ROMA – Se nel mentre di una ricerca ci imbattessimo per pura casualità o recondito e nostalgico istinto di rispolvero di avi echi culturali nello “Zang Tump Tump”, la celebre opera di poesia di Tommaso Marinetti edita nel 1914 a Milano per Edizioni futuriste di Poesia, ne resteremmo in un certo modo sicuramente colpiti.
Siamo nel XXI secolo, un’epoca di avanguardie che di gran lunga possono alzarsi a confronto delle inneggianti espressioni del movimento artistico italiano futurista eppure qualcosa lascia sgomento e rimanda ad una odierna vicissitudine che velatamente ripropone somiglianze.
Pervade un senso di velocità aggressiva e trasgressiva di cui ai punti uno e due del “Manifesto del Futurismo pubblicato su Le Figaro nel febbraio 1909 se ne denota una chiara testimonianza: 1 “Noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità”, 2 Il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia”. Interessante è leggere, in parallelismo all’attuale percezione che l’essere umano possiede di sé stesso nell’era della tecnologia occlusiva ed interattiva di qualsivoglia legame e momento, il punto 8: “Noi siamo sul promontorio estremo dei secoli!…Perché dovremmo guardarci alle spalle, se vogliamo sfondare le misteriose porte dell’impossibile? Il Tempo e lo Spazio morirono ieri. Noi viviamo già nell’assoluto, poiché abbiamo già creata l’eterna velocità onnipresente”.
Vi sono due indicazioni atemporali e aspaziali, “assoluto ed eterna velocità onnipresente” che intenzionalmente pongono l’accento su una dimensione che rifugge da un presente o da un passato ma volge l’uomo su un piano scisso dalla materiale condizione sottoposta inesorabilmente ad un fluire inarrestabile di giorni e luoghi. Il qui e dove che circoscrive ogni concretezza terrestre esula completamente dalla visione marinettiana profondamente anticlericale e pregna di un dinamismo anarchico e antitradizionale che sarà la linea essenziale del movimento futurista da cui prenderà inizio una nuova e rivoluzionaria stagione culturale rappresentando l’antecedente storico di tutta l’arte a venire ed anche di un nuovo modo di intendere la vita veloce e disinvolto. E su questa consecutio cronologica che conduce all’oggi il rapporto con un uomo che si sovrappone alla reale contingenza con sistemi informatici sempre più potenti potrebbe sollevare alcuni pensieri sulla bontà o pericolosità che questo nuovo vivere possa arrecare.
“Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d’ogni specie, e combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica e utilitaria” al punto dieci del Manifesto del Futurismo esprime con chiarezza quanto la pacatezza composta, il galateo morale, l’intellettuale che canta la bellezza della natura e la poesia dell’amore siano combattuti come nocivi e perfidi di un progresso da celebrare ne “l’insonnia febbrile, il passo di corsa, il salto mortale, lo schiaffo ed il pugno” punto 2 e nella “bellezza della velocità” di cui al punto 3.
Una velocità, quella di “un’automobile ruggente” al punto 4 che oggi è stata tramutata in smartphone, tablet, social nonché auto ancora più ruggenti. L’uomo è diventato effettivamente velocissimo e potentissimo come declamava in una realtà virtuale senza confini di tempo e spazio e la sola clausola che possa benedire questo divenire avanguardistico è la consapevole e cosciente gestione che quanto ha arrecato e prodotto sia sempre contestualizzato nel riferimento di una vita destinata a morte certa.
Monica Baldini