“La trilogia dei dintorni”, le raccolte poetiche di Nazario Pardini

81

trilogia dintorniLa ‘trilogia’ in questione è costituita dalle raccolte poetiche: I dintorni della solitudine (2019, prefazione di Michele Miano), I dintorni dell’amore ricordando Catullo (2019, prefazione di Rossella Cerniglia), I dintorni della vita. Conversazione con Thanatos (2019, prefazione di Floriano Romboli). È letterariamente corretto considerare questi testi una ‘trilogia’, in quanto posseggono nell’insieme tutte quelle caratteristiche essenziali per individuarvi una sicura unità artistica, sia dal punto vista filologico e quindi stilistico, che da quello tematico-contenutistico, ovvero esiste tra loro una continuità estetica e poetica tale da poterle unire formalmente – volendo – in un solo volume, suddiviso in tre parti. Ciò si può affermare poiché l’analisi critica, nell’impatto con la scrittura, ha rilevato in essa la presenza di una totalità dell’uomo e del poeta senza riserve: in altre parole siamo di fronte ad un autore che mette a nudo il suo pensiero, l’essere più profondo e l’anima cristallina fino al punto da poter definire l’impegno nella realizzazione di questa ‘trilogia’, come un vero e proprio ‘testamento spirituale’ da consegnare ai posteri, che stanno affrontando o intraprenderanno il viaggio dell’umana avventura. Al centro mi pare proprio vi sia la riflessione sulla condizione umana – che non diventa mai chiusa ideologia – con tutte le sue bellezze, contraddizioni, domande di senso e significato, insaziabile interrogarsi sul destino. Pardini mette in gioco tutto qui: esperienza, cultura, sentimento, ragione, sensibilità, intuizione. Non si accontenta delle risposte più scontate, ma scava, scava come un archeologo innamorato delle civiltà antiche; scende negli abissi dell’io personale e collettivo come uno speleologo alla scoperta delle viscere della terra; vuole raggiungere vette luminose come un alpinista ardito che cerca l’infinito (…).
Enzo Concardi, dalla prefazione alla trilogia

* * *

Nazario Pardini ha al suo attivo molte raccolte di poesia. È un personaggio, noto, da decenni nel campo della scrittura. Sulla sua produzione hanno scritto i più qualificati critici letterari. Alla sua poesia sono state applicate varie chiavi interpretative, dalla motivazione esistenzialistica a quella psicanalitica alla religiosa a quella naturalistica. Ad essa egli perviene in maniera quasi inconscia, o meglio, sulla scorta di un cammino empirico, di sofferenze vissute e ben radicate nel quotidiano.
Il suo pensiero non conosce la freddezza dell’astrazione filosofica. È piuttosto un’analisi che scandaglia gli abissi della coscienza, una sorta di speleologia dell’anima che procede per constatazioni. Un narrare per sottrazione, incarnato in una lingua nuda e spinosa, che mira allo svuotamento e alla esasperazione delle forme implicite nella realtà. Un’essenzialità ascetica anima il lessico di Nazario Pardini, quasi retaggio atavico della sua terra di Toscana come nella lirica La solitudine del mare: «Sono solo e l’inverno mi percuote / coi suoi venti freddi e burrascosi» o nella lirica E venne sera: «La luce crepitante dell’estate / invadeva la piana, delle reste / il giallo profumato d’erba stanca». O nella lirica Vis à vis con la sorte: «Sono troppi i ricordi. / D’altro lato / non è che il vento li possa disperdere / come fossero foglie». Irrompono gioiose esplosioni di eventi naturali… «Erano vive le stagioni / dei biondi girasoli» (È arrivato l’autunno), così la sua poesia è percorsa da accecanti apparizioni che squarciano la monocromia dell’angoscia in violenti chiaroscuri. È lo spazio per così dire lirico di un percorso intellettuale non circoscrivibile in un orizzonte destrutturante «Verranno giorni neri e dovrai scendere / dal limbo in cui accedesti / per riposare i sogni; la tua isola / sarà deserta senza gli abbandoni / che ti resero uccello migratore» (Verranno giorni neri). Sarebbe fuorviante definire Pardini mistico dell’essenza, perché si verrebbe inevitabilmente ad intaccare quella razionalità di pensiero e quella misura che caratterizzano il suo fare poesia. Eppure non gli sfugge il senso della sproporzione essenziale dell’uomo, la macerazione spirituale che deriva dalla consapevolezza di essere un frammento sospeso nel vuoto del tempo ma anche di rappresentare qualcosa di unico grazie al pensiero. La natura così ritorna e riecheggia spesso sovrana e con lei i vecchi sopravvissuti di un tempo non alienato e non urbanizzato in cui «La luce crepitante dell’estate / invadeva la piana, delle reste / il giallo profumato d’erba stanca. / Sortivano i rumori dalle scaglie / di sterpaglie corrose» (Venne sera).
Michele Miano, dalla prefazione a I dintorni della solitudine

