A cosa serve la poesia: intervista ad Alessandro Carrera

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A cosa serve la poesia, oggi nel 2022, in una epoca così fortemente orientata alla tecnologia, all’immediatezza, al virtuale, al digitale? Riporto una corrispondenza con il Direttore Alessandro Carrera, Department of Modern and Classical Languages, University of Houston, che potrebbe essere utile.

L’arte è stato ed è uno dei modi in cui l’uomo cerca di mettere a fuoco il segreto che attraversa la vita – senza alcuna conclusione assoluta, ecco perché appunto siamo ancora qui a rileggere L’Infinito di Leopardi o Dante. Cosa contraddistingue lo scrivere in versi dal raccontare? I poeti sono persone diverse dagli scrittori in genere?

Ci sono tanti tipi di narrativa, come c’è anche molta poesia narrativa. Ci sono romanzi, racconti o cronache che non si fanno leggere come poesia, perché la tensione della trama è tale che impedisce di soffermarsi sul linguaggio e sulla sua capacità allusiva. Un romanzo di genere (noir, fantascienza) difficilmente potrà essere letto come un’opera di poesia, anche se anche in questi casi ci sono vistose eccezioni (Ray Bradbury, ad esempio).

Si può raccontare in versi, e anzi gli esempi più alti di narrazione li abbiamo proprio in poesia (Omero, Virgilio, Dante, Ariosto, Tasso, Milton, Goethe, Pushkin, anche recentemente con Derek Walcott, e ho citato solo opere occidentali, perché se citassi i poemi persiani o indiani, ad esempio, il campo si allargherebbe ancora di più). Ma il “romanzo”, fin dalle sue origini nella letteratura alessandrina e poi nella sua codificazione moderna, dal 1700 in poi, è cosa diversa dalla poesia. In un certo senso nasce in opposizione alla poesia. Deve riferire della realtà senza che ci si debba soffermare sulla bellezza singola del verso. È un rapporto sulla società, come nel romanzo inglese del ‘700 o nei romanzi storici dell’800, e ha bisogno di un ritmo più ampio. Il flusso non si deve interrompere. D’altra parte, ci sono validissimi poeti che sentono la prosa come una sfida e concepiscono la loro poesia come una prosa organizzata in versi (il Preludio di Wordsworth, ad esempio). Poi ci sono narratori che non concepiscono affatto un romanzo come una testimonianza; lo vedono di fatto come un poema in prosa e di conseguenza si possono leggere come leggiamo i poeti (Virginia Woolf, magari).

I poeti puri, i lirici che non potrebbero scrivere in prosa, sono sicuramente una razza a parte. Non è facile avere a che fare con loro, perché non è facile nemmeno per loro trovarsi a loro agio con loro stessi. Sono sempre qui e anche un po’ altrove. Chi è in grado di passare dalla poesia alla prosa (critica, giornalistica o narrativa) in genere vive di più su questa terra, ma sono sicuro che invidierà sempre un po’ chi proprio non sa far altro e non può far altro che scrivere poesie.

Quindi il bisogno di fare poesia potrebbe spiegarsi come il bisogno di entrare e uscire dalla realtà per inghiottirsela e spiegarsela nel suo imprendibile mistero – per afferrare una verità che non si intrappola – mentre il romanzo vuole essere aderente al reale?

Non tutti i romanzi vogliono e possono essere aderenti al reale, qualunque cosa il reale sia, ma certamente devono basarsi su un sistema di riconoscimenti. Una caraffa sul tavolo in un romanzo non è la stessa cosa di una caraffa sul tavolo in una poesia simbolista o surrealista. Certo, ci può anche essere una prosa simbolista o surrealista, ma allora si avvicina alla poesia. Mallarmé, ad esempio, sosteneva che non c’è la prosa, c’è solo la poesia. Nel senso che se una prosa è riuscita, allora è poesia. Il resto della prosa, evidentemente, per lui, serviva solo a compilare la lista della spesa o qualcosa del genere. Una posizione estrema, ma comprensibile. Però difficilmente condivisibile. Bisogna essere appunto Mallarmé.

Chi è per lei un poeta puro, lirico?

La lirica pura, se non vogliamo tornare ai lirici greci o a Catullo, o ad alcuni trovatori medievali, è forse una cosa più recente di quanto non pensiamo. Per lirico puro intendo un poeta che non è (anche) un intellettuale o un prosatore. Da questo punto di vista, Leopardi non è un lirico puro. Ma Osip Mandelstam e Marina Cvetaeva lo sono. Emily Dickinson lo è, anche se c’è molto “pensiero” nella sua poesia. Come lo sono anche Antonia Pozzi o Sandro Penna. O Ghiannis Ritsos. Un cordiale saluto, A. C.

Alessandro Carrera, Ph.D.
John and Rebecca Moores Professor
Director, Italian Studies
Graduate Director, World Cultures and Literatures
Department of Modern and Classical Languages
University of Houston