Freefolk è il nuovo album solista di Massimo Garritano

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Massimo Garritano
Massimo Garritano – pic Claudio Valerio

“Mi piace molto quello che suoni, è freefolk?” la domanda di un entusiasta ascoltatore alla fine di un suo concerto risuonò nelle orecchie di Massimo come un’affermazione”

Si può scrivere un manifesto anche senza usare le parole. E’ quello che ha fatto il chitarrista Massimo Garritano con il suo nuovo album solista “Freefolk”, in uscita per la Manitù Records il 29 gennaio 2021. Attraverso sedici composizioni strumentali, tredici nella versione in vinile, Massimo Garritano ci parla di integrazione musicale come metafora di quella sociale in quello che è a tutti gli effetti un concept album (anche) politico, una sorta di zibaldone musicale coltivato per anni e immaginato già nel titolo e nelle intenzioni, prima ancora che nella musica.

Massimo Garritano ci ha gentilmente concesso un’intervista.

“Freefolk” è il nuovo album, come si compone e come si caratterizza?

È un disco che contiene canzoni e improvvisazioni estemporanee, le songs & instant composition che accompagnano il titolo, per un totale di 16 tracce. Le songs, come amo definirle io, hanno forma e lunghezza più estesa e presentano all’interno sia sezioni tematiche scritte che parti improvvisate o, nei casi delle tracce più lunghe, improvvisazioni su una struttura ritmico/armonica, come succede anche nel jazz e rock. Le i. c. sono vere e proprie composizioni estemporanee. Realizzate in studio di registrazione e frutto di una sola take di incisione, senza alcun intervento postumo di rimaneggiamento. Nel momento della creazione seguo il flusso cerco solo di dare una forma compiuta al processo musicale. L’i.c. è un atto meditativo, di connessione con il presente, materiale musicale che succede solo in quel momento e solo in quella maniera. Irripetibile. Mi dedico a questa “disciplina” musicale da una decina d’anni e la affronto con gran cura ed onestà intellettuale. Se lascio che tutto fluisce mi concedo la possibilità di giungere in territori inconsueti. Seguendo tale procedimento ho realizzato anche il mio disco precedente “Talknoise” (con Ernesto Orrico alla voce) dai connotati timbrici e formali completamente differenti.

Cosa vuoi comunicare con questo lavoro in chi ti ascolta?

Regalare un’esperienza emotiva, sensoriale, immaginifica. A tal proposito ho chiesto al mio amico artista Raffaele Cimino che ha curato l’artwork, di realizzare alcuni disegni ispirati alla e dalla mia musica. È venuto fuori un libro contenente 16 immagini, tante quanto le tracce di Freefolk, che accompagna l’edizione speciale del vinile. Per rafforzare il concetto di libertà che intendo veicolare con questo lavoro, ciascun disegno è privo di titoli o riferimenti diretti ai brani in modo da lasciare all’ascoltatore/spettatore la libera associazione. Spero possa giungere il messaggio soggiacente: unicità nella diversità.

Questa è la tua seconda fatica discografica, che cosa ti aspetti a livello di ricezione rispetto alla prima?

Si, è il mio secondo disco in solitaria ed arriva dopo diverse incisioni con organici vari, dal duo all’orchestra. Certamente connesso con “Present” del 2016 per ciò che riguarda i timbri utilizzati. Generalmente cerco di non avere grandi aspettative per limitare l’effetto disillusione ma confido nelle energie positive messe in circolo dal messaggio onesto contenuto in questo disco e di poterlo suonare dal vivo ovunque. Ancora più del precedente disco che, devo dire, mi ha regalato molte soddisfazioni in termini di live e vendite, considerato che sono un indipendente, per quanto possibile. Mi auguro che altri seguiranno la strada del Freefolk e si possa comprendere, una volta ancora, che la diversità di genere – musicale e non soltanto – è una ricchezza da preservare e tutelare.

Che cosa rappresenta per te la musica, soprattutto nel periodo storico che stiamo vivendo?

“La musica per me è tutto” di Anonimo, è la risposta che quando mi capita di sentire o leggere mi fa desiderare di scappare scalzo ed ignudo per il paese, ululando alla luna. Non per me: la musica rappresenta una parte sostanziale della mia vita ma non è tutto. È diventata la mia professione – sono anche didatta. Sono un grande appassionato, acquisto molti supporti fisici, riuscendo a fruire poco della musica liquida. Negli anni della gioventù ho sognato di diventare una rockstar. Crescendo ho capito che essere un numero due ha i suoi vantaggi, meno responsabilità, più tempo per dedicarsi ad altro. Leggere, cucinare, vedere film, camminare, studiare. Tutte attività, compresa la didattica, alle quali mi sono dedicato durante il blocco forzato di marzo 2020. In quei mesi avrei dovuto terminare le registrazioni. Poi le cose sono andate come sappiamo ma, col senno di poi, ha rappresentato un bene per il disco perché senza quello stop imposto sarebbe risultato diversamene bello di com’è ora. Tutto questo per dire che sono riuscito a trarre qualcosa di positivo da questi tempi costellati di confusione, agitazioni e insicurezze socio-economiche che ho vissuto in uno stato di perenne sospensione. Come una lunga cadenza musicale, in attesa della risoluzione. Sensazione comune ad altri, credo.

La musica e ogni altra declinazione artistica rappresenta il medium per l’arricchimento intellettuale e spirituale. Migliora noi stessi anche nella vita di tutti i giorni. Con me lo ha fatto. Offre la possibilità di avvicinare gli esseri umani, fornisce spunti di riflessione, suggerisce comportamenti virtuosi – da non intendersi come velocità nelle esecuzioni delle scale musicali. In quanto bene di consumo, e non ci trovo nulla di male, produce economia e vivo bene il mio essere “in vendita”. È però svilente assistere a pedisseque operazioni o mercificazioni prive di messaggi pro-positivi ed è oltremodo deplorevole di un paese civile non prendersi cura e tutelare sufficientemente un comparto, quello artistico, fatto di tante professionalità che mai come in questo momento storico sono in affanno, per usare un eufemismo. Ci sono stati gli interventi di sostegno, tuttavia il prolungato blocco imposto dalla pandemia ha scoperchiato un vaso di Pandora, evidenziando storture, facendo emergere criticità che richiedono interventi coerenti e prospettici su scala regionale e nazionale. In tutta Italia sono movimenti spontanei e cooperative di settore che stanno dando voce alle problematiche di una categoria. Occorre ricordare a noi tutti, quanto la crescita e lo sviluppo di una comunità anche in termini educativi e civici dipendano anche dal settore artistico. È necessario convergere verso il bene comune da anteporre all’egotismo. Ritengo che per artisti – aggettivo che uso sempre con timore – opinione pubblica e politica – sovente pigra al richiamo – sia giunto il tempo della consapevolezza e dell’azione.