Biscotti della fortuna: storia e origini della tradizione cinese

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biscotti della fortuna

Qualche anno fa mi sono affacciata sulla porta del retrobottega di una piccola panetteria cinese dove facevano i biscotti della fortuna

La macchina, che occupa va buona parte di quello spazio male illuminato, era una meraviglia stile Rube Goldberg/Terry Gilliam ricoperta dalla patina del tempo. Piccoli dischi di metallo scendevano a ondate come le gambe di una fila di ballerine. Un secchio appeso in alto alimentava un contenitore con un beccuccio di rame che lasciava cadere una quantità precisa di pasta sui dischetti, ognuno dei quali era riscaldato da una fiammella azzurra.

Dopo aver percorso una lenta ellissi, i tondini cotti venivano presi, uno a uno, da una vecchia cinese con i capelli a caschetto, che ci posava sopra un foglietto di carta color pastello, poi piegava la sfoglia ancora morbida – prima a metà e poi in quattro – e la deponeva, come un uovo prezioso, su un vassoio coperto di fessure ovali.

Quattro minuti dall’inizio alla fine

Tutto questo avveniva sotto l’occhio vigile di un supervisore che, in pantofole e cardigan, si muoveva silenziosamente in quello spazio ristretto con un sigaro tra i denti. L’unico rumore che si sentiva era il leggero ronzio della macchina.

“In una grande fabbrica moderna, le vecchie macchine vengono rottamate appena esce un nuovo brevetto”, scriveva Otis T. Mason nel suo libro del 1895 L’origine delle invenzioni. “Interi capitoli della storia dell’ingegno umano sono stati cancellati all’arrivo di una cultura nuova e più avanzata”.

Per le macchine dei biscotti della fortuna non è andata così

Sono come la sempre affidabile macchina da cucire Singer di mia nonna, che risale a un’epoca precedente al credo dell’obsolescenza programmata” di Alfred Sloan: costruite per durare. Tutte le macchine di questo tipo in uso nella zona della baia di San Francisco, dove sono nate sia loro sia i biscotti, hanno dai 50 ai 67 anni. Pensateci bene. Sfornavano già dolcetti quando fu eletto presidente Eisenhower e fu introdotto il vaccino per la polio di Salk; rimanevano in funzione per ore prima ancora dell’avvento della televisione nazionale, dei Beatles e del primo uomo nello spazio.

In realtà i biscotti della fortuna non sono cinesi

I giapponesi preparavano i loro omikuji senbei, biscotti della fortuna scritti, su griglie di ferro riscaldate a carbone già nell’ottocento. Intorno alla fine del secolo Makoto Hagiwara, un progettista di paesaggi che contribuì alla creazione del Japanese tea garden del parco del Golden gate a San Francisco, ebbe l’idea di offrirli ai turisti, sostituendo l’aroma originario alla soia e sesamo con uno meno esotico alla vaniglia. Facciamo un salto di quarant’anni e arriviamo all’attacco di Pearl Harbor, quando il governo degli Stati Uniti decise di rinchiudere 120mila americani di origine giapponese in “campi di internamento” .

In quel periodo, diverse intraprendenti famiglie cinesi della zona della baia cominciarono a produrre i biscotti per i ristoranti locali, dove diventarono popolarissimi. Alla fine della seconda guerra mondiale, molti militari statunitensi tornarono a casa dal fronte del Pacifico passando per la California. Più o meno nello stesso periodo, un ingegnere meccanico di Oakland di nome Shuck Yee inventò la macchina semiautomatica delle panetterie di oggi, trasformando quello che era una specie di lusso (fatto a mano) in un prodotto economico. Nel giro di una decina di anni, i biscotti erano in tutti i ristoranti cinesi del paese e Adlai Stevenson li distribuiva durante la sua campagna presidenziale.

Sperando di scoprire qualcosa di più, sono tornata dove avevo visto la macchina per la prima volta. Il sito della panetteria parla di visite guidate, ma il proprietario, David, non mi ha detto molto (anche se stavo prendendo appunti su un pezzo di carta e gli avevo assicurato che non lavoravo per il dipartimento della sanità, non c’è stato niente da fare; chissà, mi sono chiesta, sarà ancora il vecchio padrone in pantofole e con il sigaro in bocca?). No, non aveva idea di quanti biscotti producessero al giorno, e no, non potevo prendere un appuntamento per vedere la meravigliosa macchina in azione. Ha solo ammesso che i biglietti erano stati “dati in appalto” a un tipografo e che la sua famiglia era proprietaria del laboratorio dal 1950. Sono uscita con un grosso sacchetto pieno di biscotti, che ho aperto subito.

“Avrai più fortuna se investi in immobili piuttosto che in borsa”. “Nei prossimi giorni prenditi un po’ di tempo per rilassarti, ne hai bisogno”. “Resta con i piedi per terra, anche se i tuoi amici ti adulano”.

Ma dai! Gli ultimi due non sono neanche della fortuna! Che ne è stato di perle come: “Andrai a una festa in cui succederanno cose strane”, che una volta mi è capitato di trovare per ben quattro volte di seguito e che ho doverosamente attaccato al frigorifero? (Sembra che un classico come “Incontrerai uno sconosciuto alto e bruno” sia stato tolto dalla circolazione perché qualcuno si lamentava che suonava minaccioso).

