“Lettere da Altrove”, Lory Muratti parla del nuovo spoken album

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Lory Muratti – ph. Nicola Chiorzi

Il producer, scrittore e regista Lory Muratti venerdì 30 ottobre ha pubblicato “Lettere da altrove” (Riff Records), il suo nuovo ed originale spoken album che sarà disponibile in formato vinile sulle piattaforme streaming e in digital download. “Lettere da Altrove” è un concept album composto da otto tracce che si ispirano alla serie video-narrativa ideata dall’artista durante il periodo di lockdown. Un’avventura musicale, letteraria e visiva con la quale Muratti racconta la convivenza di due amanti che si ritrovano inaspettatamente “imprigionati” in un ex ricovero barche su un lago del Nord Italia a causa di una misteriosa epidemia. Un luogo lontano dal mondo che porta i protagonisti a navigare in un limbo senza contorni, scosso non solo dalle notizie che giungono a tratti per vie digitali, ma soprattutto dal continuo mutare delle loro emozioni.

L’artista ci ha gentilmente concesso un’intervista.

Il scorso 30 ottobre è uscito “Lettere da altrove”, il tuo nuovo spoken album. Com’è nato e con quale intento?

L’album ripercorre la storia da me pubblicata a puntate sul web durante l’isolamento della scorsa primavera. Una serie di video dove la parole scorrevano sullo schermo accompagnate da una colonna sonora originale. Una produzione-pubblicazione istantanea a cui ho dato vita mosso dal desiderio di trasmutare quel tempo in qualcosa che potesse valere la pena ricordare e non solo archiviare come un momento difficile del nostro percorso di vita.

Ho così iniziato a immaginare che, anche nella dimensione solitaria e profondamente interiore in cui mi trovavo confinato, nella miniatura del dialogo a due con una figura femminile che si affacciava sotto forma di creatura della mente, avrei potuto trovare una dimensione corale che mi aiutasse a coprire le distanze e a parlare non solo di me, ma anche di noi tutti. Occuparmi del piccolo e del personale mi è parso un buon modo per aprire una finestra più vivida e vera sulla complessità di quello che stavamo passando. Raccontare dell’individuo, della sua anima, delle dinamiche interiori e psicologiche di un tempo sospeso e sovvertito piuttosto che lanciarmi in vani tentativi di analisi su quello che stava accadendo nel mondo era la fascinazione che mi muoveva e che, allontanandomi da tutto, mi portava al contempo più vicino ai sentimenti che molti di noi credo abbiano vissuto in quei giorni deserti.

Dalla dimensione non mediata con cui la serie è apparsa in Aprile alla costruzione di un album durante l’estate, il passo è stato breve. Avevo una storia e delle musiche a commento della stessa… non potevano che diventare canzoni.

La tematica è attualissima. Con questo lavoro che visione si vuole dare di questo periodo e non solo?

Quello che viviamo è un tempo sospeso e soverchiato da una disarmante invasione digitale. L’emergenza sanitaria si è insinuata in un tessuto sociale alienato e soprattutto in una collettività già profondamente segnata sul piano emotivo. Allontanarci da noi stessi e dagli altri è il principale effetto collaterale che viviamo dopo una decade di convivenza assidua con la rete e in particolare con i social network. Un mondo fuori dal mondo che, nel darci le opportunità che noi tutti conosciamo, ci ha però messo di fronte a qualcosa che non abbiamo potuto o voluto prevedere e che, crescendo oltre le nostre aspettative, ha preso vita propria. Quelle stanze digitali sono diventate rifugi retti su un lato da algoritmi sempre più precisi e sull’altro dai nostri gesti compulsivi che ci illudono, nell’assecondarli, di tenere a bada un’ansia che si fa in realtà crescente in ognuno di noi.

Fuggire da una realtà che in questo periodo ci si presenta “contaminata” e rifugiarci ancor più in quel tipo di architetture digitali pone le condizioni ideali perché si inneschi un pericoloso cortocircuito dentro di noi. Se a questo scenario aggiungiamo la tendenza ormai fortemente perseguita da moltissime fonti di informazione a non dare in alcun modo spazio alla dimensione personale, all’individuo, a come stiamo affrontando da un punto di vista emotivo questo momento, alla mano che dovremmo tenderci l’un l’altro per non allontanarci davvero e per esserci invece di sostegno abbattendo barriere al posto di crearne, abbiamo un quadro abbastanza preoccupante della strada sulla quale stanno procedendo le nostre esistenze.

