Plasmaterapia, De Donno: “Tra pochi giorni pubblichiamo il nostro studio”

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“Tutti i pazienti trattati con plasmaterapia sono guariti e ora sono a casa. Oggi è l’unica arma che abbiamo”

“Se dovessi scegliere tra salvare una vita ed andare in carcere non ho dubbio in merito. Anche se non dovessi avere l’autorizzazione del comitato etico per me la vita è sacra. Sono un cattolico praticante e la vita è l’obiettivo della mia professione”. Lo ha detto il primario di pneumologia presso l’ospedale Carlo Poma di Mantova, Giuseppe De Donno, a Tv2000 in collegamento con il programma ‘Il mio medico’ in merito a poter continuare ad utilizzare la plasmaterapia da lui inventata per salvare la vita di altri pazienti gravi affetti da coronavirus.

“Tra pochi giorni – ha annunciato De Donno a Tv2000 – pubblicheremo la nostra produzione scientifica sulla plasmaterapia. Nei 48 pazienti arruolati nel nostro studio non abbiamo avuto alcun decesso anzi sono tutti guariti e ora sono a casa. Chiedo ai nostri legislatori che una volta pubblicato il lavoro ci diano la possibilità di usare il plasma iperimmune come si usano altri farmaci perché abbiamo in mano un’ arma che è l’unica in questo momento che agisce contro il coronavirus”.

“La plasmaterapia – ha proseguito De Donno – è un atto democratico che viene dai pazienti e torna ai pazienti. I pazienti guariti da coronavirus donano il loro plasma ricco di anticorpi che serve per guarire altre persone. Ogni donatore riesce a far guarire due pazienti riceventi”.

“L’intuizione della plasmaterapia – ha rivelato De Donno a Tv2000 – nasce quando io e il mio infettivolgo il prof. Casari ci siamo trovati una notte a gestire il pronto soccorso con i colleghi che erano disperati perché erano arrivati 110 pazienti. Anche la nostra direttrice sanitaria, anche lei sull’orlo della disperazione, ci aveva chiamati per chiederci se qualcuno dei nostri medici poteva andare ad aiutare i medici del pronto soccorso. Ci siamo andati noi come gli ultimi degli specializzandi con grande umiltà. Quella notte abbiamo capito che dovevamo inventarci un’arma che ci aiutasse a salvare i pazienti”.