Francesca Rulli: “La riduzione dell’impronta idrica nel tessile passa per l’innovazione tecnologica delle aziende e per il contributo attivo dei consumatori”
FIRENZE – I temporali che si sono abbattuti in diverse regioni italiane verso la fine dell’estate, spesso violenti e dannosi, non sono affatto sufficienti per riparare i danni di una siccità di portata secolare. Se il 2022 finisse adesso, sarebbe l’anno più caldo di sempre in Italia, ha dichiarato a inizio agosto Michele Brunetti, presidente dell’Istituto di scienze dell’atmosfera e del clima del Consiglio nazionale delle ricerche (Isac-Cnr): nei primi sette mesi infatti la temperatura media ha superato di 0,98 gradi centigradi quella del periodo 1991-2020 e le precipitazioni cumulate sono calate del 46% sempre rispetto al 1991-2020, con un declino più marcato al nord rispetto al centro-sud.
Nell’insieme, tra gennaio e luglio oltre il 40% della popolazione italiana è stato esposto a siccità; un quinto, invece, abita in zone affette da siccità severa o estrema di lungo periodo (fonte: Jbe-Cnr). Il rischio concreto è la desertificazione: 28% del territorio del Belpaese presenta segni evidenti di deterioramento, ha fatto sapere l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra).
Diventa quindi prioritario gestire in modo più ragionato ed efficiente la risorsa acqua, invertendo quel trend che ha visto aumentare di sei volte l’uso globale di acqua dolce nell’ultimo secolo (fonte: Unesco). Anche il settore tessile è convolto in questa sfida: da solo, consuma 93 miliardi di metri cubi di acqua all’anno (fonte: Ellen MacArthur Foundation, “A new textiles economy. Redesigning fashion’s future”), di cui 335mila metri cubi l’anno solo in Italia (dati Istat).
Negli ultimi anni le aziende si stanno focalizzando sulla ricerca di soluzioni per ridurre il fabbisogno idrico a parità di performance, come solventi alternativi, macchinari più efficienti o sofisticati processi di filtraggio. Altrettanto importante però è il contributo attivo dei consumatori: per ridurre in modo significativo i consumi infatti è indispensabile consolidare una maggiore consapevolezza a tutti i livelli, dimostrandosi responsabili anche nei piccoli gesti della vita quotidiana.
In questi mesi in cui l’Italia è stata flagellata dalla siccità, da più fronti i cittadini sono stati invitati a limitare gli sprechi in diversi modi, per esempio installando un riduttore di flusso nei rubinetti di casa, controllandoli periodicamente per porre rimedio a eventuali perdite, o riutilizzando l’acqua ove possibile (quella in cui si lessano le verdure per esempio è ricca di sostanze nutritive e quindi ottima per innaffiare le piante). Esistono inoltre diversi stratagemmi per ridurre l’impronta idrica legata agli abiti che si indossano.
Francesca Rulli, Ceo della società di servizi Process Factory, ideatrice di 4sustainability®, il sistema e marchio che misura l’impatto ambientale e sociale delle filiere del fashion & luxury e autrice del libro Fashionisti consapevoli.
Vademecum della moda sostenibile (Flaccovio editore), ne propone dieci:
1. Quando si fa il bucato a mano, raccogliere l’acqua nella bacinella lasciando aperto il rubinetto il minimo indispensabile.
2. Quando si acquista una nuova lavatrice, controllare anche il consumo idrico annuo stimato: è indicato nell’etichetta energetica.
3. Lavare il bucato a basse temperature: i detersivi e i macchinari più moderni garantiscono ottimi risultati anche a 30 o 40 gradi.
4. Usare il tappo del detersivo come dosatore, limitandosi alla quantità consigliata nella confezione: il detersivo in aggiunta non serve per pulire meglio, perché viene letteralmente sprecato.
5. Avviare la lavatrice soltanto a pieno carico; oppure, se i panni sono pochi, optare per il programma “mezzo carico”.
6. Prendere in considerazione il lavaggio a secco per alcune tipologie di capi, come cravatte, completi maschili e cappotti.
7. Mettere in lavatrice i capi solo quando sono effettivamente sporchi: secondo uno dei maggiori brand globali di denim, un paio di jeans può essere indossato almeno dieci volte prima di essere lavato.
8. Tra le fibre sintetiche, prediligere la viscosa al poliestere: stando al Water Footprint Institute, infatti, la sua impronta idrica è inferiore.
9. Quando si compra un capo di cotone, verificare che sia biologico (cercando l’etichetta GOTS o OCS) o riciclato (etichette GRS o RCS). Le coltivazioni convenzionali infatti vengono irrigate in modo massiccio per mantenere la produttività, oltre a fare uso notevole di pesticidi.
10. Tenersi alla larga dall’usa e getta e allungare il più possibile la vita utile dei vestiti, riparandoli se si rovinano oppure rivendendoli quando sono abbandonati nell’armadio da troppo tempo.
“Abbiamo davvero bisogno di tutti gli oggetti che abbiamo nell’armadio? Sappiamo che il consumo d’acqua necessario a produrre quello che indossiamo cambia da prodotto a prodotto? Quante domande ci facciamo in fase di acquisto? I processi produttivi – sottolinea Francesca Rulli, Ceo e Founder di Process Factory e ideatrice del sistema 4sustainability® – si stanno evolvendo per ridurre gli impatti ambientali, ma è altrettanto essenziale che sempre più consumatori si abituino a reperire le informazioni necessarie per scegliere consapevolmente cosa e come acquistare, adottando comportamenti più responsabili anche nella manutenzione successiva all’acquisto. Quanti più consumatori diverranno esigenti nelle loro richieste al mercato, tanti più brand cambieranno il loro modo di produrre, orientandosi a una maggior sostenibilità ambientale e sociale”.