Una preoccupazione alla quale, invece di soccombere, ho deciso che avrei dato la possibilità, almeno da un punto di vista musicale e narrativo, di proporsi in altra forma, di prendere a sua volta “vita propria” per raccontare un isolamento sì, ma al centro del quale tornasse a essere presente, unico e fondamentale, l’uomo spogliato di tutto. L’essere umano liberato dal veleno instillato dalla società e dai mezzi che, tutto sommato inconsapevolmente, utilizziamo per far appassire i nostri stessi slanci e le nostre più intime visioni. Ciò che mi interessa raccontare con la mia musica e le mie parole è l’uomo restituito a sé stesso, lontano da un sotteso disegno di schiavitù a un solo modello-pensiero globalizzato, prevedibile e a tratti pre-ordinato. Finalmente distante da tutto, anche dalle comunicazioni, il cuore poteva così tornare a funzionare assieme alla mente per riprendere sul serio a pensare, a riscoprire sentimenti smarriti e a sentire la vita risvegliarsi fra le pieghe di un’esistenza che conduciamo sempre più sovrappensiero.

L’emergenza sanitaria si è spostata così sullo sfondo della narrazione dentro la quale si muovono i due personaggi protagonisti dei testi delle canzoni. Spogliati di tutto, impossibilitati ad andare oltre loro stesi, imprigionati in un vecchio ricovero barche affacciato su un lago dove l’orizzonte è limitato alla collina sull’altra sponda. Lì e solo lì i due tornano a essere presenti a loro stessi e al loro sentire. È il desiderio di verità interiore che ha reso così urgente in me la realizzazione di questo lavoro che racchiude un messaggio di profonda speranza e fiducia nell’uomo e nel suo lato più intimo e luminoso.

Polistrumentista, producer, scrittore e regista. Come coniughi tutte queste tue attività?

Lavoro da diversi anni mettendo in dialogo la produzione letteraria con quella musicale e dando così vita a storie in musica che nascono dai miei stessi romanzi. A questi si affianca la dimensione visiva che accompagna a sua volta il mio percorso artistico da che è diventato consapevole. Credo che basti prendere come esempio un frame della mia vita attorno ai vent’anni per comprendere come io sia arrivato a far dialogare musica, parole e visioni in modo del tutto naturale all’interno delle mie produzioni.

In quel periodo vivevo infatti a Modena dove nelle cantine di una casa condivisa con mia sorella, passavo i pomeriggi a raccogliere idee in musica mentre al mattino studiavo cinema a Bologna e la notte mi perdevo in interminabili session di VJing e video-arte nei garage sotterranei di un quartiere alla periferia della città. Una dimensione molto psichedelica e piacevolmente underground condivisa con un gruppo di amici decisamente fuori dagli schemi. Un piano di irrealtà dove nascevano in parallelo anche musiche a commento dei video che rielaboravamo su wall di televisori recuperati nelle discariche della città.

Già all’epoca portavo sempre con me una moleskine che finivo col riempire di appunti, dialoghi, spunti narrativi. Spunti che avrei poi utilizzato come materiale da scolpire per dare forma ai testi delle mie canzoni o racconti veri e propri che nascevano, il più delle volte, sulla banchina della stazione in attesa di un treno o a bordo di quello stesso treno da Modena a Bologna, da Modena a Milano. Il permearmi a quel modo di una dimensione costantemente pluri-creativa ha profondamente segnato il mio modo di produrre. Da lì in avanti l’approccio non è mai cambiato e ho quindi indirizzato il lavoro dedicandomi strenuamente ad acquisire competenze e credibilità su tutti i fronti ai quali mi affaccio come artista.

Sviluppi i tuoi progetti all’interno del laboratorio creativo “the house of love”. Che stimoli ti dà questo laboratorio per il tuo lavoro?

Devo alla dimensione lacustre nella quale sono nato e cresciuto e a questo luogo in particolare molte delle suggestioni che mi hanno mosso come artista negli anni. “The house of love” è un ex ricovero barche trasformato in casa-laboratorio e, oltre a essere lo spazio in cui io vivo e lavoro, è anche quello in cui si muovono i due protagonisti di “Lettere da Altrove”. È questo “il vecchio ricovero barche” che dà il titolo al brano in apertura del disco e che chiarisce così da subito la geografia dentro la quale si svolgono i fatti.

Questo lavoro è quindi un manifesto del mio amore per le acque che mi circondano e per la dimensione nella quale sono stato colto dall’isolamento della scorsa primavera. Una situazione potente, densa e a tratti difficile da gestire emotivamente, ma di certo fortunata e della quale mi sono sentito molto grato a prescindere dalle difficoltà pratiche, economiche e personali che tutti abbiamo dovuto affrontare. Credo fermamente che sia sempre possibile rinvenire un motivo perché ciò che ci troviamo a vivere (persino in una situazione di costrizione) valga la pena di essere raccontato e trasformato in altro. È questo per me un aspetto imprescindibile del lavoro artistico.