Il migrante ha diritto alla protezione sussidiaria se nel Paese d’origine il carcere è disumano

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A stabilire questi importanti principi, rileva Giovanni D’Agata, presidente dello “Sportello dei Diritti”, è la sesta sezione civile della Corte di cassazione che, con l’ordinanza n. 21610 del 4 settembre 2018, ha accolto il ricorso di un immigrato originario della Guinea.

Nel ricordare che il beneficio può essere concesso solo nei casi di rischio di grave danno per lo straniero, la Suprema Corte ha, fra l’altro, ricordato che il diritto alla protezione sussidiaria non può essere escluso dalla circostanza che a provocare tale danno grave per il cittadino straniero siano soggetti privati qualora nel Paese d’origine non vi sia un’autorità statale in grado di fornirgli adeguata ed effettiva tutela, con conseguente dovere del giudice di effettuare una verifica officiosa sull’attuale situazione di quel Paese e, quindi, sull’eventuale inutilità di una richiesta di protezione alle autorità locali. Inoltre, ricordano gli ermellini:

«In tema di protezione internazionale e umanitaria, la valutazione di credibilità delle dichiarazioni del richiedente non debba essere affidata alla mera opinione del giudice ma costituisca il risultato di una procedimentalizzazione legale della decisione, da   compiersi   non   sulla   base   della   mera mancanza   di   riscontri oggettivi, ma alla stregua dei criteri indicati nell’art. 3, comma 5, del d.lgs. n. 251 del 2007 e, inoltre, tenendo conto «della situazione individuale e della circostanze personali del richiedente» (di cui all’art.  5. comma 3, lett.  c), del d.lgs. cit.), con riguardo alla sua condizione sociale e all’ età, non potendo darsi rilievo a mere discordanze o contraddizioni su aspetti secondari o isolati quando si ritiene sussistente l’accadimento».