Riuscire ad andare oltre la realtà contingente per spingersi verso l’immaginario di una dimensione differente, piena di fluttuazioni e di enigmi che trascendono la vita per indagare e scoprire tutto ciò che potrebbe essere al di là del concreto, è una caratteristica di tutte quelle personalità creative che non riescono a concepire l’esistenza senza l’opportunità di ascoltare le energie che si muovono silenziosamente nell’universo e intorno all’essere umano. In questa dimensione quantica lo stile più affine all’approccio espressivo sopra evidenziato è tendenzialmente quello in cui la forma è indefinita, riempie uno spazio fittizio in cui vengono accolte le idee e le opportunità che si svelano attraverso il gesto creativo. Il protagonista di oggi, maestro d’arte e professore accademico per tutta la sua carriera lavorativa, sceglie uno stile particolare e minuzioso, attraverso il quale svela all’osservatore tutto l’arcano che si nasconde al di sotto dello strato pragmatico e che aleggia nell’ambito dell’inconoscibile.
A partire dalla seconda metà dell’Ottocento si svilupparono in Europa movimenti che approfondirono il tema della frammentazione e della scomposizione del colore per infondere al risultato finale una maggiore attinenza alla realtà osservata; il Puntinismo e il Divisionismo furono una naturale evoluzione delle teorie impressioniste pur andando, nel caso del primo, nella direzione opposta a causa dell’enfatizzare la suddividione in puntini in cui veniva utilizzata una gamma cromatica irreale e più affine alla poetica Fauves, oppure rimanendo legato allo scopo finale di riprodurre fedelmente ciò che era davanti allo sguardo dell’autore, come nel caso del secondo, ma ottenendo la resa perfetta della luce e dei paesaggi attraverso la scomposizione in sottili linee tonali. Con l’avvento del Novecento che portò con sé tutti quei movimenti avanguardisti determinati a stravolgere letteralmente il concetto di arte, il tema della frammentazione si ampliò fino a raggiungere la dimensione geometrica utilizzata sia nel Futurismo che nel Cubismo, sfociando poi nel Cubismo Orfico che si legò fortemente all’Astrattismo Geometrico senza tuttavia rifiutare la forma tondeggiante.
La decontestualizzazione completa che derivò dal nascere di questi movimenti fu mantenuta dal punto di vista del concetto, e non nella rappresentazione che invece attingeva alla realtà conosciuta, al Surrealismo in cui gli autori creavano realtà improbabili scendendo nell’universo dell’inquieto, dell’incubo, del mistero, riprendendo così le atmosfere del Simbolismo ma riadattandole alla poetica moderna; due voci fuori dal coro di questo movimento furono, per motivi completamente differenti, Joan Mirò che spostò l’esplorazione dell’inconscio verso un mondo fatto di segni e di semplificazioni quasi ancestrali e infantili, e Maurits Cornelis Escher il quale si avvalse del suo talento incisorio e grafico per dar vita a dimensioni sconcertanti e inspiegabili dove la prospettiva era completamente destabilizzata e in cui il bianco e nero del tratto grafico rendeva superfluo ogni apparato cromatico anzi, semmai l’assenza di colore sottolineava la genialità del maestro olandese nell’elaborare possibilità geometriche e connessioni spaziali misteriose e matematicamente affascinanti.
Nel corso degli anni seguenti si susseguirono diverse sperimentazioni volte a fondere gli stili innovativi di quei primi anni del Ventesimo secolo adeguandoli alla filosofia espressiva del singolo autore e contaminandoli con nuove tecniche espressive grazie alla libertà di non dover più appartenere a un solo singolo movimento artistico. Il lato più astrattista del Surrealismo, e quello più divisionista della rappresentazione grafica, costituiscono la caratteristica delle opere del maestro francese Alain Diot che però spazia anche nella rappresentazione in movimento del Futurismo in alcuni casi, così come verso la geometricità dell’Astrattismo Geometrico.
Ma soprattutto ciò che più appare evidente è la minuziosità grafica con cui egli realizza i suoi scenari appartenenti a universi paralleli in cui luci e ombre si alternano per mettere in risalto quel senso di lento scorrere che appartiene a una dimensione superiore non imbrigliata dalla pesantezza della contingenza bensì alleggerita dall’impalpabilità di un possibilismo quantico che ne determina quel leggero aleggiare in un infinito che a volte sembra appartenere al cosmo, altre invece alla terra osservata però con uno sguardo nuovo, sognante e al contempo essenziale.
