Il settore domestico rischia il collasso: inflazione, aumenti retributivi e voucher. Urge una riforma fiscale

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ROMA – Secondo la bozza approvata in Consiglio dei Ministri, una delle novità della Legge di Bilancio 2023 sarebbe la reintroduzione dei voucher per lavoro occasionale e stagionale, destinati quindi principalmente ai settori dell’agricoltura, del turismo e dei servizi alla persona, con riferimento in particolare al lavoro domestico.

L’obiettivo di questo provvedimento sarebbe far emergere il lavoro irregolare, rendendo più snella la regolarizzazione per i lavoratori che svolgono poche ore settimanali o brevi periodi durante l’anno. L’esperienza italiana dimostra però che, almeno nel lavoro domestico, strumenti di questo tipo non sono mai stati molto utilizzati dalle famiglie, tranne che quando collegati ad incentivi e bonus.

Storia dei voucher nel lavoro domestico

Introdotti in Italia nel 2003 (L. 30/2003, “Legge Biagi”), i voucher erano inizialmente riservati a studenti e pensionati nel settore agricolo, ma sono stati progressivamente a tutti i settori. L’abolizione avvenne nel 2017, evitando quindi il referendum abrogativo già in programma per il maggio di quell’anno. Fino al 2017, dunque, i voucher erano consentiti per lavori occasionali con compensi complessivamente non superiori a 5.000 euro annui. Nella versione del 2023, questa soglia dovrebbe salire a 10.000 euro.

Nel 2016, anno di massima espansione di questo strumento, i lavoratori coinvolti sono stati 1,7 milioni, con una media di 75 ore pro-capite e un importo lordo medio di 746 euro. In quell’anno, i lavoratori domestici coinvolti furono poco più di 50 mila, pari al 3% dei lavoratori complessivamente interessati. Anche osservando la somma dei voucher utilizzati tra il 2013 e il 2017, il lavoro domestico ha beneficiato solo del 4,1% dei buoni, mentre i settori che ne hanno fatto maggiormente ricorso sono Commercio (18,0%) e Turismo (16,2%).

Dai voucher al Libretto Famiglia

Dopo l’abolizione dei voucher, nel 2017 è stato istituito il Libretto Famiglia (Legge n. 96 del 21 giugno 2017), uno strumento rivolto alle persone fisiche non nell’esercizio di attività professionale o d’impresa per gestire alcune categorie specifiche di lavoro (piccoli lavori domestici, inclusi i lavori di giardinaggio, di pulizia o di manutenzione; assistenza domiciliare ai bambini e alle persone anziane, ammalate o con disabilità; insegnamento privato supplementare).

Nel periodo pre-pandemia questo strumento aveva un utilizzo piuttosto limitato, con un numero medio di lavoratori inferiore a 10mila al mese nei quattro trimestri del 2019. Il Libretto Famiglia ha registrato un improvviso aumento nel 2020 a seguito dell’emergenza Covid e, in particolare, dell’istituzione del Bonus Baby-Sitting: il numero medio di lavoratori mensili ha così raggiunto i 43 mila nel I trimestre e superato i 200mila nel II trimestre, per poi tornare a diminuire nella seconda metà del 2020 (119mila di media nel III trimestre e 12mila nel IV). Nel 2021, dopo un lieve rialzo nel I trimestre, i dati relativi al numero medio di lavoratori pagati tramite Libretto Famiglia sembrano tornare ad attestarsi ai livelli pre-Covid. Nel 2022, infine, i dati relativi ai primi sei mesi (fornitura personalizzata INPS per DOMINA) confermano questa tendenza, con una media vicina ai 12 mila lavoratori al mese.

I dati evidenziano quindi come i voucher e il Libretto Famiglia siano sempre stati poco utilizzati dalle famiglie per la gestione del rapporto di lavoro domestico. L’eccezione è rappresentata dai periodi in cui vigono incentivi pubblici, come il Bonus Baby-Sitting durante la pandemia. Secondo Lorenzo Gasparrini, Segretario Generale di DOMINA (Associazione Nazionale Datori di Lavoro Domestico, firmataria del CCNL sul Lavoro Domestico), l’esperienza dei voucher e del Libretto Famiglia insegna che questi strumenti, da soli, non sono sufficienti per favorire la regolarizzazione nel lavoro domestico. L’emersione del “nero” è invece favorita da incentivi e strumenti fiscali a sostegno delle famiglie. Da anni, ad esempio, DOMINA chiede la piena deducibilità dei costi sostenuti dalle famiglie per l’assistenza e la cura a domicilio.