Valentina Mattarozzi e il suo nuovo singolo “Nostalgie”

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valentina mattarozzi

“Questo brano è scritto in francese, lingua che ho rispolverato dopo tanti anni. L’arrangiamento è in stile ‘Manouche’ per dare ancora più senso alla lingua francese, dato che il jazz gitano è nato un centinaio di anni fa proprio in Francia”

Dal 15 gennaio arriva in radio e in digitale “Nostalgie” (Azzurra Music / Believe), il nuovo singolo di Valentina Mattarozzi. Un brano malinconico, struggente e retrò. Il video, già disponibile su YouTube, è stato girato presso l’AreaFuoriTema all’interno dell’azienda di strumenti musicali Aramini a Cadriano, Bologna. Questo spazio è un ambiente magico, che ha dato la possibilità all’artista, e al regista Milo Barbieri, di entrare perfettamente nel mood del brano e del suo significato.

Valentina Mattarozzi ci ha gentilmente concesso un’intervista.

“Nostalgie” è il tuo nuovo singolo, come nasce?

Nasce da un giro armonico di LA minore, che racchiude l’essenza di una emozione ben precisa: la malinconia. Questa emozione nasce spesso da un’altra sua compagna, la nostalgia. Da questa sensazione è nata prima la melodia del brano e poi il testo, in lingua francese. E per raccontare questa sensazione ho cercato di trovare una narrazione, quella forse più antica, della “sedotta e abbandonata”, che si crogiola nel dolore del ricordo e dell’abbandono che non vuole riconoscere. La nostalgia in questo caso vista nel suo aspetto più negativo, può essere descritta come un veleno che si introduce nel corpo lentamente e che l’anima non riconosce, la quale viene uccisa sotto quel tristissimo velo di falsa speranza.

Il brano è malinconico, struggente e retrò. Come scaturisce questa impostazione?

Quando ho scritto la canzone ancora non avevo in mente di come potesse essere il risultato dell’arrangiamento curato dal fantastico e duttile Teo Ciavarella. Io allora la immaginavo in forma di ballade, un po’ come le canzoni dei chansonnier francesi anni ‘50/‘60, niente di più da come l’avevo composta al pianoforte. Teo invece, con la sua genialità, mi ha colto di sorpresa, portando la canzone ad un altro livello, molto più vicino al jazz, con un gusto squisitamente retrò, caratterizzandola con un vestito “Manouche”. Genere che ritengo sia azzeccatissimo per la lingua usata nell’elaborare il testo, perché la musica Manouche è un tipo di jazz gitano, nato proprio in Francia attorno al 1920. Inoltre il violino gipsy riesce a dare una fortissima sensazione di struggente nostalgia e nel contempo il brano ha un ritmo più sostenuto ed incalzante di una semplice jazz ballade. Alessandro Cosentino, musicista strabiliante, poi, ha dato voce a quel violino, usando il magico strumento del suo Maestro Piergiorgio Farina.

Il singolo ha anche un video, com’è strutturato?

Il video è incentrato sulla storia raccontata in prima persona dalla protagonista, che con dolore, ma anche con grande orgoglio rivela la sua avventura e la propria disperata attesa. Il regista Milo Barbieri è riuscito a far emergere tutta la sensualità da questo brano e mi ha coinvolto dal punto di vista attoriale molto di più che in altri video precedenti. L’uso della telecamera così intimo ed il raccontare in prima persona la vicenda, mi ha dato la possibilità di parlare al pubblico non più come Valentina cantautrice, ma come vera interprete di un personaggio, con le espressioni corporee e la gestualità del viso che si interconnettono con la vocalità. Il video ha un taglio molto cinematografico, ma l’essenza del mio lavoro in questa clip è più che altro di matrice teatrale.

Vieni definita come un’artista a tutto tondo, perché?

Ho iniziato con la danza, quella classica, poi sono passata alla moderna, al freestyle e alla breakdance; parallelamente ho iniziato lo studio del pianoforte e con esso pochi anni dopo con la composizione. Poi il canto, prima lirico e poi leggero. Successivamente ho scoperto un altro mondo: la recitazione e il teatro. Non mi definisco un’attrice, ma le esperienze che ho fatto davanti alla cinepresa e sul palcoscenico mi hanno aiutato a comprendere ancora meglio la mia strada, che è la comunicazione dei sentimenti e delle emozioni. Anche lo scrivere, per il teatro e per me stessa, il fatto di aver avuto la possibilità di raccontare delle storie, mi ha cresciuto. Tanto. Senza dimenticarmi che arrivo dal Liceo Artistico, anche se la matita sul foglio l’ho lasciata tanto tempo fa, per tutto quello che ho scritto qui sopra, finito il liceo. Forse vengo definita così, un’artista a tutto tondo, perché tutto quello che creo ha a che fare con l’arte, anche se non mi sono mai percepita in questo modo, io comunico, costruisco delle storie, compongo delle musiche, provo a dare consistenza a delle emozioni e ai personaggi che nascono in me. Non so se sono davvero un artista, non me lo sono mai posto e del resto io credo che la vera opera d’arte, quella che tutti possiamo eseguire, quella più importante e di inestimabile valore, sia soltanto la nostra vita. Quella di tutti noi.