“Memories from a distant future” è il nuovo album di Dropout

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Attivo dal 1994. Chitarrista per elezione, synthesista per evoluzione, ha all’attivo diversi lavori su commissione per multimedia, ambienti (negozi, installazioni architettoniche), installazioni artistiche e danza contemporanea

DropoutSu tutte le piattaforme digitali e in formato vinile è uscito Memories from a distant future, l’ultimo album di Dropout. Un nuovo e importante capitolo per l’alter ego di Davide Burattin, dal 1994 compositore e designer grafico in continuo movimento tra Italia, UK e Giappone. Immergetevi in un progetto stratificato e complesso le cui influenze vanno dal kraut-rock al folk, per una narrazione musicale e una visione di un futuro che la generazione X ha spesso immaginato e che non si è mai avverata.

Dropout ci ha gentilmente concesso un’intervista.

“Memories from a distant future” è il tuo nuovo album, di che cosa si tratta?

Dropout è un progetto artistico multimediale a lungo termine che parte dal 1992. “Memories”, anche se di uscita recentissima, è un lavoro che anch’esso ha origini abbastanza lontane nel tempo, le prime composizioni infatti risalgono al 2013. La pandemia del 2019 (ero a Osaka in Giappone e lì è arrivata già a fine novembre di quell’anno) mi ha fatto realizzare che, dato il tema del “futuro che ci si aspettava ma che non si è avverato”, potesse essere ormai maturo e attuale per uscire allo scoperto, quindi l’ho concluso, fatto masterizzare a Londra (Swift Audio Mastering Studio), e fato stampare anche in vinile. Poi, sempre per i ritardi delle consegne a livello mondiale (ad un certo punto, per esempio, il vinile si era addirittura perso nella spedizione… e non è che fossero scatoloni poco ingombranti!), ho avuto la naturale urgenza di usare quel tempo di attesa per realizzare dei videoclip dedicati per ogni traccia, che usciranno uno ad uno a breve sul sito ufficiale dropoutsound.com e sul canale Youtube. Forse la caratteristica più curiosa di questo album, molto simile (mi dicono gli esperti ascoltatori) a uno stile contemporaneo di Kraut Rock e Progressive Rock, con tratti sonori New Wave, è che la musica è strumentale ma esiste anche un testo, che è contenuto nei videoclip. Quindi sì, la cosa strana e non c’è cantato ma c’è un testo.

Cosa vuoi trasmettere con questo lavoro?

Come dicevo, il concetto alla base del lavoro è che la generazione Boomer e X sono state cresciute nella totale illusione di un futuro ben definito, una sorta di terra promessa e meritata “per divina intercessione”. Ma il futuro sembra aver preso direzioni totalmente inattese (mi riferisco in generale un po’ a tutti gli aspetti della nostra vita occidentale, come libertà, economia/lavoro, morale collettiva, ecc.) Ho notato quindi che parecchi di noi soffrono di una strana nostalgia per una realtà immaginata a lungo ma non avveratasi. Ma non si veda questa mia analisi solo sotto un’accezione negativa, in quanto, come figli dei figli del boom, era più che lecito per noi aspettarci un divenire più “umano”, più focalizzato, per esempio, su quello di cui abbiamo bisogno e meno su quello che vogliamo. Invece si sa che raramente queste due esigenze coincidono, essendo l’una tendenzialmente più spirituale e l’altra più materiale, quindi facilmente monetizzabile.

Che tipo di accoglienza ti aspetti?

Bella domanda. Diciamo che il disco parte un po’ in salita dato che, in un mondo di omologazione sonora e stilistica (mainstream, ok, ma purtroppo sempre più anche a livello indipendente), dove la canzone e la voce fanno da padrone, in cui la melodia sta scomparendo a favore della ritmica, e dove la struttura e sempre più minimale, di facile aggancio ed essenzialmente atta a “sostenere” il cantante (non a caso le chiamiamo sempre più “basi”, con all’interno degli “hook”, nel gergo comune)… Ecco, “Memories” invece vorrebbe arrivare e ribaltare tutto, con melodie inusuali e multilivello, con ritmica (basso e batteria) sì sempre in primo piano, come si conviene oggi, ma con infinite variazioni, intrecci e poliritmie, e soprattutto dove la voce è totalmente assente. Credo, nell’inconscio, proprio per una mia personale necessità, in questa contemporaneità musicale troppo satura di parole e opinioni su tutto. In sostanza credo sia musica da “ascoltare” e non semplicemente da “sentire”, infatti reputo che richieda costantemente un determinato livello di attenzione. Per chiudere sulla domanda, proprio per questo non avrà un’accoglienza facile né tantomeno unanime. Però ritengo che possa dare molta soddisfazione nel lungo termine a chi voglia “farla propria” e ascoltarla con la giusta attenzione. Ma sono fiducioso perché piano piano colgo dei segnali, ad esempio nei recenti lavori di Iosononuncane, a mio avviso, dove sembra stia cercando di mettere in atto la medesima operazione sull’ascoltatore (lui mettendo le voci in sottofondo e addirittura creando una lingua intellegibile), e il pubblico sembra rispondere abbastanza positivamente. Dunque non siamo soli.

Come ti sei avvicinato al mondo della musica?

Come molti, nella pre-adolescenza, trovandosi un giorno con una chitarra classica in mano e due accordi improvvisati su breve testo scritto sul diario di scuola. Per ovvia conseguenza sono arrivati a seguire nel tempo: il 4 tracce su cassetta, un misterioso synth comprato di seconda mano e, se ben ricordo, un microfono preso in prestito a un amico e mai restituito. La grande epifania però è giunta con l’avvento delle DAW su PC, le ho passate praticamente tutte, da quelle semplicissime che giravano su DOS, senza interfaccia grafica, fino a quelle impressionanti e omnicomprensive di oggi. Un amore “a prima vista” e mai sopito, tanto che adesso collaboro con London Acoustics per la realizzazione di plugin per l’audio professionale che, tra l’altro, stanno avendo un discreto successo internazionale. Insomma, una vita per la musica, che si rispecchia anche nel mio lavoro quotidiano di designer per il settore.