Esce il libro “Psicoanalisti in lockdown”: intervista ad Adelia Lucattini

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ROMA – Essere psicoanalisti ai tempi del covid-19: cosa ha significato per loro essere in prima linea durante la pandemia di Cov-Sars2? Come hanno saputo fronteggiarla a fronte di tante richieste di aiuto da parte dei pazienti? Quali le più significative? Quali sono state le precauzioni necessarie in un’ottica protettiva per gli stessi psicoanalisti e i pazienti? Cosa è cambiato e cosa cambierà ancora nella nostra società, dovendo fare i conti con questa nuova realtà? Tutto questo lo abbiamo chiesto alla Dott.ssa Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista della Società Psicoanalitica Italiana e dell’International Psycoanalitical Association in seguito all’uscita del nuovo libro: “Psicoanalisti in lockdown” (Solfanelli Editore), a cura di Monica Horovitz e Adelia Lucattini. Abbiamo intervistato quest’ultima.

Come è nata l’idea di questo libro?

Questo libro nasce per iniziativa della psicoanalista  Monica Horvitz e mia. Raccoglie le testimonianze di un gruppo di quattordici psicoanalisti di paesi diversi, Francia, Italia, Argentina e Libano, sulla loro attività professionale durante il lockdwn mondiale del marzo 2020 dovuto alla pandemia. da Covid-19. Si tratta di riflessioni stimolate da Monica Horowitz nel suo seminario “Letture di Bion” che tiene alla Societé Psychanalytique de Paris (SPP) e che si è sempre tenuto in presenza ma che, a causa della pandemia ha iniziato a tenersi on-line. Dal momento, che la situazione era del tutto eccezionale, Monica Horvitz ha pensato che anche il gruppo avrebbe potuto lavorare in modo diverso e che non fosse possibile ignorare ciò che tutto il mondo stava vivendo. Quindi, nella piena convinzione che i seminari potessero essere aperti anche ad altri psicoanalisti, ha invitato a partecipare Janine Puget che si è collegata da Buenos Aires e altri psicoanalisti che in quel momento si trovavano nei loro paesi di origine.

Come è cambiato l’approccio al paziente durante il lockdown?

Improvvisamente ci siamo trovati a dover prendere una decisione: se sospendere le terapie, le analisi in corso con i nostri pazienti o se proporre loro di proseguire durante il lockdown in modalità on-line per coloro che lo avessero desiderato. Anche l’International Psychoanalytical Association ha autorizzato in tempi rapidissimi la prosecuzione delle analisi da remoto, quindi ho proposto ai miei pazienti che lo desideravano di non interrompere in questo periodo così difficile e di continuarle da remoto. Alcuni hanno accettato, altri hanno atteso di riprendere in presenza. Certamente, è stato un grande cambiamento anche se, come medico, conoscevo questo metodo per la pratica fatta con la telemedicina. Sicuramente la psicoanalisi è diversa, ma è possibile fare trattamenti efficaci, poiché quello il fulcro è la relazione col paziente.

I pazienti hanno risentito della mancanza di contatto con l’analista?

Tutti abbiamo risentito della mancanza dell’essere fisicamente nello studio, certamente come analista, mi è mancato non vedere i miei pazienti di persona, e anche loro hanno parlato di questa nuova situazione e di quando sarebbe stato di nuovo possibile incontrarci di persona. Questo è inevitabile, le relazioni hanno anche una componente sensoriale. Anche nella vita di tutti i giorni, diamo per scontato che parliamo, abbiamo rapporti affettivi, ci relazioniamo agli altri per scontato il fatto di essere lì fisicamente.  Durante l’analisi non solo, si ascolta l’altro, ma lo si osserva, lo si sente respirare, lo si vede collocato nello spazio. In presenza siamo abituati ad accogliere il paziente, dalla gestualità del sedersi nella poltrona o anche al suo distendersi sul lettino. Certamente il cambiamento c’è stato e lo abbiamo avvertito tutti. Alcuni pazienti ne hanno risentito più di altri, tanto da non riuscire a proseguire le terapie on-line e ad attendere di poter riprendere in presenza. Quello che abbiamo notato è che dopo l’estate del 2020 che ha permesso anche di riaprire i nostri studi e di rincontrarci poiché i contagi erano diminuiti, quando con l’autunno sono iniziate le chiusure, i pazienti hanno avuto meno difficoltà a riprendere da remoto e ritengo anche noi psicoanalisti. Da un lato, eravamo già abituati ad utilizzare i dispositivi elettronici, dall’altro, i pazienti si sono resi conto che il setting, la privacy, il lavoro di analisi erano possibili ed efficaci.

Sono insorte nuove malattie?