È esattamente in questo suo appartenere alla terra di mezzo tra realtà e immaginazione, tra percezione onirica e traslazione di quanto appare davanti allo sguardo per entrare nell’astrazione più legata all’idea sostanziale che non all’esigenza di rinunciare alla forma, che si svela l’anima surrealista di Alain Diot, dove la parte inquietante e più legata ad angosce e ansie esistenziali è completamente sostituita dall’esigenza di spingersi verso gli interrogativi universali, quelli che stimolano la necessità di scoperta dell’essere umano ma ai quali è pressoché impossibile trovare una risposta. In qualche modo l’attitudine grafica dell’artista si avvicina alla produzione di Escher, evidente anche dall’apparato prospettico che va a ingannare lo sguardo in virtù della tridimensionalità alternata a piani bidimensionali funzionali all’introduzione della luce, eppure non si può non notare la similitudine con quella poetica di scomposizione dell’immagine che emerge dal tratto grafico di Alain Diot il quale trasforma le sottili linee in reticolo compositivo in virtù di cui sviluppa le prospettive e le profondità con cui genera le sue atmosfere sospese.
L’abitudine di non dare titoli alle sue opere è affine a una filosofia espressiva che si conforma alla realtà quantica che fuoriesce dai suoi scenari improbabili, perché è solo lasciando all’osservatore l’opportunità di avvicinarsi in maniera istintiva e irrazionale ai suoi lavori che gli consente di dare una propria personale interpretazione, esattamente come solo aprendosi alle possibilità che tutto sia differente da come la mente razionale è abituata a catalogarlo si può intravedere un mondo diverso altrettanto possibile. Non solo, l’ascolto delle energie che Alain Diot interpreta e lascia sgorgere attraverso il suo approccio visionario, consente all’essere pensante di scoprire quanto vi sia di non detto in tutto ciò che appartiene alla dimensione esistenziale; è sulla base di questo contatto con l’intorno che il Simbolismo ha costruito la sua poetica espressiva divenendo un punto fermo nonché il fulcro di partenza per tutta la ricerca surrealista. Ecco, forse la produzione artistica di Diot tende più verso un Simbolismo universale, del tipo che riesce ad andare oltre il contingente per inoltrarsi verso una ricerca più estesa, verso una connessione più vasta che non con gli elementi che quotidianamente fanno parte della quotidianità umana, verso un’armonia superiore oltre il tempo e lo spazio; la mente infatti, collegata al senso della vista, cerca una spiegazione che non trova e solo in un secondo momento si abbandona al mistero delle forme galleggianti dell’artista, elaborando una propria risposta agli interrogativi che inevitabilmente le opere suscitano.
In un universo creativo dominato dal bianco e nero del tratto grafico, solo una parte della produzione è dedicata al colore, all’introduzione di quel pezzo mancante che mostra un lato diverso di Alain Diot, quasi divertente nell’approccio osservativo, come se l’apparato cromatico introducesse il lato più giocoso e fanciullesco dell’autore determinando la capacità di plasmare la realtà sulla base della sua fantasia; questo è il motivo per cui il fruitore ha l’illusione di trovarsi davanti a panorami in qualche modo conosciuti, riconducibili alla campagna vicino a sé oppure alle città metropolitane con i loro palazzi tendenti verso il cielo.
Eppure il mistero delle prospettive escheriane è costantemente presente, il silenzio suggestivo di quei paesaggi infonde un senso di pace e di armonia interiore unite al desiderio di scoprire il motivo delle decontestualizzazioni, di quella destabilizzazione in virtù di cui non esiste più un sopra e un sotto bensì tutto può essere sovvertito nel mondo magico della fantasia. Come un fanciullo che osserva le modificazioni di un caleidoscopio, Alain Diot tratteggia una realtà parallela costituita da colori forti e decisi, affini più al mondo interiore della percezione che non a quello della realtà, che si sfumano in virtù della sua tecnica grafica in cui la scomposizione del tratto è linea espressiva comune sia alle opere in scala di grigi che a quelle in cui le nuance prevalgono raccontando un mondo più fiabesco che non semplicemente suggestivo.
