“È il tempo così poco serio” la personale di Monica Pirone a Roma

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Il Museo Mastroianni di Marino presenta dal 14 al 30 Aprile 2022 “È il tempo così poco serio” la personale di Monica Pirone

ROMA – La personale di Monica Pirone al Museo Mastroianni di Marino presenta al pubblico la vasta produzione concepita negli ultimi due anni, a partire dal primo periodo di lockdown in cui l’artista si è cimentata per la prima volta con opere di piccolo formato: “È il tempo così poco serio”. 

In questa nuova produzione, il pensiero errabondo trova sfogo in un caos organizzato di
geometrie, fatte da giustapposizioni e sovrapposizioni che organizzano lo spazio lungo direttrici precise, linee di pensiero, tracciati attorno a cui si struttura la dinamica del flusso di coscienza. Monica Pirone, seduta per lunghe ore al tavolo del suo studio, si tuffa nell’abisso del tempo, si smarrisce per ritrovare una chiave, dissotterra e sviscera vissuti, propri e di altre persone. Si prepara a un viaggio non predeterminato, che non attua rimozioni; non ha paura di inciampare nell’incertezza, ma affonda nel territorio del profondo dove recuperare affioramenti che diventano materiali di lavoro.

L’anarchia rimane fuori. All’interno di ogni opera c’è elaborazione e ricomposizione. Da sempre ossessionata dal riportare in vita le memorie degli altri, l’artista si cimenta in un’operazione, mai didascalica, che riscatta storie e identità a rischio di cancellazione non tanto per l’inesorabile scorrere del tempo quanto per la colpevole sciatta disattenzione dei propri simili. In un equilibrio funambolico tra ciò che resta e ciò che si perde, Monica Pirone attinge a materiali di ogni genere accumulati ossessivamente negli anni, di cui alcuni sono stati intenzionalmente ricercati mentre altri sono frutto di ritrovamenti fortuiti e hanno sollecitato, nell’artista, un lavoro investigativo, alla ricerca di indizi sulle vite dimenticate.

L’artista si fa dunque alchimista e mescola frammenti di libri antichi, di lettere, di vecchi biglietti del treno e fotografie dei primi del Novecento, spesso appartenuti a persone sconosciute, per ricucire insieme memorie “modeste”, nella cui astrazione ogni osservatore può riconoscere una parte di se stesso. Con la delicatezza della cura, si fa tessitrice di sussurri e grida, di malinconie e turbamenti, di afflizioni sottaciute e piccole gesta eroiche di un quotidiano soprattutto femminile. Le lacerazioni della carta troncano figure umane, oggetti e frasi, allo stesso modo in cui, nel fluire illogico della mente, ogni pensiero è incompleto e interrotto, e trasborda in quello successivo. Con questi presupposti, la tecnica del collage compare fin dalla prima serie ABC Alphabet (2020), dove il ricorso all’alfabeto è un invito a fare tabula rasa e a ricominciare ad imparare, come fanno i bambini, dapprima con le stanghette, poi con le lettere: «Se non si possiede un alfabeto della comprensione, dello spirito, del rispetto, si è analfabeti emotivi… Ho attinto ai vecchi sussidiari, ai libri di scuola e di favole, proprio per ripartire dalle basi».

A far da sfondo alle tele e alle tavolette, è spesso un cielo uniformante entro cui si stagliano le figure, quasi miniaturistiche, che sembrano comporre uno storyboard pronto ad animarsi in una sequenza di pellicola o in un carillon che hanno il sapore di un sogno vivido e di un oracolo.

a cura di Claudia Pecoraro, curatrice