* * *

I dintorni dell’amore ricordando Catullo, la più recente opera poetica di Nazario Pardini, proposta nella memoria del grande poeta latino, è anch’essa divisa, come la precedente, I dintorni della solitudine, in tre sezioni; è inoltre preceduta da una Lettera ad un’amica mai conosciuta, testo che ne richiama subito alla memoria un altro, che immagino vicino al sentire e alle intenzioni del nostro autore. Si tratta della poesia di Luis Cernuda, dal titolo A un poeta futuro dove troviamo gli stessi interrogativi, le stesse incognite, lo stesso bisogno di colmare il vuoto e la solitudine interiore e di trovare un senso alla propria vita che rintracciamo nel testo di Nazario Pardini. Vi compare anche l’immagine di uno stesso fiume che porta in Uno vicende ed esperienze umane – metafora dell’esistente da cui precisamente prende l’avvio il testo in prosa del nostro autore. Ma, al di là di questo, un unanime respiro connette le due scritture: un tono epistolare intimo e confidente che, con movenze accattivanti ed emblematiche, si innesta in una concezione dell’amore fortemente idealizzata, a testimonianza e suggello di una visione poetica e di un credo artistico che rimane a fondamento della loro opera.
Il testo di Pardini si apre, come già detto, con una lettera che prende l’avvio dall’immagine di un fiume che trascina, insieme alle sue acque chiare, tutto ciò che incontra sul cammino, fino al mare infinito. Ed è, per l’appunto, una metafora della vita: il fiume che porta nell’immensità del mare, ovvero nella totalità dell’Essere, bene e male insieme a tutte le contraddizioni e le antinomie che connotano il contingente: il nostro essere, e quella realtà limitata, parcellare, conclusa che sembra fronteggiarci, ma che ci costituisce nel nostro essere più proprio, essendo una con noi. Il poeta, che si interroga intorno a questo “fiume”, si interroga sul senso dell’esistere, e in altri termini si chiede dove andiamo, a cosa siamo destinati, e che senso abbia la vita umana in quanto costruzione di qualcosa a cui – nel bene o nel male – siamo chiamati.
Quando “foscolianamente” ci induciamo a pensare nei termini di una nostra eternità laica, dicendo che ci eterniamo nella memoria dei posteri, credo che intendiamo dire anche questo: tutte le esperienze e conoscenze dell’uomo sono fiumi, rivi, torrenti, che confluiscono nel grande, sconfinato mare della conoscenza che è nuova creazione e nuova vita. Un mare, dunque, che mescola la ricchezza e multiformità delle tante acque che affluiscono in lui, riportandole ad Unità. Riportando il multiforme e difforme ad Unità, cioè a nuova realtà e a nuova vita. Pertanto, l’uomo è parte integrante di un processo che estende l’opera divina, anche in forza del suo “libero arbitrio” – che non è assoluto, ma condizionato, anzi spesso pesantemente condizionato – ma è comunque quella facoltà di scelta che mette in moto il divenire, e che contraddistingue il suo pensare e il suo agire (…).
Rossella Cerniglia, dalla prefazione a I dintorni dell’amore