Inchiostro nero, indiano o acrilico, o inchiostri colorati fissati su più fogli di carta Bristol, tutti presentati sotto forma di polittico, sono gli strumenti utilizzati da questo originale artista che dà una versione inedita e contemporanea degli stili a cui la sua tecnica artistica è riconducibile.
Alain Diot, diplomato in decorazione tessile e in pittura presso l’Accademia di Belle Arti di Lione, ha alle sue spalle un’esperienza professionale come stilista di decorazione tessile per prêt-à-porter di lusso e haute couture; successivamente è stato docente di arti visive all’Ecole Normale d’Instituteurs poi all’Istituto universitario di formazione pedagogica dell’Accademia di Créteil a Livry-Gargan, ha al suo attivo la partecipazione a mostre collettive presso IUFM di Livry-Gargan, Università di Parigi 13, Villa Medici a Saint Maur des fossés, e alla Galleria Thuillier di Parigi.
ALAIN DIOT-CONTATTI
Email: alaindiot2@orange.fr
Sito web: www.alaindiot.com/
The mysterious parallel worlds of Alain Diot, between Abstract Surrealism and a marked Graphic Divisionism
Being able to go beyond the contingent reality to push oneself towards the imaginary of a different dimension, full of fluctuations and enigmas that transcend life to investigate and discover everything that might be beyond the concrete, is a characteristic of all those creative personalities who cannot conceive of existence without the opportunity to listen to the energies that move silently in the universe and around human beings. In this quantum dimension, the style most akin to the expressive approach highlighted above tends to be one in which form is undefined, filling a fictitious space in which are welcomed the ideas and opportunities that are revealed through the creative gesture. Today’s protagonist, a master of art and academic professor throughout his career, chooses a particular and meticulous style, through which he reveals to the observer all the arcane that hides beneath the pragmatic layer and hovers in the realm of the unknowable.
Beginning from the second half of the 19th century, developed in Europe movements that deepened the theme of fragmentation and decomposition of colour in order to infuse the final result with a greater relevance to the reality observed; Pointillism and Divisionism were a natural evolution of Impressionist theories although going, in the case of the former, in the opposite direction due to emphasising the subdivision into dots in which an unreal chromatic range was used and more akin to Fauves poetics, or remaining tied to the final aim of faithfully reproducing what was in front of the painter’s gaze, as in the case of the latter, but achieving the perfect rendering of light and landscapes through the decomposition into subtle tonal lines. With the advent of the 20th century, which brought with it all those avant-garde movements determined to literally overturn the concept of art, the theme of fragmentation expanded to the geometric dimension used in both Futurism and Cubism, eventually leading to Orphic Cubism, which strongly linked itself to Geometric Abstractionism without, however, rejecting the rounded form. The complete decontextualisation that resulted from the birth of these movements was maintained from the point of view of the concept, and not in the representation, which instead drew on known reality, on Surrealism in which authors created improbable realities by descending into the universe of the restless, the nightmarish, the mysterious, thus taking up the atmospheres of Symbolism but readjusting them to modern poetics; two voices outside the chorus of this movement were, for completely different reasons, Joan Mirò who shifted the exploration of the unconscious towards a world of signs and simplifications that were almost ancestral and infantile, and Maurits Cornelis Escher who made use of his engraving and graphic talent to create disconcerting and inexplicable dimensions where perspective was completely destabilised and where the black and white of the graphic line made all colour superfluous; if anything, the absence of colour underlined the Dutch master’s genius in elaborating geometric possibilities and mysterious and mathematically fascinating spatial connections. During the following years, succeded various experiments aimed at fusing the innovative styles of those early years of the 20th century, adapting them to the expressive philosophy of the individual author and contaminating them with new expressive techniques thanks to the freedom of no longer belonging to a single artistic movement. The more abstractionist side of Surrealism, and the more divisionist part of graphic representation, constitute the hallmark of the artworks of French master Alain Diot, who, however, also ranges towards the moving representation of Futurism in some cases, as well as towards the geometricity of Geometric Abstractionism. But above all, what is most evident is the graphic meticulousness with which he creates his scenarios belonging to parallel universes in which light and shadows alternate to emphasise that sense of slow flowing that belongs to a superior dimension not bridled by the heaviness of contingency but rather lightened by the impalpability of a quantum possibilism that determines that light hovering in an infinity that sometimes seems to belong to the cosmos, others to the earth observed with a new, dreamy and at the same time essential gaze.
