“FAQ a domanda rispondo”, la social biography di Fedez

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FedezMILANO – E’ nelle librerie “FAQ A domanda rispondo” di Fedez, la prima social biography scritta a partire dalle domande fatte dai fan tramite la piattaforma social editoriale eFanwer. Il libro è edito da Mondadori. Questa non è una semplice biografia. Non è un libro intervista e neppure la storia romanzata di una vita eccellente.

È una «social biography», un nuovo modo di raccontare le vicende private e professionali di una star. È stata creata grazie al progetto eFanswer, www.efanswer.com, una piattaforma social-editoriale che permette agli utenti di interagire con le star ponendo loro direttamente le domande che li incuriosiscono. eFanswer coniuga l’esperienza editoriale con il mondo social e punta a creare una relazione diretta tra la celebrity e la sua fanbase.

Un rapporto senza filtri, interattivo e multimediale. I fan diventano così i coautori dell’opera firmata dalla persona famosa, opera che nasce on line e si trasforma in un libro di carta e in digitale. Gli utenti di eFanswer, dopo essersi registrati sulla piattaforma, possono inviare nove domande a settimana (le «Fask») alle star presenti sul portale.

A una parte dei quesiti il personaggio risponde direttamente on line. I quesiti più interessanti vengono selezionati e confluiscono nel libro insieme alle risposte. Per questo motivo i protagonisti di queste pagine sono due: il personaggio, che si racconta e gli utenti di eFanswer che con le loro domande gli offrono spunti per scoprire qualcosa in più su di sé.

Ecco perché questa non è la classica autobiografia di una star, ma la sua social biography: scritta a più mani, unica e irripetibile. La storia di Fedez e dei suoi fan, la storia di un artista non convenzionale e unico, poteva essere raccontata solo in questo modo così poco tradizionale. E tutto comincia così.

“Direi che tutto è iniziato quando ero al terzo anno del Liceo artistico Umberto Boccioni, a Milano: non avevo la minima idea di cosa fosse il rap e non mi interessava nemmeno, perché venivo da un background principalmente punk. Avevo sempre ascoltato solo quello, italiano e straniero. Nella mia playlist italiana c’erano Statuto, Skiantos, Meganoidi, Bambole di pezza, Peter Punk, Punkreas… Questa mescolanza fra band vecchie e nuove era dovuta al fatto che nei negozi di dischi il reparto ska-punk era davvero minuscolo e le band storiche erano costrette a convivere accanto a quelle nuove. Ascoltavo anche un sacco di band americane. Rimasi folgorato dall’autoironia dei Blink-182 e grazie a loro mi innamorai di tutto il punk-pop californiano. Era un periodo in cui andavano fortissimo le boyband dei bellocci, e i Blink facevano musica e video in cui le pigliavano per il culo. E in realtà, ancora più dei loro pezzi, mi colpirono proprio i video. Mtv era infestata dalle clip dei Backstreet Boys e dei New Kids on the Block, cioè i bellocci della seconda repubblica dei Duran Duran, e anche tutte le radio italiane erano invase da canzoni sdolcinate cantate da fighetti che mostravano il ciuffo e gli occhi azzurri. I Blink si esibivano in mutande bianche, o nudi sulla spiaggia o in balletti idioti. I testi erano parodie demenziali, e molto divertenti. La loro musica aveva diversi elementi punk, soprattutto la ritmica e la chitarra elettrica distorta. I bipiemme erano veloci e le ballads ti prendevano grazie a un ritmo ancora pù veloce. Insomma, erano la completa antitesi delle boyband. I veri ribelli della musica. Le spazzarono via tutte quante con la sola “All the Small Things”. O almeno, così andò per me. Io ero soltanto un ascoltatore. Ero il pubblico. Strimpellavo la chitarra, ma non avevo una band e nemmeno pensavo di metterla su. Ero un tipo poco intraprendente, poco empatico, con poca spinta all’aggregazione. La musica era solo un sogno, non so nemmeno se chiuso nel cassetto. Poi arrivò quell’anno della terza liceo, e nella mia classe entrò un nuovo compagno”.