Sì, abbiamo riscontrato un aumento dei Disturbi Post Traumatici da Stress con ansia, insonnia, fobie, paura del contagio. Durante il lockdown era molto forte la paura del virus ma il confinamento faceva sentire protetti, dopo invece c’è stata un’esplosione di crisi ansioso-depressive. Questo naturalmente, lo abbiamo attribuito non solo alla riapertura ma anche a quanto vissuto durante il lockdown, poiché è stata una situazione di emergenza in cui tutti si sono adattati e che hanno affrontato dando fondo a tutte le proprie energie e le risorse mentali per riuscire a vivere una situazione così inconsueta. I bambini ne hanno risentito di meno, poiché erano contenti di stare con i propri genitori. Invece, ne hanno risentito di più gli anziani che non hanno potuto incontrare i loro familiari e le donne che hanno avuto un carico enorme in famiglia: l’assenza della scuola per i propri figli, la convivenza forzata, lo smart-working. Tuttavia, come sappiamo, nell’emergenza, le persone si adattano. Quello che succede dopo, è legato alla difficoltà ad entrare in una modalità psicologica di “cessato pericolo”, dall’altro le angosce e le paure messe da parte, sono venute fuori in modo torrenziale e inaspettato.

Come professionisti avevamo previsto un aumento dei casi, poiché il lockdown aveva coinvolto milioni di persone, ma ciò che ci ha colpito maggiormente è stata l’intensità ovvero la gravità dei sintomi e la loro persistenza nel tempo.  Credo che non fosse prevedibile, poiché il lockdown mondiale è stata una situazione che non si era mai verificata.

In questa situazione, l’analista ha avuto debolezze o sfiducia, tanto da esserne condizionato per il trattamento da seguire?

Escluderei la sfiducia, poiché chi non si trova a proprio agio nel trattamento da remoto semplicemente non lo fa o non lo ha fatto, e appena ha potuto ha ripreso allo studio, attrezzandosi in termini di spazio, ventilazione della stanza, mascherine, distanze, barriere di plexiglass e tutto quanto è richiesto per esercitare la professione in sicurezza.

Gli analisti possono avere dei momenti di fragilità come tutti gli esseri umani, se però si parla di debolezza nello svolgere la propria professione, lo ritengo molto difficile. Il training analitico, cioè il percorso di formazione per diventare psicoanalisti, è molto approfondito e la preparazione è accurata. Si parla di anni di studio e di lavoro pratico con i pazienti sotto la guida di almeno due psicoanalisti abilitati all’insegnamento della psicoanalisi. Inoltre, ci sono esami da sostenere e tesi per ogni ulteriore passaggio. Inoltre, ogni psicoanalista deve fare una propria analisi personale, lavorare su se stesso ed imparare a conoscere il funzionamento della propria mente e del proprio inconscio. Gli psicoanalisti sono soggetti ad un aggiornamento continuo attraverso seminari, congressi, soprattutto gruppi di studio e di ricerca.

Il gruppo tenuto da Monica Horowitz che già esisteva da anni, ha cambiato il proprio focus, poiché era sorta  proprio l’esigenza di fronteggiare questa nuova situazione confrontandoci insieme. È stato importante poter esprimere quello che sentivamo a causa del lockdown e poter discutere di quello che accadeva a noi e ai nostri pazienti nel nostro lavoro. Wilfred Bion ha affermato che gli analisti devono sempre mantenersi in buona salute per fare bene il proprio lavoro, riferendosi alla salute mentale ed emotiva, e anche a quella fisica. Quando si decide di essere psicoanalisti, bisogna essere pronti a non solo al cambiamento ma anche all’innovazione.

Indubbiamente tutto questo ci ha messo alla prova, personalmente ho trovato in me e nei miei pazienti delle risorse e degli stimoli assolutamente straordinari. Sono convinta che da ogni crisi, possano scaturire delle cose buone che noi possiamo imparare per poi poterle continuare ad utilizzare anche quando l’emergenza finisce.

Quanto è importante avere una rete di colleghi?

È fondamentale avere una rete di colleghi e colleghi-amici con cui poter lavorare insieme, con cui poter continuare a studiare in gruppo, a cui poter riferire le proprie riflessioni e con i quali anche poter esprimere le proprie difficoltà. Ciò mette in moto una capacità di pensare, la amplifica e la rende più profonda.

Da questo lavoro insieme, è nata l’idea di poter trasformare in un libro i nostri scritti, in modo da poter condividere anche con altre persone questa nostra esperienza in un momento unico e irripetibile. In questo straordinario lavoro, fatto di scrittura, di riflessioni, di raccolta delle più significative testimonianze nel libro,  ci siamo occupati anche della traduzione, poiché, in un primo momento, ognuno aveva scritto nella propria lingua, essendo analisti provenienti da molti paesi del mondo. Anche questa è stata una bellissima esperienza, non solo accogliere il pensiero degli altri ma anche nelle loro lingue, in francese, in italiano in inglese e in spagnolo. Tradurre da un’altra lingua, è sempre molto stimolante anche se faticoso e naturalmente, mi sono avvalsa di traduttori che mi hanno aiutato con cui c’è stato un continuo scambio non solo linguistico ma anche psicoanalitico.

I pazienti hanno avuto comportamenti diversi nei vari periodi della pandemia?

