Simone D’Angelo: io modello ai tempi del Covid

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modellio simone d'angelo

La moda è figlia dei tempi, segna i cambiamenti ed è l’immagine della società. Lo è da sempre e continua ad esserlo anche oggi nell’era della pandemia. Un momento talmente particolare che, modificando le nostre relazioni sociali, le nostre abitudini, il nostro approccio alla vita, ha di conseguenza stravolto anche il nostro modo di vestirci.

Stando più a casa, facendo riunioni in teleconferenza, non partecipando frequentemente a party e serate mondane, la moda, tanto quella maschile quanto quella femminile, ha virato verso uno stile sempre più informale, votato più al comfort che al gusto. Tutto sembra indirizzarsi verso una natura puramente casual, o casual chic se vogliamo: i vestiti non sono più tanto attillati ma prediligono tessuti morbidi e comodi; i tacchi hanno lasciato il posto a sandali e sneakers; capi unisex dominano il mercato.

È un’epoca che sta portando la moda ad una dimensione di sostenibilità mai raggiunta, dove il “less is more” – che già prima della pandemia stava prendendo piede – è il vero protagonista, il nuovo “must-have”. Non solo. Anche la stessa industria del fashion è stata completamente rivoluzionata.

E oggi ne parliamo con Simone D’Angelo, tra i più giovani e talentuosi modelli del panorama nazionale.

Simone come hai vissuto questi ultimi due anni? Quali sono stati i cambiamenti nel mondo della moda che più ti hanno segnato?

Sono stati anni difficili, molte situazioni che dovevano verificarsi si sono interrotte bruscamente. Viaggi, campagne, copertine…tutto saltato. Una delle situazioni che mi ha intristito di più è estata la mancata partenza per Pechino. Non potendo fare il tipo di vaccino richiesto dalla Cina non ho potuto programmare la partenza. Mi manca viaggiare, tonerei volentieri a Londra. Chi fa questo lavoro, sa quanto è importante viaggiare e io dopo tanti anni di presenza nel mercato italiano sento il bisogno di vivere anche altri mercati e fare altre esperienze lavorative all’estero. Per fortuna non sono il tipo che si arrende tanto facilmente e tutt’ora sto lavorando insieme ai miei agenti, ad una possibile partenza, non appena la situazione lo permetterà. Molte aziende sono state costrette a chiudere o a ridimensionarsi e di conseguenza anche i budget sono diminuiti. Alcune aziende si sono lanciate nel digitale senza usare i modelli e di conseguenza è diminuito anche il numero dei casting, poi ridotto quasi a zero dai vari dpcm.

Come è cambiato il tuo modo di posare e di dar vita alle creazioni dei designer?

La moda è attitude. Il cliente ti sceglie per come sei ma soprattutto per chi sei. Su un set se non riesci a dar vita ai capi che indossi, non dai l’energia necessaria, non sei convinto nel posing e nell’espressioni…è difficile che venga fuori un buon lavoro. Diciamo che in questi due anni,il mood “ansia/tristezza/preoccupazione” non è stato particolarmente difficile da interpretare.

La resilienza ha completamente stravolto le nostre abitudini quotidiane e ha portato alla nascita di nuove tendenze, più rivolte al minimal e al confort. Che fine ha fatto il celebre “More is more and less is bored”? E come sono cambiate le tue abitudini nel vestirti?

Sinceramente mi è sempre piaciuto indossare pantalone largo e felpa; essendo uno sportivo non mi dispiace neanche l’idea di girare in tuta…Diciamo che tanti mesi passati in casa hanno fatto assopire la voglia di vestirsi e di prepararsi in una certa maniera, però ritengo che covid o meno, in certe situazioni è giusto che si rispetti un dress code. Sul “more is more” sono d’accordo, sul “less is bored” un po meno…non sono un amante del massimalismo.

Pensi che quest’inversione di rotta possa spingere anche verso una moda più inclusiva, sulla scia dei capi unisex che già nelle stagioni immediatamente precedenti alla pandemia stavano prendendo sempre più piede?

Amo la donna in “giacca”. Su alcuni set molte volte si usano dei capi donna sull’uomo e dai capi maschili sulla donna, quindi penso che questo mix si possa fare, poi ognuno è libero e deve vestirsi come vuole e come più si sente meglio. Mi piace molto l’idea delle sorelle Erica e Faye Toogood e trovo che la loro collezione unisex sia molto bella.

Ormai sembra che tutto sia spostato sul web, persino le Fashion Week. Sono sempre di più i designer che decidono di presentare le proprie collezioni solo virtualmente. Cosa ne pensi? Credi sia una risorsa o una perdita?

Mah…per le vendite non so perché non controllo le statische…, a livello di spese e organizzazione sicuro si risparmiano soldi e tempo. Però direi che è inevitabile la perdita per quanto riguarda l’ emozione di sfilare davanti ad un pubblico e l’adrenalina trasmessa dal momento. Penso che sia una perdita anche per il pubblico perché non può ammirare i capi dal vivo e in esclusiva. Vengono a mancare l’emozione e l’atmosfera che in questo settore, solo la sfilata ti sa dare. Purtroppo questa è una costrizione del momento, appena finirà questo periodo, credo si torni alla normalità sfinado in passerella e connpubblico presente. Come è giusto che sia.