“Tumorati di Dio” è il romanzo d’esordio di Fabio Paolo Costanza

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“Ho cominciato a riflettere su cosa possa provare una persona che si trova improvvisamente e proprio malgrado a perceperire la condizione ‘umana’ per eccellenza: avere certezza che la cosa più importante che abbiamo, la nostra vita, deve finire”

fabio paolo costanza copertinaIn uscita giovedì 5 maggio 2022 (per Bookabook) “Tumorati di Dio“, il romanzo d’esordio di Fabio Paolo Costanza. Un libro che pone un nuovo sguardo sulla scena musicale in Italia, sugli addetti ai lavori, in qualche modo anche sul periodo complicato dovuto al Covid forse appena concluso. Imprenditore culturale e promoter attivo soprattutto in Lombardia, Fabio Paolo Costanza si svela in questa nuova veste, raccontando la storia di Gabriele, un tumorato di Dio.

Fabio Paolo Costanza ci ha gentilmente concesso un’intervista.

“Tumorati di Dio” è il tuo romanzo d’esordio, come nasce?

E’ un romanzo che nasce da una riflessione personale sui temi della malattia, dell’amore e della morte, iniziata insieme al dolore per un lutto importante. Ho cominciato a riflettere su cosa possa provare una persona che si trova improvvisamente e proprio malgrado a percepire la condizione “umana” per eccellenza: avere certezza che la cosa più importante che abbiamo, la nostra vita, deve finire. E’ un enorme trauma, psichico ed emotivo, perché la coscienza della propria finitudine è un tratto fondante del nostro essere uomini e donne che abbiamo dimenticato e che addirittura rinneghiamo, molto probabilmente perché viviamo in una società che nega il dolore e la morte perché nocivi alla società della performance e dell’illusione della libertà a ogni costo. Da qui nasce la storia di Gabriele, di un “tumorato di Dio” come tanti, ma forse diverso perché coglie nella propria condizione l’occasione per sentire il proprio presente e il proprio passato in modo nuovo, diverso e più profondo. Credo che la sua sia una storia frastornante, che si muove le pieghe di una vita che potrebbe essere quella di tutti, perché si muove tra l’amore e la morte.

Cosa vuoi comunicare con questo volume?

Sono profondamente contrario alla letteratura cosiddetta “impegnata”. Credo che compito della narrativa non sia quello di comunicare messaggi precisi quasi fossero claim politico – pubblicitari, nè quello di farsi portavoce di particolari visioni del mondo. Quello è compito, legittimo, di altri ambiti. Questo romanzo prova a districarsi fra le pieghe infinite di cui è fatta la quotidianità di ciascuno di noi, sondandone gli abissi spesso invisibili, nutrendosi di contraddizioni, ambivalenza, dubbio: la materia principe della narrativa contemporanea.

L’amore e la morte sono due elementi fondanti del racconto, cosa lega questi due aspetti?

Amore e Morte sono legati dal vero protagonista di questo romanzo, ovvero il Tempo. Il Tempo che viene a mancare, motore identitario del Tempo stesso, che nel malato terminale acquista una ferocia inaudita, mentre nella persona “sana” è una disgrazia quotidiana ma impercepibile. Nessuno di noi, al supermercato o durante una cena in famiglia pensa al concetto di finitudine, dell’inesorabilità dell’istante. Solo il Tumorato di Dio vive veramente sapendo di dover morire.

Come ti sei avvicinato alla scrittura?

Attraverso la lettura di centinaia di romanzi. In età matura provo umilmente a vivere dentro quel “Paradiso degli Individui” che come scrive Kundera è la letteratura.