E aggiunge: “Fa orrore solo pensare a cosa Umberto abbia dovuto soffrire per la sua (per anni mai dichiarata) omosessualità. Quando la “rivelò” ormai era troppo tardi perché gli venisse “restituito” tutto quello che gli era stato così schifosamente sottratto. Il suo calvario non è stato inferiore a quello di Mia Martini che ci salutò proprio in questo stesso giorno 27 anni fa e che, almeno, ebbe la gioia di rialzare la testa dopo il male che le era stato fatto”.
Di Umberto Bindi, conclude Bartoletti, “ci restano tantissimi capolavori, da “Arrivederci” a “Il nostro concerto”, da “La musica è finita” a “Non mi dire chi sei” che fu la sua dannazione. “Inseguo sogni fantastici/perdendomi fra le nuvole/perché tu, amore impossibile/ora sei vero, sei vivo, nella realtà”. Non gli perdonarono mai quell’aggettivo al maschile: lo bollarono, lo emarginarono. E lui cominciò a morire dentro”.
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