Ci sono state varie fasi. In un primo momento, durante il lockdown, i pazienti hanno reagito in base al proprio carattere e al disturbo di fondo per cui stavano facendo il loro trattamento psicoanalitico. Alcuni preferivano stare a casa e altri si godevano le poche uscite assaporando il silenzio della città. Tutti hanno riflettuto a quello che stava accadendo. Le persone claustrofobiche hanno sofferto molto nel vivere rinchiusi in spazi stretti, gli agorafobici invece sono stati meglio. Il lockdown è stato un momento in cui si è anche osservato che più gravi erano i disturbi dei pazienti e meno severi erano i sintomi. Questa non è un’esperienza del tutto nuova, poiché si era già verificato durante la Seconda guerra mondiale, ma da allora non lo si era più osservato.

Quando c’è stata la prima riapertura abbiamo visto molte crisi ansioso-depressive e tutti gli effetti del Disturbo Post Traumatico da Stress, in quanto comunque, il lockdown è stato traumatico poiché imprevisto, improvviso, non immaginato né pensato prima. Il periodo peggiore forse è stato lo scorso inverno quando si è verificato un nuovo aumento dei contagi con le limitazioni agli spostamenti, la DAD, etc. È riapparsa l’angoscia di morte per se stessi e anche per i propri cari in un momento in cui molte persone erano ancora in lutto per la perdita recenti In tutto il 2021 ha prevalso un senso di fatica ed esasperazione unite alla difficoltà a sopportare l’incertezza nonostante che sia osservato anche un grande desiderio di riprendere una vita il più normale possibile.

È stata un’esperienza che ha cambiato qualcosa in modo “definitivo”?

La pandemia ha decisamente cambiato il modo di vivere e di pensare non soltanto degli psicoanalisti e dei loro pazienti, ma delle persone in generale poiché non è stato possibile ignorarla e perché sono ancora richiestele  misure di prevenzione, dalle mascherine ai vaccini.

Ogni avvenimento di grande portata lascia una traccia indelebile. Ancora oggi si studia la peste del 1600 e ci  sono film, serie tv, saggi e romanzi sulla Seconda guerra mondiale, su come l’hanno vissuta i civili, sull’esperienza dei lager, sulla Shoah e anche sul dopoguerra. Ogni avvenimento che ha un grosso impatto sulla salute, sulla stabilità, sull’economia e sulla pace produce dei cambiamenti che tendono a perdurare nel tempo. Così funzioniamo come esseri umani e come società, non è un fenomeno necessariamente negativo.

Sappiamo che dopo ogni momento di crisi se c’è una capacità di pensiero critico, è possibile far tesoro delle cose nuove che proprio la crisi ha provocato.

Quando un avvenimento provoca dei danni?

Quando lo si nega o lo si rimuove, quando si va avanti facendo finta di niente, come se non ci fosse o come se non fosse mai successo. Ogni trauma, come le perdite e il lutto, hanno bisogno di essere elaborati ovvero di una presa di coscienza che passa attraverso il dolore, la sofferenza che però poi porta ad un cambiamento e ad una crescita personale e collettiva. Se il trauma è individuale chiaramente ognuno avrà necessità di elaborarlo intimamente, c’è chi sceglie di farlo con uno psicoanalista, altri con persone care o amici intimi. Se il trauma è collettivo l’elaborazione invece deve essere collettiva poiché le dinamiche di gruppo non sono identiche alle dinamiche individuali. L’inconscio collettivo, l’inconscio di gruppo, ha un funzionamento specifico e diverso rispetto all’inconscio individuale, ha delle proprie regole ben conosciute.

Per questo sarebbero necessari gruppi nelle scuole dalla scuola dell’Infanzia alle Superiori. Inoltre dovrebbero esserci dei gruppi nei posti di lavoro, i gruppi Balint per lo stress dovuto al lavoro, che è cambiato con la pandemia e dei gruppi specifici per poter elaborare quello che la pandemia ha significato e ancora significa per chi lavora, non soltanto i medici e gli operatori sanitari.

L’esperienza del gruppo e della scrittura pensa che l’abbia cambiata?

Sì e ritengo in meglio, mi ha sostenuto e aiutato nel momento del lockdown, permesso di riflettere e pensare successivamente. D’altro canto, i gruppi di lavoro che si uniscono per uno scopo preciso hanno sempre questa funzione di aiutare a stare meglio coloro che vi partecipano, perché pensare aiuta a star bene. Quando le cose non si conoscono, non si capiscono, non è possibile darsi una spiegazione, lì si possono annidare depressione angoscia e disorientamento. Un buon gruppo è sempre un grande aiuto, il lockdown non è soltanto quello che abbiamo vissuto ma qualunque situazione che ci isoli e non ci permetta di stare in contatto con gli altri e con le persone che amiamo. Se la solitudine è una condizione esistenziale anche desiderabile e piacevole, stare da soli invece è sempre dannoso. L’amicizia, l’affetto, avere un’ideale comune, prendersi cura degli altri e di se stessi, è sempre vincente.