It is precisely in his belonging to the middle ground between reality and imagination, between oneiric perception and the translation of what appears before the eye to enter abstraction, more linked to the substantial idea than to the need to renounce form, that is revealed Alain Diot‘s surrealist soul where the disturbing part, more linked to existential anxieties and anguishes, is completely replaced by the need to push towards universal questions, those that stimulate the need for discovery in human beings but to which it is almost impossible to find an answer. In some ways, the artist’s graphic attitude is close to Escher‘s production, also evident in the perspective apparatus that deceives the eye by virtue of the three-dimensionality alternating with two-dimensional planes functional to the introduction of light, yet one cannot fail to notice the similarity with the poetics of the decomposition of the image that emerges from the graphic line of Alain Diot, who transforms the thin lines into a compositional grid by virtue of which he develops the perspectives and depths with which he generates his suspended atmospheres. The habit of not giving titles to his works is akin to an expressive philosophy that conforms to the quantum reality that emerges from his improbable scenarios, because it is only by allowing the observer the opportunity to approach his works in an instinctive and irrational manner that permits him to give his own personal interpretation, just as it is only by opening himself up to the possibility that everything is different from how the rational mind is accustomed to categorising it that he can glimpse a different world just as possible. Not only that, but listening to the energies that Alain Diot interprets and allows to gush forth through his visionary approach allows the thinking being to discover how much is unspoken in everything that belongs to the existential dimension; it is on the basis of this contact with the surroundings that Symbolism has built its expressive poetics, becoming a fixed point as well as the fulcrum of departure for all surrealist research.
Behold, perhaps Diot‘s artistic production tends more towards a universal Symbolism, of the kind that manages to go beyond the contingent to move towards a more extensive search, to a broader connection than with the elements that are part of everyday human life, towards a higher harmony beyond time and space; the mind in fact, linked to the sense of sight, seeks an explanation that it does not find, and only later surrenders to the mystery of the artist’s floating forms, working out its own answer to the questions that the works inevitably raise. In a creative universe dominated by the black and white of the graphic line, only a part of the production is dedicated to colour, to the introduction of that missing piece that shows a different side of Alain Diot, almost amusing in its observational approach, as if the chromatic apparatus introduced the author’s more playful and childlike side, determining his ability to shape reality on the basis of his imagination; this is the reason why the viewer has the illusion of being in front of somewhat familiar panoramas, which can be traced back to the countryside nearby or to metropolitan cities with their buildings reaching towards the sky.
Yet the mystery of Aescherian perspectives is constantly present, the evocative silence of those landscapes instils a sense of peace and inner harmony combined with a desire to discover the reason for the decontextualisations, for that destabilisation by virtue of which there is no longer an above and an below but rather everything can be subverted in the magical world of fantasy. Like a child observing the changes in a kaleidoscope, Alain Diot sketches a parallel reality made up of strong, decisive colours, more akin to the inner world of perception than to that of reality, which fade away by virtue of his graphic technique in which the decomposition of the stroke is an expressive line common to both his greyscale works and those in which nuances prevail, telling a story of a world that is more fairytale than simply suggestive. Black ink, Indian or acrylic ink, or coloured inks fixed on several sheets of Bristol paper, all presented in the form of a polyptych, are the tools used by this original artist who gives an unprecedented and contemporary version of the styles to which his artistic technique can be traced. Alain Diot, a graduate in textile decoration and painting from the Lyon Academy of Fine Arts, has professional experience as a textile decoration designer for luxury prêt-à-porter and haute couture; subsequently a lecturer in visual arts at the Ecole Normale d’Instituteurs then at the Créteil Academy’s pedagogical training institute in Livry-Gargan, he has to his credit participation in group exhibitions at the IUFM in Livry-Gargan, the University of Paris 13, Villa Medici in Saint Maur des fossés, and the Galerie Thuillier in Paris.
