Trivelle, Greenpeace chiede una norma che vieti per sempre l’uso degli airgun nei mari italiani

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Greenpeace, esposto contro le "trivelle fuorilegge" in 30 procure della RepubblicaROMA – Greenpeace Italia chiede al ministro dell’Ambiente Sergio Costa e al ministro dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio una norma che vieti per sempre l’uso degli airgun nei nostri mari. Un provvedimento necessario per la tutela dell’ecosistema marino e per fermare ogni nuova attività di estrazione offshore di idrocarburi, come già fatto dalla Francia.

«Se Di Maio e Costa sono davvero contrari alle trivelle e, come dichiarato a più riprese, non vorrebbero riportare l’Italia al Medio Evo economico e ambientale, facciano subito approvare una legge che vieti per sempre l’utilizzo degli airgun. È questo il modo più immediato ed efficace per allontanare per sempre la minaccia di nuove trivelle dai nostri mari», dichiara Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace Italia.

L’organizzazione ambientalista ricorda che senza airgun infatti sarebbe praticamente impossibile effettuare attività di prospezione e ricerca idrocarburi in mare. Dunque, i fondali al largo delle coste italiane sarebbero protetti per sempre, e non solo da una eventuale moratoria di tre anni, con il rischio che un Piano delle Aree definisca alcune porzioni di mare idonee alle ricerche petrolifere.

Per la ricerca di un giacimento di idrocarburi in mare si impiegano decine di airgun che, per settimane, producono continuativamente violente detonazioni, ad intervalli di circa dieci-quindici secondi, dall’impatto sonoro almeno doppio rispetto a quello del decollo di un jet. Gli effetti dannosi delle esplosioni sull’ecosistema marino sono documentati in numerosi studi e potrebbero essere particolarmente rilevanti nel Mediterraneo, dove rischiano di interferire con i cicli biologici di organismi già seriamente minacciati da inquinamento, pesca eccessiva, cambiamento climatico e distruzione degli ecosistemi marini e costieri.

Negli ultimi anni Greenpeace ha elaborato tre differenti rapporti che dimostrano come l’industria petrolifera – dall’Adriatico allo Ionio, fino ad arrivare allo Stretto di Sicilia – non abbia avuto nessuno scrupolo nel pretendere di bombardare aree di particolare pregio naturalistico, di notevolissima importanza per le risorse della pesca, o in cui si registra la presenza di tartarughe, balene o altri cetacei.

«È ora che questa follia si concluda, non ha alcun senso continuare a bombardare il nostro mare per estrarre riserve limitate che non ci garantiscono nessuna indipendenza energetica, ma solo rischi ambientali ed economici», continua Monti. «Chiediamo a chi in passato ha sostenuto la battaglia per fermare le trivelle, e che adesso è al governo del Paese, di agire in maniera coerente, vietando gli airgun. In mare nessuna area è idonea a questo tipo di attività», conclude.

Le riserve di idrocarburi presenti sotto i fondali marini italiani sono praticamente insignificanti per quanto riguarda il petrolio e appena poco più rilevanti per il gas naturale. D’altra parte, è ormai chiaro che gli impatti sul cambiamento climatico delle attività di estrazione, trasporto e uso del gas sono assai superiori a quelle fino ad ora millantate dall’industria petrolifera.

Per l’organizzazione ambientalista, se l’Italia vuole davvero rispettare l’Accordo di Parigi sul clima non deve certo puntare sulle scarse riserve di idrocarburi ma su efficienza e fonti rinnovabili. Il piano energia e clima appena presentato dall’esecutivo è però deludente: una versione peggiorata della strategia energetica del precedente governo. Greenpeace chiede dunque che si apra un confronto sulle prospettive energetiche del Paese.