A questo si somma un dualismo personale con cui l’artista ama definire se stesso, il cowboy dello spazio, “Sono solo un vaccaro che ama guardare il cielo, Sono solo, Uno Space Cowboy” che rivela un aspetto della sua personalità più legato alla concretezza, alla terra, alla natura a cui si unisce un lato più sognante, onirico, che vaga tra le stelle e la filosofia, come le immagini che si susseguono nel disco, trasformandosi in scrittura. L’amore, la libertà, una genuina italianità, la nostalgia, un senso di incertezza, ma anche il desiderio di spegnere l’odio sterile e i conflitti social, di vivere una vita che lasci spazio all’umanità vera sono temi ricorrenti nell’esistenza dell’autore e sono il motore che ha portato a compimento queste undici tracce a partire dalla title track, manifesto dell’album.
Da “Guardarti andare via” fino a “Sulle Nuvole” si ha la sensazione di ripercorrere, come in un viaggio, la più profonda intimità di Tommaso Paradiso che, con Space Cowboy, prende forma in arrangiamenti, accordi e testi. Le canzoni, come se fossero una serie di fotografie, rivelano ciascuna un lato dell’artista dando allo stesso tempo una visione completa della sua identità artistica. Nel disco si ritrova la tradizione malinconico-romantica di Tommaso, affiancata da alcune canzoni uptempo e due pezzi rock. Il suo legame con la scena italiana è dettato, in questo caso, anche dalla title-track Space Cowboy in cui si fa riferimento a luoghi, temi e canzoni propriamente italiane: “Tu vuo’ fa’ l’americano ma nel cuore c’hai Vasco”.
Un disco che si apre con un pianoforte e, quasi a chiusura di un cerchio, si conclude con una chitarra, elementi tipici dello stile di Paradiso, che non manca però di mostrare il suo desiderio di sperimentare, come per la traccia Amico Vero che vede la partecipazione di Franco 126. “Space Cowboy”, anticipato dai singoli “Magari No” (disco d’oro), “La Stagione del Cancro e del Leone”, “Lupin” e “Tutte Le Notti”, sta in equilibrio fra la parte più profonda e poetica del cantautore e l’irriverenza trascinante di brani più scanzonati. Un dualismo anche musicale, in cui sintetizzatori anni ‘80 e suoni duri di basso e batteria si contrappongono per richiamare quel rapporto tra cielo e terra, tra concreto e astratto che in Space Cowboy vivono in armonia.
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