Disturbi dello spettro autistico, aspetti neurobiologici: intervista ad Adelia Lucattini

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ROMA – Negli ultimi anni è stato osservato dagli specialisti un aumento dei casi di Autismo, e più in generale una prevalenza dei disturbi del neurosviluppo. Abbiamo pertanto, chiesto alla dottoressa Adelia Lucattini, psichiatra e psicoanalista di Roma, quali possano essere le motivazioni sottostanti di questo significativo dato epidemiologico da un punto di vista neurobiologico. Le problematiche connesse alle condizioni di spettro autistico, per le persone che ne risultano affette e i loro familiari, si pongono da tempo all’attenzione sia del mondo clinico sia di quello giuridico normativo: l’osservazione dell’aumento, soprattutto negli ultimi anni, della prevalenza dei disturbi di spettro autistico e, più in generale, dei disturbi del neurosviluppo, ha portato alla necessaria riflessione sulle motivazioni sottostanti questo dato epidemiologico da un punto di vista neurobiologico.

Dottoressa Lucattini, quali sono i dati epidemiologici attuali?

Nelle ultime decadi si è assistito ad un aumento significativo delle stime di prevalenza (numero di casi nella popolazione) dei disturbi dello spettro autistico (Autism Spectrum Disorders, ASDs), tanto da arrivare a parlare di ‘epidemia’ per le condizioni di autismo. Va tuttavia anticipato che non esiste una stima della prevalenza unica ed univoca, ma diverse stime di prevalenza tra i vari Paesi: ad esempio, i dati più recenti di prevalenza del disturbo di spettro autistico relativi agli Stati Uniti riportati dal sistema di sorveglianza “Autism and Developmental Disabilities Monitoring Network” (ADDM), sono di un caso ogni 68 abitanti nel 2012, un caso su 88 nel 2008, un caso su 151 nel 2002. Stime di prevalenza di altre parti del mondo, pur condividendo il dato di un aumento della prevalenza del disturbo, tuttavia evidenziano una grande eterogenicità di risultati. In Italia, sono disponibili i dati di prevalenza di alcune regioni: ad esempio, per il Piemonte, la stima di prevalenza, nella fascia di età compresa tra 6 e 10 anni, era 4.2/1000 nel 2010; per l’Emilia Romagna la stima di prevalenza, nella fascia di età compresa tra 6 e 10 anni, era 2.4/1000 nel 2010.

Come si spiega, secondo Lei, l’aumento di casi di Autismo?

Uno dei fattori chiamati in causa è il cosiddetto ‘shift’ (spostamento) delle diagnosi. In altri termini, si ipotizza che l’adozione di nuovi sistemi di riferimento nosografici e strumenti di diagnosi abbia portato ad individuare e quindi collocare all’interno della diagnosi di spettro autistico, condizioni che in passato, nei precedenti sistemi di classificazione nosografica e prima dell’adozione di protocolli diagnostici condivisi e scientificamente validati, ricevevano una diversa designazione diagnostica: ad esempio di disturbo di linguaggio, disturbo di disregolazione emotiva, ritardo cognitivo. Ad oggi il disturbo dello spettro autistico ingloba quasi quaranta differenti diagnosi secondo le classificazioni precedenti. Un altro fattore proposto a spiegazione dell’aumento di prevalenza è il fatto che oggi, rispetto al passato, si arrivi a formulare una diagnosi di spettro autistico mediamente molto prima rispetto al passato: mentre in passato, la diagnosi veniva spesso posta a sintomatologia conclamata e dopo i 3, anche 4 anni di età, oggi gli strumenti diagnostici permettono ai clinici di formulare diagnosi affidabili ed attendibili sotto i 3 anni di età, anche a 2 anni e di individuare dei campanelli di allarme prima del compimento dei 2 anni.

Quanto è importante la sensibilizzazione e l’informazione delle famiglie e dell’opinione pubblica?

Indubbiamente è importantissima, tanto da essere considerati fattori considerato che procedono in parallelo con tutti gli altri sopra citati; è la crescente sensibilizzazione intervenuta nell’opinione pubblica rispetto alle problematiche dell’autismo che ha portato genitori e famiglie a rivolgersi ai servizi dedicati alle problematiche neuropsicologiche dell’età evolutiva, Neuropsichiatria Infantile, psicoanalisti esperti in bambini e adolescenti, neuropsicologi molto prima e molto di più rispetto al passato, fosse anche solo per fugare ogni dubbio o delle preoccupazioni se i genitori si accorgono che il bambino ha qualcosa di diverso dagli figlio dagli altri bambini. Questo aspetto è strettamente legato alla disponibilità e facilità di accesso ai servizi di neuropsichiatria e neuropsicologia dell’età evolutiva, psicoanalisti, neuropsicologi: in altri termini, più un territorio dispone di servizi dedicati e di professioni, e più questi questi sono di facile accesso per i genitori, più avranno modo di rivolgersi ai servizi e professionisti, maggiore sarà la probabilità che situazioni necessitanti un inquadramento diagnostico e delle terapie possano avere risposte e iniziare un processo di cura che nel caso delle sindromi dello spettro autistico sono molte lunghe, impegnano pazienti e famiglie per tutti gli anni della crescita e dello sviluppo.

A che cosa sono dovute le differenze nel numero dei casi nei vari Paesi?

