La confessione nel terzo millennio: chiedere perdono è così difficile?

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La confessione nel terzo millennio: chiedere perdono è così difficile?

Giuseppe, confessore del Duomo di Milano invita a riflettere sul nostro tempo e sulle fede

MILANO – Al sabato mattina presto, c’è un solo confessionale acceso nel Duomo di Milano. Una piccola luce rossa che nella penombra della chiesa si nota appena entri dal portone. La tenda appena scostata. Giuseppe è là, e lo vedi con la sua barba bianca, la sua pelle tirata, i suoi occhi scuri sempre abbassati verso il messale. Aspetta uomini e donne, anzi anime.

Sono tornato padre.
“Anche stavolta per parlare?”.

Ho poco da confessare, e quel poco me lo sono perdonato da solo.
“C’è tanta gente come te che si perdona da sola i peccati. Ma non quelli piccoli, come li chiami tu. Anche quelli che noi di chiesa chiamiamo mortali. Nessuno vuole ammettere che siano mortali, è un aggettivo terribile, e fa venire i brividi anche a me”.

Anche oggi c’è poca gente qui a confessarsi, padre. Perché?
“Siamo nel terzo millennio, e la presunzione dell’uomo aumenta. La presunzione va di pari passo col tempo: più corriamo verso il futuro, più ci sentiamo degli indistruttibili, quasi eterni”.

Fuori dal confessionale c’è scritto che lei padre confessa anche in inglese e in francese.
“L’ho messo da un anno questo cartello. Perché vengono a confessarsi da me sia stranieri sia italiani. Non è che mi dispiaccia, ma mi fa pensare. Sembra che il nostro paese sia pieno di troppi santi, e di pochi peccatori che non hanno nessuna intenzione di chiedere scusa a qualcuno”.

Possibile che chiedere perdono sia diventato così difficile per noi italiani?
“Preferiscono telefonare a qualche conduttore televisivo, o alle cartomanti, per chiedere notizie sulla salute, per sapere se stanno sbagliando in certi loro atteggiamenti di vita. Lo senti il silenzio che c’è nel Duomo stamattina? Anni fa, a quest’ora, era un brusio continuo. Avevo i fedeli che facevano la fila da una parte all’altra del confessionale. Io tenevo chiusa la tendina, per non metterli in imbarazzo con il mio sguardo. Adesso sembro uno di quei negozianti che sta sulla porta e cerca di attirare i clienti con un sorriso”.

Dopo me non c’è nessuno che aspetta. Prima c’erano dei turisti giapponesi davanti al confessionale. Ma hanno studiato attentamente i disegni del legno, e se ne sono andati soddisfatti. Se viene un peccatore mi alzo subito, gli lascio il posto.
“Parli come se tu non peccassi mai. Io vorrei anche conoscerli i tuoi piccoli peccati”.

I soliti scatti d’ira, qualche parola grossa, e mille tentazioni di pensiero. Ma mi so tenere, ho in mano le briglie della mia anima.
“E ti pare un piccolo peccato l’ira, o gli insulti? O il pensiero che delira, che vorrebbe chissà quali successi. Come te sbagliano milioni di persone. Presuntuosi come te. Questi non sono piccoli peccati. O se lo sono, allora confesserai soltanto quando avrai rubato in banca. La vita di tutti i giorni è fatta di piccole cose, ma tirando le somme, la sera, le piccole cose sono diventate un grande disagio, un immenso malessere”.

Sto pagando il fatto di essere il solo a confessarmi?
“In questa chiesa non siamo soli. In questa chiesa c’è Dio. Mi è capitato, certe sere, di dire messa con un solo fedele sulle panche. Un padre forestiero, una sera me l’ha fatto notare giù nel refettorio. Io gli ho risposto che per me è un onore dir messa con una sola presenza. Perché vuol dire che in chiesa, in quel momento, c’è Dio e l’uomo, non più Dio e un uomo…quella è soltanto apparenza. Quell’uomo sta qui a nome di milioni di persone, indaffarate, pigre, purtroppo indifferenti finchè qualcosa di diverso o di scuro non cambi la loro vita”.

Padre Giuseppe, si può cominciare il terzo millennio con un solo fedele davanti al suo confessionale? Non le fa malinconia?
“L’uomo è orgoglioso. Appena può, appena il successo nella vita glielo concede, lui è convinto di essere autosufficiente. Si sente Dio. Sente l’onnipotenza in ogni sua scelta. Ma poi, improvvisamente, per qualche imprevedibile, le chiese di riempiono, la gente perde forza e presunzione. Ci si aggrappa al miracolo, si chiede l’intervento straordinario. In questa cattedrale hanno chiesto a Dio di guarire la peste, di fare cessare le guerre, di compiere guarigioni straordinarie. Migliaia e migliaia di persone con le lacrime agli occhi. Forse è un buon segno che il Duomo sia deserto. Che nelle panche ci siano soltanto due vagabondi addormentati. Il giorno che sentissi arrivare la marea di gente all’improvviso, qualcosa di terribile avrebbe colpito la città, il paese, la storia. Meglio questa siesta dell’anima. Il terzo millennio ha bisogno di silenzio. Perché è solo smettendo di gridare, e sussurrando a chi ci ama, o a noi stessi, che si trova qualche istante di pace. Dico solo qualche istante, perché l’idea di Dio non può dare pace… perché è un azzardo senza prove concrete, è fidarsi ciecamente senza logiche”.

É il cervello che ci condanna a chiedere una spiegazione a tutto.
“Chiedere una spiegazione logica alla fede è come voler mettere in prosa la poesia. Si perde tutto il lato magico, tutto l’alone di mistero. Dio è un poeta, ha inventato i fiori profumati, le dune del deserto. Ha inventato creature che volano e nuotano. Gli occhi dell’uomo e della donna. Ha inventato l’attrazione fisica, la voglia di cantare, di sognare. Come fai a processare Dio? Come fai a domandargli a chi e a che cosa si è ispirato… e quanto tempo, se un secolo o un istante, ha impiegato per inventare tutto?”.