Inflazione al 4,8%, Rifondazione Comunista: “Ridateci la scala mobile”

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ROMA – “Con un’inflazione al 4,8% lavoratrici e lavoratori vedono decurtati salari che già sono tra i più bassi in Europa. E’ ora di reintrodurre la scala mobile per fare fronte al carovita e difendere il potere d’acquisto delle classi popolari. E’ indispensabile un meccanismo di recupero automatico annuale dell’inflazione reale, una nuova scala mobile che tuteli anche il lavoro precario”. Lo affermano Maurizio Acerbo (foto), segretario nazionale e Antonello Patta, responsabile lavoro del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea.

“Le lavoratrici e i lavoratori più giovani forse neanche lo ricorderanno, ma dal 1945 fino al 1992 in Italia c’era la scala mobile, un meccanismo di adeguamento di salari e pensioni al costo della vita”, aggiungono. “Fu introdotta dopo la Liberazione grazie alla forza che avevano le sinistre e la Cgil guidata da Giuseppe Di Vittorio nei confronti di un padronato ancora debole perché era stato complice e sponsor del regime fascista. La scala mobile divenne bersaglio del primo taglio nel 1984 da parte del governo Craxi con l’accordo di Cisl e Uil. Fu l’ultima battaglia di Enrico Berlinguer quella per un referendum che fu sconfitto nel 1985. L’economista Federico Caffè si schierò in difesa di questo strumento. Fu abolita dopo lo scioglimento del PCI, quando gli ex-comunisti spinsero tragicamente la Cgil verso una linea di concertazione e di cedimento al governo Amato e a Confindustria che avrebbe inaugurato una lunga stagione di ritirata e perdita di diritti. Anche per questo l’Italia è diventata l’unico paese europeo in cui il monte salari complessivo è diminuito dal 1990”.

Rifondazione Comunista ha “sempre proposto la reintroduzione della scala mobile e nel 2006 raccogliemmo le firme per una legge di iniziativa popolare che prevedeva di tutelare anche il lavoro precario. E’ ora di rilanciare questa rivendicazione insieme all’introduzione di un salario minimo orario legale di 10 euro e alla cancellazione delle leggi che hanno precarizzato il lavoro”, concludono Acerbo e Patta.