Le differenze riportate nelle stime di prevalenza nei vari studi e tra i vari paesi, probabilmente riflettono le differenze di metodo nella conduzione gli studi, dal range di età considerato da ogni studio e nelle politiche sociosanitarie e di presenza e possibilità di accesso ai servizi di neuropsichiatria infantile nonché alla presenza di psicoanalisti specializzati in disturbi dello spettro autistico presenti di ogni Stato.

Quali sono gli aspetti neurobiologici oggi conosciuti e che entrano in gioco nell’autismo?

Gli studi sui gemelli omozigoti hanno ampiamente fatto emergere la componente genetica, in termini di ereditarietà, dei disturbi dello spettro autistico. La concordanza e cioè la ricorrenza del disturbo tra gemelli, tuttavia non è totale: tra gemelli monozigoti è più alta, compresa tra il 60% e 90%, tra gemelli dizigoti varia tra il 21 e 35%. Gli studi tra fratelli hanno messo in evidenza una ricorrenza più alta nelle famiglie in cui sono presenti più figli con disturbo dello spettro autistico, rispetto a famiglie in cui un solo figlio presenta tale problematica. Ciò lascia supporre che per quanto ci sia una significativa componente di ereditabilità del disturbo, su base genetica, tuttavia, questa da sola non basta a determinare il disturbo stesso. Gli studi genetici sulle famiglie hanno permesso di individuare diversi geni associati agli ASDs, associati vuol dire che la presenza di mutazioni, a vario livello e di vario tipo, in questi geni non causa l’autismo, ma dà una predisposizione genetica a svilupparlo. Inoltre, si è visto che la maggior parte dei geni associati agli ASDs non sono specifici ed unici per l’autismo, ma danno una predisposizione più in generale verso diversi disturbi del neurosviluppo. Nella maggior parte dei casi, queste alterazioni riguardano più geni contemporaneamente nello stesso individuo: in altri termini, non è la mutazione puntiforme o la variazione nel numero delle copie in un singolo gene a conferire suscettibilità a sviluppare l’autismo, ma l’interazione delle alterazioni a carico di più geni. Sono quindi mutazioni genetiche complesse.

Esistono studi con indagini strumentali?

Gli studi di neuroimaging (RMN, PET, etc.) hanno messo in evidenza sia alterazioni anatomo- morfologiche in alcune aree del sistema nervoso centrale dei soggetti affetti da ASDs sia alterazioni nei livelli di organizzazione della sostanza bianca. Questi elementi, unitamente al dato clinico di un’accelerazione dell’accrescimento della circonferenza cranica nei primi due anni di vita, sostengono l’ipotesi di un’alterazione nell’organizzazione sinaptica nell’ASDs: in particolare, un’alterazione nei processi morte programmata (apoptosi) delle spine dendritiche in eccesso degli assoni neuronali e conseguente alterazione nella organizzazione della sostanza bianca.

Cosa hanno dimostrato fino ad oggi le ricerche?

Da un punto di vista neurobiologico e neurofisiopatologico, i disturbi dello spettro autistico, vengono considerati come disturbi della connettività neurale caratterizzati da un eccesso di connessioni locali e da un difetto di connessioni a distanza tra differenti regioni funzionali del cervello. L’ipotesi è che uno sviluppo anomalo dei processi di morte cellulare programmata (apoptosi), di potatura delle arborizzazioni neuritiche superflue (pruning), di migrazione neuronale, di eliminazione/formazione delle sinapsi, di mielinizzazione, per le alterazioni nei geni prima descritti, esiti nel fallimento di una giusta orchestrazione tra eccitazione e inibizione neurotrasmettitoriale sinaptica.

Esiste la possibilità di uniformare l’autismo riconducendolo a poche e semplici cause?

Ormai è evidente che i disturbi dello spettro autistico risultino condizioni estremamente complesse ed eterogenee: da un lato, il dato epidemiologico conferma la necessità di politiche sanitarie e sociosanitarie sempre più orientate alla identificazione precoce dei casi sospetti e alla presa in carico integrata e sostenibile, ovvero l’accesso a cure complesse che riguardano i bambini e le loro famiglie. Dall’altro gli studi genetici confermano la difficoltà di un inquadramento genetico unico ed unitario ed anzi supportano il dato di una multifattorialità nella patogenesi degli autismi. Non bisogna però trascurare il fatto che le componenti genetiche interagiscono fra loro per definire un livello di suscettibilità a sviluppare il disturbo, la predisposizione, ma è necessaria la presenza di altri fattori non genetici, bensì ambientali in senso lato, per determinare il disturbo e la sua manifestazione.

Quali sono le prospettive per il futuro e le terapie attuali?

Gli studiosi sono ancora impegnati in molti filoni ricerca essendo, come appena detto, questioni molto complesse, ma l’auspicio è che con la progressione della ricerca scientifica si possa sapere sempre di più sulle cause dell’autismo e poter anche individuare dei nuovi sistemi di cura che possano andare ad integrare le cure già esistenti (riabilitazione, psicoterapia, psicoanalisi, psicoeducazione, lavoro terapeutico con i genitori e con la famiglia, terapie farmacologiche). Un fattore importate è l’inserimento scolastico con l’insegnante d’integrazione (sostegno) dei bambini e poi adolescenti affetti da autismo, il contato con i compagni in un ambiente accogliente e stimolante, è un arricchimento sia per i bambini autistici che per tutta la classe. Inoltre sono indicate anche attività sportive con personale specializzato, attività musicali in un coro e attività teatrali. Il sostegno psicologico ai genitori e ai fratelli è un altro elemento indispensabile sia da un punto di vista prognostico che per una migliore qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari.