“La coltivazione della patata è, dopo il pomodoro, la principale produzione orticola nazionale – prosegue – Ciò nonostante, annualmente, si assiste ad un decremento delle superfici dedicate che costringe gli operatori a ricorrere all’importazione di prodotto estero, anche extra europeo, per soddisfare il fabbisogno italiano, con minori garanzie in termini di origine, tracciabilità e sicurezza alimentare per il consumatore”.
“Diffusa capillarmente nel Paese, inclusi gli ambienti pedoclimatici più complessi dove non esistono valide alternative colturali – aggiunge L’Abbate – la coltivazione della patata sconta elevati costi di produzione che, a seconda degli areali, si aggirano sui 12mila euro ad ettaro. La filiera è in grado di generare un indotto che contribuisce alla creazione di posti di lavoro, anche nelle aree economicamente più svantaggiate del Paese, seppur nell’ultimo decennio non abbia beneficiato di alcuna forma di contributo o sostegno pubblico”.
“Si tratta di una coltura su cui si è già provveduto a ridurre l’impiego di mezzi chimici, allineandosi agli obiettivi previsti dalla nuova Politica Agricola Comune per una agricoltura sempre più ambientalmente sostenibile”, conclude il deputato IpF.
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