Il lato positivo di questi consigli più banali è che ogni biglietto porta sul retro una serie di numeri della lotteria stampati con un inchiostro rosso di buon auspicio e, per quanto possa sembrare impossibile, nel marzo del 2005 ben 110 persone hanno vinto un jackpot di 13,8 milioni di dollari dopo aver copiato i numeri dai biscotti della fortuna prodotti dalla Wonton Food di Brooklyn, la più grande fornitrice del mondo (nel 2017, il proprietario dell’azienda Donald Lau è inito su tutti i giornali perché si era dimesso dal posto di “autore” dei biglietti a causa di un irreversibile blocco dello scrittore). Le probabilità che 110 persone giochino gli stessi numeri vincenti alla lotteria sono una su tre milioni, quelle di essere colpiti da un fulmine una su 750mila.

La visita a una seconda panetteria della zona si è rivelata altrettanto inutile, anche se ho trovato un’altra vecchia signora con i capelli a caschetto seduta su uno sgabello che prelevava i dischetti a mano e li piegava, gettando ogni tanto in un barile quelli venuti male. L’unica differenza che ho notato rispetto alla prima macchina è stata che le fiammelle singole erano state sostituite da una specie di tunnel in cui i dischetti di metallo ruotavano lentamente. È stato sempre lì che ho trovato la famosa versione per adulti dei bigliettini, in cui ogni frase è preceduta da “Fu Ling Yu dice”. Niente numeri della lotteria, ma un po’ di umorismo: “Sapersi vendere fa la differenza tra lo stupro e l’estasi”; “L’inseminazione artificiale è un atto sessuale senza partecipazione”; “Una cattiva ragazza è quella che si procura la pelliccia di visone come fanno i visoni”.

La fortuna ha voluto che incontrassi Jasen Lo, un ragazzo simpatico che frequenta la Minerva school, un istituto nato di recente che offre un programma interdisciplinare grazie al quale un gruppo di studenti selezionati di varie nazionalità può vivere per sei mesi in sette diverse città del mondo e continuare a studiare seguendo lezioni in video. Jasen parla perfettamente inglese, cantonese e mandarino. “Le nonnine cinesi mi adorano”, dice. Insieme, abbiamo architettato un piano tra il giornalistico e il teatrale.

La storia che abbiamo inventato è che sua madre, che vive a Hong Kong, è affascinata dall’idea dei biscotti della fortuna, che in Cina non esistono. Oppure che Jasen è un giornalista del South China Morning Post.

Così abbiamo scoperto che il mondo dei biscotti della fortuna è un po’ come tutte le imprese che si trasmettono di generazione in generazione. Di solito i nonni insistono perché i nipoti prendano il loro posto, ma a loro non interessa. Un tempo Chinatown vantava dieci panetterie, adesso ce ne sono due. David sostiene che la sua è sopravvissuta grazie a una pasta migliore e a una macchinetta per verificare se i biglietti da cento dollari sono veri o falsi (l’unica nuova tecnologia introdotta nel negozio). I proprietari dei due forni sopravvissuti non si conoscono ma si considerano rivali. David accusa il suo concorrente di avergli rubato l’idea di fare biscotti più grandi, che si vendono da soli in scatole regalo, sostenendo che era venuta prima a lui.

Il rivale, molto più intraprendente e fantasioso, lavora in uno stretto vicolo che risale più o meno al 1870, e un tempo era famoso per il gioco e la prostituzione. All’interno del laboratorio, un grande murale si affaccia su un assortimento di divinità cinesi in ceramica e galli dorati appollaiati precariamente su tre macchine. La famiglia, emigrata dal Guangdong nel 1962, ha avviato quell’attività perché “non c’era altro modo di fare soldi”. Offre una grande varietà di prodotti: dai biscotti a gusti come sesamo, tè verde, cioccolato, cocco, limone e arancia a quelli rivestiti di glassa e zuccherini colorati. Più la versione per adulti. Pagando un supplemento, è possibile inserire anche messaggi personalizzati (trenta caratteri a riga).

Anche se si possono trovare in posti lontani come la Francia, il Regno Unito e l’Italia, la maggior parte di questi biscotti, circa tre miliardi all’anno, viene consumata negli Stati Uniti. Le macchine della Chinatown di San Francisco ne producono diverse migliaia al giorno. La Wonton Food di Brooklyn, con le sue enormi, luccicanti macchine di ultima generazione, ne sforna quattro milioni al giorno: messi in ila farebbero più di mezzo giro del pianeta.

Adam, il figlio di un produttore di Oakland che lavora nel settore da trent’anni, ha parlato direttamente con me. Anche su di lui la famiglia sta facendo pressione, e anche lui non ha intenzione di portare avanti l’attività. Le vecchie macchine sono relativamente lente, mi ha spiegato, ma non si rompono mai, quindi non c’è nessun incentivo a comprarne di nuove. “E quando si rompono?”. “Chiamiamo un tecnico e gli chiediamo di rifare il pezzo danneggiato”.

Ormai i biscotti della fortuna esistono da quasi settant’anni. “Pensa che avranno sempre un mercato?”, gli chiedo.

“E chi lo sa”, mi risponde. “Tutto può succedere”.

“Questo”, osserva il mio nuovo amico Jasen, “è molto cinese”.

A cura di Anna Capuano