* * *

Anche il lettore frettoloso è in grado di constatare la centralità del tema della natura nell’opera poetica di Nazario Pardini, ormai davvero ricca di testi. Le raccolte più recenti confermano, all’interno di una ricerca artistico-letteraria contraddistinta da forti elementi di continuità ideale e formale-stilistica, tale rilievo primario, non certo limitabile alla semplice frequenza quantitativa bensì qualitativamente prezioso nella sua dimensione privilegiata di espressione oggettivata degli stati interiori, àmbito della manifestazione concreta e coinvolgente delle differenti situazioni etico-sentimentali, nonché momento dell’esplicitazione commossa e meditata di una coerente concezione della realtà. Questa nel discorso lirico pardiniano appare, fin dagli esordî, percorsa da un’intima dinamica energetica, da un élan espansivo, teso a prorompere e dilagare, insofferente di argini, ostacoli, limiti di sorta. Tale idea si obiettiva, ad esempio, nella potente rappresentazione della piena di un fiume: «Piove a dirotto stamani, ed il Serchio / gonfia il suo letto; è già nelle golene, / tra gli alberi che invocano l’aiuto / frusciando malinconici richiami / col loro ciuffo sopra alla corrente; / niente risparmia l’acqua inferocita, / tutto porta con sé, alla deriva. / Qui dall’argine l’occhio si spaventa / a mirare la potenza che sprigiona: / le barche sradicate dai pontili / corrono in grembo al grosso defluire, / e ciottoli, tronchi, tavole, e ferraglie / si rincorrono in gara verso il mare…» (La piena del Serchio da I dintorni della solitudine, 2019). Dinanzi al moto imperioso della vitalità naturale il primo atteggiamento dell’autore consiste nell’abbandono positivo, in un acuto desiderio di immedesimazione, in un bisogno di fusione panica e disindividualizzante: «… Odori di salmastro e d’acqua smossa, / di erbe trascinate contro voglia, / mi invadono narici. E mi confondo / con tutto quel fracasso naturale: / divento un ramoscello in mezzo al mare» (ivi, corsivi miei, come in seguito). Ho citato da I dintorni della solitudine (2019), la silloge che avvia un percorso ideativo proseguito con I dintorni dell’amore ricordando Catullo e I dintorni della vita, libri pubblicati in questo stesso anno, a comporre un’interessante trilogia.
Nella prima raccolta emerge altresì il ripiegamento riflessivo, il distanziamento meditativo, magari coadiuvati dal recupero memoriale, dalla riappropriazione intellettuale delle esperienze del vivere, potenziate così nella loro rilevanza morale e affettiva: «Ed il ricordo / l’ho in saccoccia cogli altri. A questo punto / penso proprio di tenerli vicino / ad un cammino ormai giunto alla fine (…) Ogni tanto / me ne riprendo uno come quando / si gioca con i petali sui prati. / È come ripescare un angolino / della vita. È come riviverla / col supporto fecondo dei ricordi. / Allungarla? Chissà…» (Vis à vis con la sorte da I dintorni della solitudine). È questo l’altro tratto caratteristico dell’elaborazione estetica di Pardini, coessenziale nell’ordine strutturale-compositivo del suo lavoro d’arte, come in varie occasioni mi è occorso di sottolineare: tale disposizione mentale implica l’aspirazione a un punto di vista personale, all’acquisizione di un abito critico che, concentrando l’attenzione sui “dintorni” di determinate, capitali situazioni spirituali, ne focalizza gli aspetti problematici, ne sonda la profondità sentimentale e intellettuale (…).
Floriano Romboli, dalla prefazione a I dintorni della vita

Nazario Pardini, Cofanetto trilogia “I dintorni”, pref. Enzo Concardi, Guido Miano Editore, Milano 2021, 36€ cad., isbn 978-88-31497-54-1, mianoposta@gmail.com.