In Italia aumenta la differenziata, ma mancano gli impianti

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ROMA – In Italia la raccolta differenziata aumenta con un buon ritmo, passando dal 55,9% del 2017 al 58,8% del 2018. Ma mancano gli impianti di trattamento, e se ne costruiscono sempre di meno, per l’incertezza delle politiche pubbliche. Le aziende del settore crescono, ma gli investimenti restano concentrati nei territori più ricchi del Nord. E’ questo lo scenario che emerge dal Rapporto annuale 2019 di WAS, il think tank sui rifiuti della società di consulenza aziendale Althesys, presentato ieri a Roma.

I termovalorizzatori non hanno visto incrementi significativi negli ultimi anni. Gran parte di quelli previsti sono rimasti sulla carta. Senza nuove costruzioni, secondo WAS al 2035 si perderà circa la metà dell’attuale capacità di recupero energetico dai rifiuti. Questo, secondo lo studio, impedirà all’Italia di raggiungere gli obiettivi di recupero energetico fissati dalla Ue (dal 18% del 2017 al 25% del 2035). Per i rifiuti organici, gli impianti sarebbero sufficienti, ma sono distribuiti male sul territorio nazionale: molti al Nord e pochi al Sud.

Il contesto di incertezza politica e normativa che condiziona il settore si riflette sul numero di operazioni straordinarie realizzate. Le iniziative mappate per il 2018 sono state 23, in netto calo rispetto alle 28 del 2017 e alle 45 del 2016: in due anni in pratica si sono dimezzate. Nonostante ciò, il valore della produzione dei 124 maggiori operatori della raccolta e trattamento dei rifiuti urbani è cresciuto nel 2018 del 4,9%, raggiungendo i 9,18 miliardi di euro. Nel 2018 i loro investimenti hanno raggiunto i 477,5 milioni di euro, in aumento del 17,4% rispetto al 2017.

Entro il 2035 serviranno all’Italia 4 o 5 termovalorizzatori delle dimensioni di quello di Acerra e una decina di impianti di compostaggio per i rifiuti organici, collocati nel Centrosud. E’ l’opinione di Alessandro Marangoni, direttore scientifico della società di consulenza aziendale Althesys, intervistato dall’ANSA.

Il valore della produzione dei 124 maggiori operatori della raccolta e trattamento dei rifiuti urbani in Italia ha raggiunto nel 2018 i 9,18 miliardi di euro, con un aumento del 4,9% rispetto all’anno precedente. Il dato emerge dal Rapporto annuale Was 2019 sui rifiuti in Italia, preparato dalla società di consulenza aziendale Althesys. Queste 124 imprese operano in 4.143 Comuni italiani (52,1% del totale), servono 40,5 milioni di abitanti (quasi il 70% della popolazione) e gestiscono 22,3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani (il 75,5% di quelli prodotti nel 2017).

Nel 2018 i loro investimenti hanno raggiunto i 477,5 milioni di euro, in aumento del 17,4% rispetto al 2017. Secondo il rapporto, prosegue il rafforzamento delle tre “major”, le grandi multiutility quotate che puntano a crescere per aggregazioni e a integrarsi (Iren, Hera e A2A). Da sole raccolgono il 22% dei rifiuti e servono il 21% degli abitanti, realizzando nel 2018 il 30% del fatturato del settore. Performance in contrasto con quelle dei sette operatori metropolitani, che, pur pesando per il 17% del settore (con 7,2 milioni di abitanti e il 19% dei rifiuti urbani raccolti), restano concentrati sulla raccolta e scontano la carenza di impianti.

Le piccole e medie monoutility presidiano con buoni risultati i propri ambiti locali, coprendo il 44% del totale e realizzando più di 2 miliardi di fatturato (il 22%). Hanno raccolto 5,7 milioni di tonnellate e servito 10,1 milioni di abitanti. Gli operatori privati, con il 16% dei rifiuti raccolti, hanno coperto il 23% dei Comuni, incidendo per il 14% del valore della produzione totale. Gli operatori che svolgono solo il trattamento e smaltimento (ad esempio Acea Ambiente a Roma) hanno generato il 7% dei 9,18 miliardi di fatturato complessivo del settore, e hanno gestito 3 milioni di tonnellate di rifiuti.