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“Songs”, il nuovo disco di Michele Francesconi e Laura Avanzolini

ROMA – Michele Francesconi e Laura Avanzolini hanno pubblicato il loro nuovo disco, ‘Songs’. Il lavoro, uscito per la prestigiosa etichetta romana Alfa Music, contiene otto brani diventati standard per i jazzisti di tutto il mondo e reintepretati da Francesconi e Avanzolini nella formula esigente e essenziale dell’incontro tra voce e pianoforte e con dei nuovi arrangiamenti, pensati proprio per dare risalto alla particolare combinazione sonora del duo.

Songs nasce da una lezione-concerto – “Vi racconto una song” – con cui Laura Avanzolini e Michele Francesconi hanno attraversato le storie di una decina di canzoni per mezzo di aneddoti, ascolti e filmati. A fianco dei brani appartenenti al Great American Songbook, i due musicisti si sono avventurati anche nel mondo latin o nel repertorio pop più moderno, come dimostrano le versioni di Killing me softly e Overjoyed, portate rispettivamente al successo da Roberta Flack e da Stevie Wonder.

Il confronto con le canzoni costringe l’interprete ad un lavoro importante: trovare un nuovo contesto al brano e utilizzare l’approccio allo strumento, senza scadere in un mainstream di maniera e, soprattutto, rispettando il senso della canzone e facendola propria con una forte e convinta “honesty of expression”, per riprendere la definizione di alcuni giovani jazzisti americani.

Ogni canzone è stata curata prestando attenzione ai dettagli, alle possibilità timbriche del pianoforte e agli slanci della voce, cercando di mettere in evidenza il senso di ogni tema, l’interplay tra i due musicisti.

Durante la lavorazione, si è creata una miscela equilibrata e unica fatta di intimità casalinga e concentrazione dello studio, il suono di uno splendido Steinway e alcune soluzioni sperimentate in fase di pre-produzione si sono fuse con la possibilità di limare ogni particolare con un ritorno quotidiano e continuo sui singoli elementi.

Il pianista può godere di molta libertà in un simile ambiente sonoro: può avventurarsi in percorsi armonici più arditi e può provare a “impersonificare” le linee del contrabbasso, può sottolineare le differenze di registro e trovare risposte differenti per dare varietà alla musica. Stesso discorso vale per la voce: effetti timbrici e ritmici si combinano in un tessuto che deve trovare consistenza in sé e rispondere agli spunti lanciati dal pianoforte. Come sempre quello che chiamiamo jazz, in realtà, non è facile libertà, ma un percorso rigoroso che si mette continuamente in discussione in tutta la durata di ogni performance e anche nella preparazione e nello studio. E proprio questa è la sfida più grande per un jazzista: aver lavorato, aver preventivato, ma alla fine accettare ogni versione per quella che è, lasciando ad ogni esecuzione la sua particolare anima.

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Redazione L'Opinionista

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