bambino ma il disabile, sarei anch’io più pesante, più affaticata”. Invece sorride, mentre va di corsa al lavoro.

Se davvero c’è una nouvelle vague della maternità. Passa anche da queste mamme: dalla capacità di dedicarsi totalmente a un figlio a prescindere dall’ancoraggio in fedi religiose o antropologiche; dal sacrificio; dalla ricerca della felicità come diritto, senza mai accontentarsi di meno che del meglio; da un individualismo che di buono ha fatto sedimentare la pretesa a un’attenzione individuale. Dalla leggerezza di voler volare, comunque.