Per Scotti un eventuale passaggio alla dipendenza del Servizio sanitario nazionale, con l’abbandono dell’attuale rapporto di convenzione dei dottori di famiglia, ipotesi a cui il sindacato maggioritario della categoria si oppone, “accelererebbe il processo di riduzione dei medici di famiglia attivi. Secondo le nostre stime economiche la sostituzione di tre convenzionati con il passaggio alla dipendenza ne renderebbe disponibili, con le stesse risorse, due. Con un aumento del rapporto numerico che porterebbe, praticamente, a poter disporre di un solo medico per ogni 3000 pazienti almeno”.
Scotti non ignora l’appello firmato da 80 medici che sono invece favorevoli al passaggio alla dipendenza “ma parliamo di 80 medici su 40 mila. Fimmg ne rappresenta 26mila. Difendiamo il rapporto convenzionale con il Ssn perché la nostra professione è basata sulla fiducia con il paziente che ci sceglie. Con la dipendenza ci troveremo ad avere una sorta di ‘ospedale di territorio’ in cui la cura è affidata ‘al medico che capita’ e che deve seguire, in primis, le indicazioni gerarchiche o amministrative”. Il problema, aggiunge, è che la mancata programmazione e conseguente limitata formazione dei medici di medicina generale, “su cui abbiamo suonato da tempo il campanello d’allarme, ci porta già oggi ad avere Comuni scoperti. E si vuole far apparire la dipendenza come soluzione. Un’illusione. Anche perché, come ho già dichiarato, il giorno dopo il varo di una decisione del genere io per primo mi dimetterei, seguito, credo, da molti colleghi”, conclude Scotti.
Poi sottolinea che la soluzione, invece, “è quella di sedersi ad un tavolo per rendere più attrattiva la convenzione ai giovani, che significa fornire personale agli studi, per far sì che tutta la burocrazia venga assorbita dal lavoro di segreteria, e fornire operatori sanitari per coprire tutta la parte di presa in carico del paziente propedeutica alla visita medica, permettendo così di fare anche diagnostica di primo livello nei nostri studi. Questo aiuterebbe a liberare tempo per l’attività clinica, oltre a ridare prestigio alla professione”.
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